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Migrazione Salute Cultura – La Carta di Pontedera – 1993.

30 Apr 21

Di Sergio-Mellina
Reperto, documento storico? Cimelio? In essenza, uno scritto polveroso, dimenticato nei fondi di biblioteca. Un testo sperduto tra numeri di riviste sociali, pubblicate quasi 30 anni fa. Una sinossi socio-antropologica – se si vuole – di raccomandazioni umanitarie elementari, indirizzate a soggetti migranti: per l’accoglienza, l’asilo, la tutela della vita, il rispetto della persona, l’integrazione fra i nuovi “socius”. Venne formulato come enunciazione di principi e proposte, dai partecipanti al Convegno di Pontedera sulla Cultura e sulla Salute nel fenomeno migratorio, tenutosi il 12 e 13 novembre 1993, al termine dei lavori, come impegno civile. Arnaldo Nesti si fece carico di raccogliere, ordinarli e pubblicarli nella Rivista “Religioni e Società”, N. 19, Anno IX (maggio-agosto) 1994, intitolata “Le culture della salute: terapeutica e religioni”, pp. 58-61.

Ne avevamo parlato coi lettori di POL.IT. Psychiatry on line Italia [01], la rivista telematica di Francesco Bollorino, ma ora, un vero colpo di fortuna, ha fatto saltar fuori dagli inesauribili “scatoloni” della “biblioteca molto colorata” [02] che ci cura la domestica ucraina, i numeri giusti della rivista cartacea di Arnaldo Nesti. Addirittura tre: il numero precedente (N. 18, Anno IX, gennaio-aprile, titolato “Identità, etnicità, religione II”) e quello successivo (N. 20, Anno IX, settembre-dicembre, intitolato “Credenze, pratiche, profanità dell’Europa religiosa contemporanea”. Tutti sanno che la fortuna è cieca, ma tenuto conto che la domestica Natalia proviene da Velyki Soročynci, si potrebbe anche pensare a un “coup de théatre“ giacché si tratta dello stesso celebre villaggio dell'Oblast' di Poltava, che diede i natali a Nikolaj Vasil'evič Gogol', l’immenso narratore delle “Anime morte”, per dire dell’opera più celebrata.

Tornando alla “Carta di Pontedera”, c’è da aggiungere che il tema della salute e dell’assistenza sociale, come quello del lavoro, e dell’intolleranza razziale, specie con gl’immigrati, era allora di grande attualità, come forse lo è sempre stato da quando l’essere umano è comparso sulla terra. Ancora oggi continua ad esserlo, riproposto ai vertici dei “problemi assillanti” della convivenza di molte nazioni europee, americane, africane, asiatiche. Tra l’altro, il panorama europeo proponeva proprio in quell’anno, il 1993, in una Germania da poco riunificata, un grave rigurgito xenofobo di “naziskin” [03] in Renania Settentrionale-Vestfalia. Destò, infatti, enorme scalpore il bieco episodio d’intolleranza nera, culminato nell’”incendio di Solingen”, dove fu data alle fiamme un’abitazione di immigrati turchi (5 morti e 14 feriti). Era cessata la “guerra fredda” ma bisognava superare quella ideologica, cercando di ascoltare le ragioni di ciascuno, parlare con tutti. Scrutare le conseguenze delle feroci dittature militari latino-americane dei due decenni precedenti, in specie i lutti, la povertà, le disuguaglianze. Momenti difficili e cruciali quegli anni Novanta, ma anche gravidi di opportunità decisive. Il decennio che vide a Cuba la stupefacente visita di Giovanni Paolo II, ricevuto da Fidel Castro (1998). Lo stesso Karol Wojtyla che 7 anni prima non aveva saputo intendere le ragioni di Pedro Arrupe, il “Papa nero”, che gli era apparso pericolosamente troppo “rosso” con quelle sue strabilianti dimissioni. Un gesuita basco come il fondatore Ignazio, che era immigrato in Giappone per 38 anni, con tanto di bomba atomica ad Hiroshima. Esperienza che lo aveva profondamente trasformato al punto da ritenere più utile ascoltare il modo d’intendere la religiosità altrui, piuttosto che esportare conversioni. Quel gesuita poliglotta, medico lui stesso, che non riusciva a curare le povertà degli ultimi. L’unico “Superiore Generale” della Compagnia di Gesù, che voleva dimettersi prima di perdere la parola, nel 1991, per un ictus, che ammutolì per sempre i suoi sincretismi migratori di una giustizia veramente religiosa.

