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“CIAO VITO!”. Il saluto di amici e compagni a Vito Guidi padre del CSM genovese di Voltri

1 Feb 23

A cura di chiclana

Sono stati in tanti a prendere la parola per salutarlo lunedì 30 mattina al tempio laico del cimitero monumentale di Staglieno, amici e compagni che hanno condiviso con lui la nascita dei servizi di salute mentale a Genova: l’ex presidente della Regione Claudio Burlando, che gli era legato da forte amicizia personale, e poi i colleghi Gian Paolo Guelfi, Piero Iozzia, Adriana Antolini, Luigi Ferrannini, Lino Ciancaglini, Natale Calderaro, Edoardo Bobbio. Poi una delle due figlie, i generi, una compagna di scuola, un ragazzo della Comunità di San Benedetto che ha ricordato la sua grande amicizia con don Gallo, e spero di non avere dimenticato nessuno, mentre il fratello, musicista, inframezzava gli interventi con brani musicali che gli sarebbe piaciuto ascoltare.
Nel pubblico, insieme alla moglie che gli è stata accanto per tutta la vita scrivendo insieme a lui una grande storia d’amore, Mirosa Pedemonte,  i colleghi con i quali ho condiviso per un anno, quando lui era da poco in pensione ma la sua impronta nel servizio era ancora molto calda, il lavoro presso il Centro di Salute Mentale di Voltri: oltre a Mirosa, medici, psicologhe, assistenti sociali, infermiere e infermieri che mi ha emozionato ritrovare.
Riporterò alcune delle cose che sono state dette di lui come se fosse un grande ricordo collettivo.
Qualcuno ha ricordato la sua passione per il calcio fin da bambino, per il suo Genoa che di soddisfazioni ce ne dà sempre poche, le discese con gli sci che affrontava con un inconfondibile berretto rosso col pon pon che una paziente aveva fatto per lui, i giochi di carte nei quali era maestro, i cani e i gatti dei quali gli piaceva la compagnia, gli abiti sobriamente ricercati ed eleganti, la musica classica, jazz e rock, i cantautori – Paolo Conte, Fabrizio De André, Francesco De Gregori –  il cinema d’autore del quale era cultore eccezionalmente competente e collezionista, la grande passione per la lettura.
Qualcuno ha ricordato le sere di riunioni dense di fumo, con i compagni e le compagne a discutere appassionatamente, a cercare insieme la strada. Qualcuno la sua grande capacità di essere amico. Qualcuno il grande amore che ha avuto per Mirosa, per le figlie e i nipoti.
Un uomo appassionato della vita in tanti diversi aspetti, che fa piacere pensare che l’abbia vissuta con tanta pienezza e fa male pensare che non la possa vivere più.
Qualcuno ha ricordato la passione della sua militanza nel Partito Comunista, che è stata una parte importante della sua vita. Militanza politica e lavoro di psichiatra trevano origine, io credo, in lui da un’unica fonte: la genuina bontà verso chi soffre e l’onesta insofferenza di fronte alle ingiustizie. Qualcuno ha ricordato la dolcezza come tratto fondamentale del carattere, sposata alla determinazione quando occorreva. Qualcuno il temperamento mite e la capacità di sedare le liti quando avevano carattere personale. Qualcuno le parole di Antonio Gramsci che soleva ripetere: la pazienza, è la virtù del rivoluzionario. Qualcuno ha ricordato il suo capolavoro, quel Servizio di Salute Mentale che ha saputo plasmare come una grande famiglia, conferendogli uno stile che era poi il suo stile, una famiglia ciascuno dei cui membri era del tutto diverso dagli altri, un pezzo originale, ma nella quale ciascuno era accolto e rispettato per com’era. Il grande rispetto che aveva insegnato agli operatori uno per l’altro, e il rispetto e lo stile familiare con i quali accoglievano i pazienti. La franchezza delle sue poche parole aveva qualcosa di saggio, di solenne.
