INTERVISTA A VANNA MORGAVI
L’Ing. Dott. Vanna Morgavi è Primo Ricercatore presso l’IEEIT del CNR sez. di Genova. Ha lavorato come System Analist in CDC, una multinazionale americana, prima del suo attuale incarico. Oltre a essere laureata in ingegneria elettronica, si è laureata in psicologia e si è specializzata in psicoterapia ipnotica alla scuola di Milano AMISI.
Ha al suo attivo un centinaio di pubblicazioni internazionali di vario tipo: si è occupata dell’influenza dei campi elettromagnetici sullo sviluppo cellulare, ha lavorato sul modello di Hodgkin e Huxley (un modello elettrofiosiologico della membrana cellulare). Attraverso questi modelli è giunta a studiare gli sistemi dinamici complessi; ha così sviluppato un interesse per le teorie del caos e dei comportamenti intelligenti, nonché per l’uso delle reti neurali.
Attualmente si occupa di apprendimento e di modelli caotici ed è coinvolta in un progetto europeo per la costruzione di living artefacts che fa parte del Progetto Quadro Information Society Technology Future and Information Technology. Nell’ambito di questo progetto si occupa di sviluppare un robot (Kurt 2) dotato di sensori e in grado di apprendere e comunicare.
Ci puoi spiegare che cosa è l’intelligenza artificiale e di cosa ti occupi nello specifico?
L’intelligenza artificiale è un ambito molto vasto: storicamente l’obiettivo era quello di far sviluppare un comportamento intelligente alle macchine.
I modelli possono essere classificati sotto due punti di vista a seconda se l’obiettivo è capire o riprodurre un comportamento intelligente. Mi spiego meglio: per esempio se parliamo di un uccello, possiamo studiarlo per poi costruire un oggetto che vola (ad es. un aereo) e saremo interessati ad alcune cose, per esempio i materiali. Se invece il nostro scopo è capire e descrivere i meccanismi del volo saremo interessati ad analizzarne le leggi per poi applicarle agli ambiti più diversi.
Analogamente, nel fare modelli di comportamenti intelligenti esistono differenti approcci.
Negli anni settanta, con l’avvento dei calcolatori, c’è stato un grande entusiasmo e si è tentato di realizzare i cosiddetti Sistemi Esperti: l’idea era che il computer poteva riprodurre i processi di pensiero di esperti di diversi ambiti dello scibile umano. Si è visto che questo funzionava solo parzialmente, principalmente perché l’esperto non era in grado di trasmettere tutte le conoscenze che possedeva.
Uno dei problemi che è emerso con questo tipo di intelligenza artificiale è che, essendo il calcolatore una macchina fondamentalmente "stupida", non riusciva a rispondere a domande con un certo contenuto di incertezza, cioè il computer era in grado di rispondere solo a domande formulate in modo rigido e preciso. Bisogna riconoscere che dalla ricerca sui sistemi esperti è nata una serie di realizzazioni concrete, per esempio sono nati alcuni sistemi per la diagnosi. Molte applicazioni utili sono state sviluppate con questi modelli, il loro limite tuttavia era legato all’incapacità di questi sistemi di adattare e generalizzare le proprie risposte a richieste non previste esplicitamente.
Allora sono nate le reti neurali artificiali, modelli capaci di apprendere dall’esperienza. La rete neurale artificiale è strutturata come un insieme di nodi che, analogamente ai neuroni fisiologici, sono collegati mediante "sinapsi" informatiche.
Di fatto queste reti sono in grado di prendere delle decisioni anche in situazioni ambigue.
Nell’ambito delle reti neurali, ci sono quelli più applicativi (come la back-propagation o le mappe di Kohonen) che vengono usati per svolgere funzioni specifiche come eseguire diagnosi o riconoscere dei caratteri ecc. e poi ci sono dei modelli estremamente complessi che simulano il comportamento del cervello, ma che per il momento hanno livelli di complessità tale da non essere utilizzabili in alcuna applicazione
Attualmente l’intelligenza artificiale è sintesi dei due approcci: sistemi esperti e reti neurali.
Ovviamente attualmente si usano sistemi ibridi, che usano in parte sistemi esperti e in parte reti neurali o fuzzy set.
Come se ci fosse un modello e un adattamento a tale modello?
