L’enorme folla che a Barcellona ha gridato di non aver paura dopo il grave attacco alla vita della città, ha mostrato forza e debolezza. La forza è nella voglia di vivere contro ogni forma di violenza. La debolezza, che ci accomuna tutti, perché complica l’assunzione delle nostre responsabilità, è nell’assenza di un oggetto chiaro e definito della paura. Cosa ci fa credere di poter combatterla, se non l’ottimismo che viene dall’amore per la vita che, tuttavia, non è sufficiente?
Luciana Castellana ha avuto il coraggio (non da poco in questi giorni) di dubitare che la nostra idea occidentale della libertà possa essere un valido approccio nelle nostre relazioni con un mondo in cui la grande maggioranza degli esseri umani vive in condizioni di assoggettamento al diritto del più forte. Soprattutto se usiamo questa idea, di cui andiamo orgogliosi, per imporla come nostra superiorità culturale e etica nei loro confronti.
La prima cosa di cui dovremmo tener sempre conto è che la libertà è indissociabile dalla uguaglianza e dalla fraternità e si perverte in pura autoreferenzialità se si sconnette da esse. Questi valori in cui la rivoluzione francese per prima ha saputo riconoscersi, esistono a prescindere dalle forme e dall'estensione della loro affermazione politica e culturale. Sono le condizioni fondamentali, irrinunciabili di una vita buona, etica, la sola che merita di essere vissuta. Tutti i valori veri sono una loro derivazione. Il resto sono convenzioni, dogmi dettati dalla necessità o derivanti da organizzazioni costrittive dell'esistenza.
I valori/diritti fondamentali sono universali: valgono per tutti o non valgono per nessuno. Nella loro intrinseca natura non si riconoscono nelle ragioni di opportunità: quando la loro affermazione diventa esclusiva, piuttosto che inclusiva, sono gravemente intaccati nella loro credibilità e, a lungo andare, destinati a essere sconfitti.
Il problema della nostra idea della libertà sta nel fatto che è stata parassitata, fin dall’inizio, da una sua concezione come determinazione a stare nei legami in modo avulso da ogni senso di parità e di reciprocità secondo i propri interessi di parte. Nei nostri rapporti con i paesi “arretrati” questa idea perversa della libertà ha preso regolarmente il sopravvento, quasi sempre.
Libertà, uguaglianza, fraternità vivono solo nei legami tra differenze che si rispettano e stabiliscono scambi paritari tra di loro. Questa è la loro forza ma anche la loro vulnerabilità: la differenza degli uni può ferire la differenza degli altri. La violenza è il prezzo che si paga quando le ferite sono ignorate, svilite, quando le differenze dei modi di essere sono trasformate in differenze di rendita all’interno di un sistema di relazioni di scambio fondato su rapporti di potere.
Siamo soliti pensare all’integrazione come assimilazione di una cultura inferiore da una cultura superiore e ci attribuiamo una posizione di superiorità etica perché ci consideriamo detentori dei valori fondamentali. L’integrazione, invece, è incontro/scambio paritario tra diverse prospettive e modi di essere e funziona come matrice viva di concezioni del vivere nuove, più ampie e aperte alla scoperta. I valori fondamentali regolano il processo dell’integrazione e sono proprietà di tutti, non privilegio, rendita di posizione di una delle parti.
Non dobbiamo temere di contrastare la nostra viltà/arroganza. Di dire a chi critica l’operato delle ong di soccorso dei migranti, perché i delinquenti potrebbero approfittarne, senza tener conto delle tante vite che esse salvano, che sul piano etico è nella posizione degli scafisti.
Devono essere condivisi
Al
Devono essere condivisi
Al momento tutti gli islamici preferiscono delegare al Corano la legge e negano il diritto alla vita per APOSTASIA.
Questo indipendentemente dall’essere o meno kamikaze.