Sapeva manifestare in modo aperto l’allegria, Vito, e questa non è dote di tutti. E quando qualcosa non gli andava, sapeva alludervi con un’ironia complice, sorniona, garbata.
Neurologo di formazione, su spinta del Partito si era spostato verso la psichiatria quando le cose in quel campo si sono messe in movimento, aderendo con entusiasmo dalla metà degli anni ’70 alle idee di Franco Basaglia e a Psichiatria Democratica e spostandosi a lavorare dal San Martino all’Ospedale Psichiatrico di Prato Zanino, per poi uscirne e dare vita, appunto, al servizio di Voltri.
Lì ha trascorso il resto della vita lavorativa, dalla nascita del servizio intorno al 1980 fino alla pensione, a metà degli anni ’90. Lì, in quel clima familiare e affettuoso che aveva saputo creare, un clima nel quale si stava molto bene – che credo sia un presupposto utile per fare stare bene – l’ho conosciuto nell’anno che mi sono trasferito da Savona a Genova. E lì ho ritrovato qualcosa di simile a quanto avevo incontrato sette anni prima, iniziando la mia prima esperienza in un servizio territoriale che portava anch’esso in quel momento ancora fresca l’impronta di un uomo buono, Gian Soldi.
Nella grande sala riunioni di via Lemerle dove tutti si sostava tra una e l’altra visita, ed era il cuore pulsante del servizio, in alto in mezzo a una parete per il resto bianca campeggiava il “suo” manifesto, quello con il quale Psichiatria Democratica di Arezzo aveva salutato Basaglia il giorno della morte. Cogliendolo in un momento di gioia in mezzo a un gruppo di giovani, e chiamandolo: il compagno, l’amico, il maestro.
Sono termini, questi, adatti anche per ricordare Vito Guidi, io credo. Non abbiamo avuto mai lunghe occasioni d’incontro, ma ci siamo fiutati e credo che ci siamo molto piaciuti, riconoscendo l’uno nell’altro idee e passioni simili nei campi della politica, della salute mentale, della cultura (per lui, considerata in senso più vasto). Del resto, era molto facile volergli bene: Vito era capace di fare sentire l’affetto e la stima soltanto con l’atteggiamento, in modo straordinario. Non so perché, ma ogni volta che l’ho incontrato ho sempre avuto la sensazione che mi  stesse seguendo nel lavoro molto di più di quanto mi avrebbe dovuto far pensare la sua vita tranquilla di pensionato nel buen retiro sulla collina di Crevari, ormai fuori dai giochi.
L’ultima volta che l’ho visto gli avevo telefonato per invitarlo alla presentazione del mio libro, alla Libreria Feltrinelli, alla fine di aprile. Una delle immagini del libro era quel manifesto al quale sapevo che teneva, ed era una sorpresa per lui. Mirosa rispondendomi mi ha detto che era uscito pochi giorni prima dall’ospedale, ancora debole e convalescente; ma quando me lo ha passato e gli ho detto il titolo del libro, Ritorno a Basaglia?, lui entusiasta come un ragazzino mi ha promesso che avrebbe fatto assolutamente di tutto per esserci. E lo ha fatto davvero!
Lo ricordo con Mirosa in prima fila, dandomi un piacere straordinario col fatto di esserci.
Io credo che la storia dei servizi della nuova psichiatria in Italia voluti da Basaglia sia fatta in gran parte di personaggi come Vito Guidi, che forse non si sono lasciati dietro molta memoria scritta ma meritano di essere ricordati per avere lasciato impronte di grande umanità nel cuore di coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarli. E che possono continuare a portarle con sé, come un regalo generoso.

Nell’immagine: A cena al Festival de l’Unità, settembre 2001

Nel video, una delle canzoni più amate: “La leva calcistica del ’68”, di Francesco De Gregori 

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