Nel tempo del convegno toscano, si diede vita ad una riflessione articolata e concreta sui bisogni primari (la lingua per esempio, l’istruzione). Sui riconoscimenti reciproci che bisognerebbe effettuare, preliminarmente, quando si entra in contatto con nuove realtà, nuove esperienze. Quando si viaggia, si emigra, si fugge da situazioni invivibili, dunque si viene a contatto con nuovi soggetti umani e culture diverse. Dal punto di vista legislativo, il clima dell’epoca, era normato dalla “Legge Martelli” (28 febbraio 1990) che, pur nella sua incompletezza, costituiva un buon inizio. Soprattutto per i rifugiati politici e richiedenti asilo, senza le ostilità preconcette delle leggi successive [04]. Da qui l’utilità dei suggerimenti e delle indicazioni per il rispetto della convivenza e del reciproco aiuto ospiti/autoctoni come del resto sottolineato ampiamente da Nesti nel suo ricco “Editoriale” introduttivo, d’impronta fondamentalmente pascaliana, ma anche scosso da vigorose raffiche merleau-pontiane, sui nuovi modelli d’intendere e praticare la salute, la medicina e la spiritualità in una «dimensione della corporeità individuale qui-ed-ora», com’egli stesso scrive. Ci rammenta inoltre come il contributo del fascicolo sia partito essenzialmente dal convegno “Le culture della salute in una società multiculturale, organizzato dal Comune di Pontedera dal 12 al 13 novembre 1993 in collaborazione con il Centro Italiano di Storia Sanitaria e Ospitaliera (Toscana), con «Salute e Territorio» (rivista della Regione Toscana) e con «Religioni e Società»”. Egli rileva altresì che l’«intento ultimo, la sua cifra “politica” (nell’accezione migliore), sono stati quelli di affrontare il rapporto tra salute e culture nel processo migratorio in atto». In un certo senso propositi all’avanguardia, validissimi e di piena attualità, ancor oggi, in una colossale deriva ottusamente pseudo-autarchico-autistica: “Prima-Io!”, o fintamente altruistica “Aiutiamoli a casa loro!” Ma se proprio da lì sono scappati?

Sia consentito sottolineare l’importanza storica della circostanza che si richiama, non solo per l’argomento proposto – “Le culture della Salute: terapeutica e religioni” ma anche perchè vi presero parte alcuni personaggi chiave e in un certo senso leggendari per il “rammendo” soprattutto (dopo le grandi rotture), in un u momento storico di mutamento di paradigmi. Tempo di “svolte”, di morte delle “ideologie”, ma anche quello della piaga pustolosa delle grandi corruzioni. Erano presenti a Pontedera (per ordine alfabetico): Nando Agostinelli (Assessore O.P.P. Roma), Riccardo Colasanti (Medico Psichiatra “Caritas” diocesana di Roma – cattedra di igiene Mentale Università di Roma “La Sapienza”), Corrado Corghi (storico, militanza cattolica di sinistra con vari intrecci anche latinoamericani, attinenti alla “teologia della liberazione”), Massimo Cuzzolaro (Medico Psichiatra ricercatore e docente Università di Roma La Sapienza), Luigi Di Liegro (Caritas Roma), Luigi Flavio Frighi (Cattedra Igiene Mentale Roma La Sapienza”), Vittorio Lanternari (ordinario di etnologia all’Università di Roma “La Sapienza”), Antonino Lo Cascio (psichiatra psicoanalista junghiano, primario del servizio territoriale del 7° Municipio di Roma), Sergio Mellina (neuro-psichiatra, psicopatologo fenomenologico, primario del servizio territoriale 5° e 10° Municipio), Arnaldo Nesti (Cattedra di Sociologia delle Religioni, Firenze), Gianfausto Rosoli (Direttore Centro Studi Emigrazione Roma).