Ni… Per spiegare meglio cosa sono le reti neurali posso farvi un esempio: se voglio che una rete neurale apprenda il teorema di Pitagora, anche una rete neurale semplice di tipo applicativo, tipo la back propagation, posso dare in input i valori del quadrato dei due cateti e imporre che il risultato sia il quadrato dell’ipotenusa. La rete neurale cercherà di capire quale regola lega i due cateti e l’ipotenusa. Dopo un po’ la rete neurale imparerà che la somma del quadrato dei cateti è uguale al quadrato dell’ipotenusa.
Questo apprendimento richiede molto tempo, e non ha senso che io faccia imparare alla macchina il teorema di Pitagora quando è più semplice che io glielo "insegni esplicitamente". Questo lo posso fare perché il teorema di Pitagora è una conoscenza certa. Attualmente l’applicazione delle reti neurali riguarda quegli ambiti in cui non sono state esplicitate regole certe.
Ad esempio in un sistema diagnostico medico spesso ho alcuni parametri che sono strettamente correlati con la patologia e altri a cui non so che peso dare anche se è probabile che influenzino la diagnosi. Posso quindi "dire" alla rete neurale che Tizio, con certi valori di tot parametri ha avuto una certa diagnosi; posso "dire" anche quali sono le acquisizioni "certe" riguardo a quella diagnosi. La rete neurale è in grado di costruirsi un modello che pesa l’impatto di tutti i parametri, anche quelli su cui io, ricercatore, non ho alcuna certezza; impara dai dati, dalla casistica che gli propongo e formula un "risultato", una diagnosi.
Mi viene in mente che proponiamo ai lettori di Pol-it una intervista sull’intelligenza artificiale in una sezione dedicata alla psicologia, e che questo sottende una visione nella quale è fondamentale una concezione scientifica della psicologia.
Tutti i professori di psicologia all’università iniziavano il loro corso con un " panegirico" che sosteneva la scientificità della psicologia.
Quando io ho discusso la tesi a un certo punto un professore mi ha chiesto: ma allora lei ritiene che la psicologia non sia scientifica? C’era un po’ di tensione e io gli ho risposto che se avessi ritenuto che non valesse la pena di studiare la psicologia non avrei certo preso una laurea in quella materia. Però non gli ho assolutamente detto che psicologia è scientifica…perché non penso che lo sia! Ma non perché sia una materia inferiore ad altre, è questo il grande fraintendimento.
Il primo equivoco è l’equivalenza complessa che afferma che scientifico è sinonimo di vero. Ciò non corrisponde a realtà. La scienza costruisce modelli che rispondono a certe domande, ma non è assolutamente detto che essi siano coincidenti con la verità. I fisici (scienziati per eccellenza) fanno modelli semplificati in cui i corpi sono solidi ideali che si muovono in un mondo regolato da leggi ideali. Queste approssimazioni sono necessarie per trattare i modelli matematicamente e, per la maggior parte dei fenomeni fisici sono accettabili, ma la psicologia si occupa di sistemi talmente complessi che è difficile strutturare un approccio semplificato e scientifico per affrontarli. Talvolta è possibile, ma più si sale nella scala della complessità più è difficile riuscire a costruire modelli matematici
E’ impossibile tenere sotto controllo tutte le variabili?
Esatto, per il momento è così; forse un sistema molto più intelligente di noi potrà farlo, per ora, per noi è una specie di autoreferenza in cui ci perdiamo come in un bicchiere d’acqua.
D’altro canto è vero che è solo un problema di competenza. Se noi, per ipotesi fossimo degli alieni molto più intelligenti, più capaci, con della matematica più avanzata potremmo forse avere un approccio scientifico alla psicologia, magari potremmo avere delle percezioni su cinque dimensioni invece che su quattro (le tre dimensioni spaziali più il tempo) e tutto ci potrebbe sembrare elementare; movendoci su una dimensione in più potrebbe diventare facilmente modellabile tutto quanto.
In realtà per noi in questo momento è difficilissimo o, per essere precisi, si possono fare delle cose scientifiche rispetto alla psicologia, ma sono cose molto elementari.
Il mio robottino, Kurt 2, che è considerato un progetto molto avanzato, è in realtà uno stupido pipistrello! Riuscire a trovare esperimenti di psicologia da fare sull’apprendimento di Kurt non è banale perché il livello di complessità di qualunque essere vivente è molto più alto, con una quantità di variabili che sarà difficile ridurre a un modello di tipo informatico.
