L’inserto “Salute” del Corriere della Sera del 17 dicembre scorso conteneva una significativa sottolineatura dell’importanza e dell’efficacia della cosiddetta “Medicina Narrativa”, ossia delle pratiche per la salute che avvengono in contesti e in relazioni in cui medici e personale sanitario da una parte e paziente dall’altra parlano di sé, dicono delle proprie esperienze delle cure, della malattia, dello star male. La “Medicina Narrativa” si differenzia dalle pratiche mediche che si limitano alla raccolta delle notizie anamnestiche e degli accertamenti diagnostici, alla diagnosi e alle terapie, in applicazione di protocolli elaborati, aggiornati e indicati da parte delle Società scientifiche, secondo le procedure e gli standard di una medicina cosiddetta “basata sulle evidenze”.
Il fatto è che la malattia non è solo uno star male basato su un danno biologico, ma anche un insieme di significati che le sono attribuiti da chi ne soffre e dalle reti di relazioni che lo attorniano. Il tenerne conto favorisce l’adesione ai trattamenti, e quindi la loro efficacia. Per questo è importante saper riconoscere e valorizzare le complessità e le ricchezze che stanno nel rapporto medico-paziente, ma anche più pienamente, fra una struttura sanitaria multiprofessionale (non solo medici, non solo personale sanitario) e la persona che sta male con le sue relazioni affettive e sociali.
La “Medicina Narrativa” per le sue modalità e finalità è certamente un tratto costitutivo dei Servizi di salute mentale territoriali italiani la cui opera ha consentito la chiusura dei manicomi. Tutto questo ha richiesto e continua a richiedere di tenere aperti ambulatori almeno 12 ore al giorno, tutti i giorni della settimana, residenze a vario grado di protezione, percorsi di vita e lavoro verso la massima autonomia possibile, di andare a trovare a casa le persone in carico a DSM che, disponendo quindi di una dotazione adeguata di personale, siano messi nelle condizioni di programmare e condurre gli interventi necessari e utili. Secondo il progetto obiettivo nazionale per la salute mentale del novembre 1999, un buon DSM deve poter contare sullo standard di 1 operatore dedicato ogni 1500 abitanti, cioè 67 ogni 100.000..
Come scrive Andrea Casadio sul quotidiano “Domani” del 22 dicembre scorso, negli ultimi quindici anni i governi che si sono succeduti hanno operato una serie di tagli impietosi che hanno sottratto al Servizio sanitario nazionale oltre 37 miliardi di euro, e le cose sono peggiorate a precipizio: gli ultimi dati del ministero della Salute ci dicono che ora sono in servizio 28.807 operatori (57,4 per 100.000), di cui 25.754 dipendenti a tempo pieno, 1.789 part-time e 1.264 nel privato convenzionato. Rispetto allo standard fissato, ne mancano almeno 4.600. Secondo il Rapporto sulla sanità di Cittadinanzattiva, un paziente psichiatrico su 4 denuncia di aver avuto difficoltà di accesso alle cure pubbliche, quasi un cittadino su 4 lamenta la scarsa qualità dell’assistenza fornita nei dipartimenti e centri di salute mentale, per ridotte ore di assistenza, per numero e frequenza di incontri, per una cura quasi sempre affidata esclusivamente alla terapia farmacologica”.
Come affrontano l’emergenza “Servizi di salute mentale” le Regioni? É eloquente il caso della Regione Lombardia.
Il Coordinamento dei Direttori dei DSMD lombardi ha denunciato la mancanza nell’insieme dei servizi pubblici della Regione di 300 psichiatri e 2000 tra infermieri, psicologi, educatori, assistenti sociali: quasi la metà del numero degli operatori che dovrebbero essere presenti e attivi. E, sulle pagine milanesi del “Corriere della Sera” del 18 dicembre scorso è stato evidenziata la condizione di abbandono in cui versano da tempo i pazienti psichiatrici in carico ai Dipartimenti di Salute Mentale e delle Dipendenze (DSMD) della città di Milano: per ciascuna delle decine di migliaia di persone con diagnosi psichiatrica registrate nel Sistema informativo della salute mentale dovrebbe essere previsto un progetto personalizzato di salute discusso e concordato con il Centro di salute mentale di riferimento che può prevedere non solo visite ambulatoriali, ma anche visite domiciliari, opportunità di residenza in alloggi protetti oltre che in famiglia, accompagnamento nel lavoro e quanto utile alla miglior qualità possibile della vita quotidiana.
Con la carenza di operatori evidenziata questo significa un aumento del carico di lavoro non solo sugli operatori in servizio, ma anche sulle famiglie dei pazienti, il taglio dei tempi dedicati agli incontri, all’ascolto e agli interventi al domicilio: un vero disastro per l’impossibilità a garantire prese in carico efficaci e progetti personalizzati di salute. Nonché, evidentemente, l’impossibilità di una Medicina Narrativa.
La Giunta Regionale lombarda ha licenziato in questi giorni il Piano Sociosanitario Regionale 2023-2027, un documento di una settantina di pagine, tre delle quali dedicate alla “Salute mentale”, parte del capitolo intitolato agli “Interventi sociosanitari”. Vi si confermano il DSMD come “fulcro del sistema”, l’importanza dei servizi territoriali e si propone la “riorganizzazione degli interventi per intensità terapeutico riabilitativa e assistenziale” in servizi di primo e di secondo livello. Sono sottolineati i problemi:
– della gestione dell’aggressività nei Pronto Soccorso e delle contenzioni negli SPDC;
– del superamento degli OPG tramite le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), senza tuttavia assumere alcun impegno circa la necessità di mettere fine alla concentrazione di tutte le REMS lombarde nell’area già OPG di Castiglione delle Stiviere e con un solo cenno al “potenziamento delle attività di salute mentale nelle carceri”
– dell’adeguamento della Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza alle domande di salute poste dalle giovani generazioni, specie per quanto riguarda la questione delle dipendenze patologiche. In particolare, in tutte le Aziende ospedaliere occorre istituire equipe di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza (NPIA). Esse devono costruire percorsi condivisi coi reparti di psichiatria, pediatria, Pronto Soccorso e le altre strutture coinvolte nell’acuzie, particolarmente per le situazioni di dipendenza da sostanze e di vulnerabilità sociale o da migrazione;
– del potenziamento della presenza degli operatori dei DSMD nelle carceri.
Nulla o quasi è detto sull’urgente, doveroso lavoro per la salute mentale dei migranti e della vita quotidiana nei CPR di Milano.
Sono infine dichiarati l’obiettivo di “potenziare l’arruolamento del personale sanitario medico e non medico anche supportando il potenziamento dell’offerta formativa” rafforzando la programmazione in sinergia con le Facoltà di Medicina delle Università Lombarde sia pubbliche sia private.
A fronte dei dati drammatici circa la carenza di operatori, come denunciato anche sulla stampa lombarda, il Piano Sociosanitario 2023-2027 della Regione pare riconoscere l’esistenza dei problemi, ma al momento non contiene impegni, finanziari e non, indispensabili per uscire da una situazione che vede i DSMD sull’orlo del tracollo.
Luigi Benevelli
Mantova,31 dicembre 2023
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