 

Si trascrive testualmente (compresa l’ introduzione di Arnaldo Nesti) da p. 58 a 61.

 

dialoghi /documenti

 

La carta di Pontedera su cultura e salute nel fenomeno migratorio.

 

[In Europa diviene sempre più urgente una riflessione su sistemi e culture della salute, imposte dalla presenza degli immigrati, prevalentemente dai paesi extracomunitari con storie e culture diversissime. I disagi e le difficoltà dell’esodo, la non idoneità dei modelli culturali di origine ad assolvere i nuovi compiti di protezione psicologica e a fornire risposte efficaci ai problemi dell’esistenza, conducono l’immigrato ad orientarsi in un multiforme universo di simboli-valori e in un nuovo mondo di rapporti con strumenti approssimativi o impropri. È dunque essenziale che il paese di accoglienza, e il nostro in particolare (in virtù del suo passato apporto migratorio, e della sua dolente memoria storica in proposito) «recuperi il patrimonio scientifico e storico dell’emigrazione» per far fronte alla mutazione culturale legata non secondariamente alle migrazioni, «allontanando ogni tentazione di mobilitazione di ideologie, attitudini, comportamenti xenofobi e di condotte di discriminazione razziale».

Nel rapporto migrazione-salute sono investite le traiettorie esistenziali dei singoli nonché i termini della convivenza che si instaura tra le comunità. La condizione del migrante comporta marginalità e malattie conclamate, mentre anche (ed a maggior ragione) su questo fronte culturale/sanitario resta scarsa la capacità dei nostri servizi la capacità di affrontare quel sistema di bisogni di salute fisica e culturale ad un tempo che caratterizza le popolazioni immigrate. Si è detto (v. Editoriale di questo fascicolo) dell’occasione del Convegno di Pontedera. L’accordo sul peso della variabile simbolica e religiosa nella difesa dell’integrità stessa del corpo e della persona fu, in quell’occasione, pieno. Fu redatta allora questa Carta di Pontedera che pubblichiamo, un documento, come si chiarisce, «di raccomandazioni con prevalenti preoccupazioni operative».

Nel suo insieme esso intende costituire un efficace richiamo di fronte ad un fenomeno che investe tutto l’Occidente. In modo particolare voglio credere lo sia per quanti si interrogano sui fenomeni migratori che hanno mutato il loro orizzonte sociale e vitale, dagli insegnanti agli operatori pastorali ai medici. Sottolineiamo una sensibile testimonianza di questa attenzione nel contributo dei Mellina. Ma ordinariamente si conosce ben poco, o nulla, del background di saperi e metodi terapeutici e dei sistemi simbolici di interpretazione/induzione del male fisico” operanti nel sistema culturale nativo dell’immigrato. E si è tendenzialmente preorientati nel senso di obliterare questa frontiera di questioni, «nel presupposto – come avverte Lanternari – che comunque ci si urterebbe con un mondo di ”banalità”, di “superstizioni” e certamente con sistemi inaccettabili dalla scienza medica ufficiale. Ma proprio l’attuale deriva occidentale (post-moderna) verso orizzonti terapeutici diversi da quelli della medicina “scientifica” (su alcuni dei quali riferiscono ad esempio Cardamone-Schirripa), dovrebbe renderci avvertiti dell’estrema serietà culturale del bisogno di mappe terapeutiche differenziate. Arnaldo Nesti].