Parlare di approccio scientifico significa per me definire un certo numero di variabili, costruire un modello matematico, sperimentare l’evoluzione di quelle variabili secondo quel modello, quindi misurarle. Questo livello di definizione in psicologia è ancora difficile da raggiungere.
D’altro canto questa tensione da parte degli psicologi verso lo scientifico è giusta perché la psicologia per certi aspetti si deve ancora scrollare di dosso l’accusa di essere cialtroneria. Purtroppo, l’approdo all’approccio scientifico è reso difficile dal livello di complessità dell’oggetto di studio: questo è anche il grande fascino della psicologia perché c’è ancora tanta strada da percorrere.
La psicologia ha comunque prodotto modelli descrittivi della mente
Certamente e ciò è molto utile per fare psicoterapia, però il modello descrittivo è debole da un punto di vista scientifico. Il modello descrittivo è molto utile per capire certi meccanismi, ma rimane vago, non ha la validazione scientifica, non fornisce la rassicurante sensazione di poter misurare, oggettivare, qualcosa.
Solo per fare un esempio: nell’approccio neuropsicologico ci sono forme di oggettivazione. Per esempio l’attenzione può essere misurata sulla base della operazionalizzazione di un costrutto e della sua validazione metrica; si può quindi fare una valutazione confrontabile con parametri normativi.
Si tratta comunque una misurazione molto "blanda" rispetto a qualunque fenomeno fisico. In psicologia la storia del singolo diventa pesantissima: io sto facendo uno studio su ipnosi e elettroencefalogramma ed è una tragedia! La variabilità tra individuo e individuo è enorme. Quello che si chiama neuroinformatica si occupa appunto di analizzare dei pezzetti delle competenze umane, ma quello che si riesce a fare con la modellistica matematica è minimo.
Forse ho una visione molto ristretta di cosa è scientifico: scientifico è qualcosa di cui puoi fare dei modelli matematici, cioè è una visione da fisico. Perciò in questo senso le misurazioni di cui tu parli non sono ancora a questo livello. Sono tutte cose molto utili che cercano di ridurre la complessità, però oltre un certo livello la complessità non si riesce a ridurre senza eliminare aspetti essenziali del fenomeno; di qui nasce lo scollamento
Intendiamoci però, la modellistica matematica non è la verità.
Comunque il linguaggio della matematica è quello che dà peso scientifico
Esattamente
Quindi quali sono, a tuo modo di vedere, i rapporti tra psicologia sperimentale e intelligenza artificiale?
Ci sono delle interazioni per certi aspetti specifici: un esempio è la psicologia sperimentale sul funzionamento dell’occhio e della visione e la produzione di protesi per non vedenti. Per tutta la parte di intelligenza artificiale e robotica rispetto alle protesi è fondamentale l’interazione tra psicologia sperimentale e intelligenza artificiale, sapere come funzionano le curve di visione, di udito, ecc.
Ci sono anche modelli dell’apprendimento che sono stati sviluppati in un’ottica di teoria del caos?
L’apprendimento può essere diviso in diversi stadi: una prima fase di apprendimento è immagazzinamento di informazioni, dopo di che c’è il vero passaggio di growing up, di crescita. In questo stadio c’è l'utilizzo di quello che è stato appreso per apprendere qualcos’altro. Un meccanismo analogo c’è nella teoria degli stadi di Piaget, cioè nel momento in cui c’è una ristrutturazione dello script interno per fare quadrare qualcosa che non quadrava.
E’ l’insight se vuoi, che tutti noi sperimentiamo continuamente soprattutto quando cresce la conoscenza, l’acquisire delle competenze nuove. Questo permette l’apprendimento intelligente: è quello che entra in gioco quando lo scimpanzé dentro la gabbia scopre che il bastone con cui sta giocando gli può essere utile per avvicinarsi la banana che non riesce a raggiungere. Questa fase secondo me è caotica.
Mi spiego meglio: diciamo che c’è una fase di ordine… arriva un’informazione che non riesce a rientrare nello script, questa, siccome viene percepita, scombina la struttura dello script. L’elemento che si percepisce porta, diciamo così, a scombinare la struttura dello script, porta quindi a una fase di grande disordine. Poi attraverso il caos — il caos è la transizione tra ordine e disordine e viceversa - dicevo attraverso il caos, che è un "disordine intelligente", si può costruire una nuova struttura.