 

Carta di Pontedera

 

Il gruppo di lavoro formato al termine del colloquio Le culture della salute in una società multiculturale svoltosi a Pontedera dal 12 al 13 novembre 1993, organizzato dal Comune di Pontedera in collaborazione con il Centro Italiano di Storia Sanitaria e Ospedaliera (Toscana), da «Religioni e Società. Rivista di scienze sociali della religione» e da «Salute e territorio», rivista della Regione Toscana con l’intento di affrontare il rapporto fra culture e salute in seguito al complesso fenomeno migratorio in atto, ha ritenuto di poter fissare alcuni punti di una ideale Carta di Pontedera, un documento di raccomandazioni, con prevalenti preoccupazioni operative.

 

1. Nell’èra del “villaggio globale” della comunicazione la nuova ondata migratoria ridisegna la mappa dei continenti etnografici, minando la presunta omogeneità culturale delle società europee, dando vita a nuovi conflitti etnici culturali, etici e giuridici con implicazioni, a molteplici livelli, in termini di salute e specificamente dei salute mentale.

 

2. I disagi e le difficoltà dell’esodo, l’incapacità del modello culturale originariamente appreso, di assolvere ai suoi compiti di protezione psicologica e di fornire risposte efficaci al problema dell’esistenza, conducono l’emigrante a dover usare strumenti inadeguati per orientarsi in un diverso universo di valori e in un nuovo mondo di rapporti.

 

3. È essenziale per il Paese di accoglienza, nel caso il nostro, recuperare il patrimonio scientifico e storico dell’emigrazione italiana, attraverso un quadro di riferimento antropologico dei rapporti fra processi migratori e salute, per affrontare, con maggiore consapevolezza l’attuale fase di trasformazione culturale legata alle immigrazioni, allontanando ogni tentazione di mobilizzazione di ideologie, attitudini, comportamenti xenofobi e di condotte di discriminazione razziale.

 

4. Esiste uno scarto fra la portata esistenziale dell’esperienza migratoria e i discorsi scientifici che se ne occupano e che concorrono a creare la politica migratoria del nostro Paese. Questa portata investe le traiettorie esistenziali dei singoli ed anche i modi di convivenza che si instaurano nelle comunità. La condizione del migrante comporta situazioni di disadattamento e di disagio, nonché di marginalità sociale e di malattie conclamate, mentre scarsa resta la capacità dei “nostri” servizi socio-sanitari di recepire i bisogni di salute fisica e culturale delle popolazioni immigrate e di affrontare efficaci risposte.

 

Sulla base di tali considerazioni si auspica

 

1. La creazione di una metodologia di ricerca multidisciplinare capace di riformulare concetti e strumenti di indagine e di cura, attraverso un’approfondita ricerca sui fondamenti dei saperi etno-socio-antropo-psicologici. In tale area di confluenze disciplinari si dovrà tendere a configurare una nozione di terapia sempre più nutrita di connotati antropologici. Gli interventi sanitari e sociali dovranno prestare attenzione alle relazioni umane e ai processi di comunicazione al fine di costruire, per i migranti, ambienti favorevoli alla difesa della salute.

 

2. L’introduzione, negli ordinamenti didattici universitari finalizzati alla formazione di operatori in campo sociale, sanitario e ambientale, di corsi, seminari multidisciplinari sui problemi della salute correlati con le culture, le religioni, le tradizioni cioè con saperi e categorie concettuali propri delle popolazioni immigrate. Si è consapevoli che l’armamentario concettuale e linguistico del pensiero medico occidentale viene posto a non facile prova con ciò che si ritiene essenzialmente extrascientifico. Tuttavia si considera fondamentale ogni tentativo fatto tra cultori e operatori in campo etno-socio-antropologico psicologico e medico-sociale volto alla formazione di professionisti capaci di operare fruttuosi incontri con gli immigranti.

 

3. Lo sviluppo dei momenti di autoriflessione e di autovalutazione da parte degli operatori socio-sanitari finalizzati al miglioramento del benessere degli extracomunitari, alla crescita di rapporti solidali nei quali sia assicurato il rispetto per la persona e il contributo dell’autonomia, della competenza, del potenziale di cultura e di tradizioni di coloro che richiedono prestazioni.

 

4. L’attenzione da parte delle istituzione di sanità pubblica e dei servizi sociali all’apprendimento di esperienze per la difesa della salute e per la cura che costituiscono il patrimonio essenziale di ogni immigrato anche per la loro finalizzazione religiosa e comunitaria. La conoscenza di questo patrimonio può permettere la programmazione di attività promozionali e di animazione per l’acquisizione di modi di convivenza nel rispetto della salute e per il miglioramento della qualità di vita entro un contesto così dissimile dai territori di provenienza.

 

a) Nell’ottica di una società pluriculturale, le competenze delle comunità locali che si esprimono in attività di volontariato, di cooperazione solidale, di imprenditorialità sociale, di mutuo aiuto e in istituzioni non-profit, costituiscono una risorsa indispensabile quando si pongono oltre l’assistenzialismo, verso un piano progettuale e promozionale; si invitano i poteri regionali e locali a sostenere queste competenze comunitarie e le forme di cooperazione fra organismi delle comunità e i lavoratori extracomunitari e le loro famiglie, e ad assicurare altresì agli immigrati ambienti favorevoli alla salute e ad una civile convivenza mediante il supporto delle comunità e il riorientamento dei servizi socio-sanitari.

 

b) Si raccomanda al Parlamento, al Governo nazionale e ai Governi regionali di promuovere nuovi indirizzi di politica sociale, scolastica, sanitaria ed economica che tengano conto della crescita in atto nella società italiana pluriculturale che necessita di profondi mutamenti nei modi di costruire e gestire la cosa pubblica perchè siano resi operanti i diritti degli immigrati alla libertà di espressione e di associazione, alla professione religiosa, alla osservazioni delle tradizioni, al rispetto delle culture, alla riunificazione familiare, all’accettazione e alla partecipazione alla vita democratica del paese ospitante, al lavoro remunerato con giustizia, alla difesa della salute bio-psicologica.

In particolare si raccomanda di affrontare in ogni ordine di scuola (luogo privilegiato di integrazione) il tema della crescita in età, in salute, in cultura e in coscienza civile dei figli degli immigrati, dando forza all’educazione per la tolleranza, per la solidarietà, riconoscendo che la identità etnica si costruisce nell’interazione con gli altri trattando in maniera corretta argomenti fortemente conflittuali, valorizzando le differenze, riconoscendo il comune legame di interdipendenza.

 

c) Si raccomanda alle autorità di sanità pubblica di istituire nei territori di maggiore incidenza immigratoria degli osservatòri transculturali per le rilevazioni e modificazioni dei bisogni di salute. Le culture della salute per assicurare una giusta dimensione alla società pluriculturale, infatti, richiedono non subalternità ma conoscenza e dialogo, non emarginazione ma vicendevole rispetto, non salute come medicina come indivisibile stato di benessere, integrazione sociale e non lavoro nero, abitazioni salubri e aiuto alle donne immigrate ad interagire con le comunità di accoglienza anche con efficienti servizi sociosanitari, non assistenzialismo ma concreta compartecipazione.

 

 

Note

01. POL.IT. Psychiatry on line Italia, 11 settembre, 2019 – C’era una volta la “Carta di Pontedera” di Sergio Mellina.

02. POL.IT. Psychiatry on line Italia, 13 maggio, 2019 – Scatoloni e badanti. Una biblioteca molto colorata ma inutilizzabile di Sergio Mellina.

03. Il vocabolo “naziskin” indicava le facinorose teste rasate gli “skinhead” di ideologia neonazista, che utilizzavano ed esibivano simboli nazisti ricorrendo a metodologie intimidatorie e violente soprattutto verso minoranze etniche, religiose, omosessuali, tossicodipendenti.

04. Legge Turco-Napolitano (6 marzo 1998). Legge Bossi-Fini (30 luglio 2002) (detta anche “Bossi-Bossi”).

 

 

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