In modo analogico si vede molto bene, le immagini caotiche sono sempre molto belle, sono strutture molto complesse che possono cambiare facilmente, con piccoli ingressi. Cioè il caos ha anche la caratteristica di essere funzionalmente poco costoso. Un sistema ordinato in equilibrio è difficilmente spostabile dal suo stato, ci vuole una grossa energia per portarlo in un’altra posizione, mentre un sistema che è al limite tra l’ordine e il caos o un sistema caotico, è un sistema che può essere guidato da uno stato ad un altro con un segnale molto piccolo. Se io ho una struttura di ordine che, diciamo, man mano che aumentano le informazioni si sposta un pochino e si avvicina verso una posizione caotica, quando arrivano informazioni che non stanno più dentro questa struttura perché che non riescono a "quadrare", il passaggio al caos è il passaggio creativo.
Questo a parole è piuttosto semplice, io ora mi sto impegnando perché lo voglio far diventare un modello matematico. La matematica ha sempre generato teoremi in modo autonomo. Poi dopo anni la fisica li ha usati per — diciamo — implementare dei modelli, per modellare delle cose fisiche.
Questa descrizione del caos è interessante per la psicoterapia che è anche un modello di cambiamento
Anche .. certo
Produrre grossi cambiamenti con piccole modificazioni
Certo, sono certa che funzioni così, però se è molto difficile mettere in forma matematica un modello semplificatissmo dell’apprendimento, sulla psicoterapia diventa quasi impossibile .. cioè l’analogia può essere solo verbale, perché ci muoviamo in un ambito il cui livello di complessità è elevatissimo per noi.
Mi sembra di capire che la difficoltà grossa sia riguardo l’aspetto emotivo perché quello non puoi operazionalizzarlo.
Si quello si… sicuramente. L’emozione, l’emotività è una matrice. Io penso, come psicologa, che noi siamo macchine di emozioni…su cui poi mettiamo una parte razionale per stabilire una continuità tra il nostro passato e il nostro futuro, per avere il nostro senso del sé. Sicuramente l’emozione è la matrice di tutto questo, però tutto questo … è difficilissimo da "modellare"…
Volevo farti ancora qualche domanda sugli aspetti, come dire, di formazione per i giovani psicologi che sono interessati a questi argomenti
Esiste una convenzione tra la sezione di Genova dell’IEIIT del CNR e l’Università di Torino per cui posso seguire come tutor il tirocinio postlaurea di due dottori psicologi. In realtà vedo che gli psicologi neo formati hanno grosse difficoltà a scegliere un’esperienza del genere perché l’ambito della ricerca nella formazione è ancora abbastanza limitato
A Padova è molto forte questa esigenza…della ricerca
Io con Padova non ho avuto contatti perché non ho avuto richieste esplicite in tal senso, ma non ho difficoltà, se qualcuno me ne fa richiesta, ad avviare la convenzione con l’università di Padova.
Sono referente anche per il tirocinio per la scuola di Specialità della AMISI di Ipnosi.
Esistono possibilità di inserimento lavorativo?
Per quanto riguarda le possibilità di lavoro è difficile perché in questo momento in CNR non esiste una politica di espansione delle risorse umane. Si possono avere consulenze sui progetti, dei contratti a termine su progetti finanziati dalla Comunità Europea.
Commenti
Mi pare che la "parziale trasmissione del sapere" da ricercatore a computer non possa essere un reale handicap, in quanto ogni bambino crescendo impara normalmente a riconoscere cio' che delle conoscenze ricevute, da mamma / papa'/insegnante... e' incompleto o errato e si attiva per ottenere dalla realta' quel "vantaggio"(che Freud individuo'dal lavoro di Darwin) che desidera. Una deludente "non capacita'di generalizzare" della matematica attuale nei confronti della mente umana segnala, a mio parere, la caratteristica piu'sorprendentemente produttiva dell'uomo, su cui mi riservo di tornare. Il neurologo Oliver Sacks individuo'nella "sinestesia neonatale" un vantaggio indiscutibile alla nascita, sebbene patologica in eta'successiva. Concludo sorridendo al pensiero della pedagogia di Piaget cosi' utile allo scimpanze'... Ringrazio l'autrice sia per il suo preziosissimo lavoro di ricerca che per la sua indiscutibile passione verso l'umano.