"MI FORMI?......MA QUANTO MI FORMI?"

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9 gennaio, 2013 - 16:16

di Giuseppina Messina

 

 

La formazione "accreditata" in psichiatria ha, certamente una vitalità molto maggiore rispetto alle altre branche della medicina, soprattutto dopo che (con la "psichiatria di consultazione" e "la psichiatria di confine"), sono stati allargati i margini dell’intervento psichiatrico, ben al di là di quelli classicamente definiti.

ANALISI DEL CAMPIONE

Ho preso in esame le proposte formative nelle varie regioni italiane comparse su Pol-it nel mese di novembre ( e attualmente aggiornate al 2004) e, pur nella ristrettezza del campione (soprattutto per il breve e non indicativo arco temporale), è possibile, a mio avviso, capire quali siano gli indirizzi formativi della psichiatria italiana e se è possibile cogliere spunti molto per eventuali futuri approfondimenti.

Dall’analisi grezza del campione si evince intanto che quasi la metà dell’offerta formativa si realizza nell’Italia del Nord (49,6%) [con la Lombardia a fare la parte del "leone" con il 38,2%], mentre l’altra metà è ripartita tra centro e sud (isole comprese).

 

Per quanto attiene ai "provider" essi sono i più disparati anche se, nella grandissima maggioranza, si tratta di aziende private, agenzie o scuole di formazione, con una piccolissima rappresentanza di aziende pubbliche ospedaliere o territoriali.

Gli eventi proposti, tutti residenziali, sono per circa la metà a pagamento e, tra questi ultimi, la stragrande maggioranza si giova di finanziamenti tramite sponsor commerciali: il costo/credito degli eventi già accreditati va da 3,6 EURO/credito a 44 EURO/credito con una media che si aggira intorno ai 21 EURO/credito, mentre il costo/ora di formazione va da 3,8 EURO/ora a 39,3 EURO/ora con una media di 16,5 EURO/ora.

 

Le tematiche affrontate dai 393 eventi pubblicati sono le più disparate: la parte da padrone la fa la psicologia (25,4%) seguita molto dappresso dalla clinica (23,7%), le tematiche meno rappresentate sono la riabilitazione (6,1%), il management (4,1%) e la psichiatria forense (1,5%).

I 93 eventi proposti con temi di clinica, riguardano nella maggior parte il disturbo bipolare (25,8%), seguito molto da vicino dal "paziente grave" (21,5%), mentre tutti gli altri temi seguono a notevole distanza (schizofrenia 7,5%, disturbo dell’umore 4,4%, disturbo alimentare 8,6%).

CONSIDERAZIONI

"Niente di nuovo…..", dunque, sul fronte della formazione: l’ECM non sembra aver per nulla determinato un cambiamento del "sistema", anzi, potremmo tranquillamente affermare che si sono semmai appesantiti i "punti critici" (formazione a macchia di leopardo, condizionamento da parte di sponsor commerciali, scarso impegno formativo del settore pubblico, polarizzazione su argomenti che prevedono un ritorno commerciale) e lo spazio riservato a tematiche in qualche modo non collegate con l’uso di farmaci si è ulteriormente ristretto, ad esclusione di quelle di "psicologia clinica", spesso collegate a scuole di specializzazione o di formazione post-laurea, che prevedono altissime quote di iscrizione e ridotto numero di partecipanti.

Così il settore riabilitativo ed il management, ad esempio (di grande attualità sotto l’aspetto formativo), vengono "schiacciati" dalla ridondanza di eventi proposti direttamente o indirettamente da case farmaceutiche o da scuole di specializzazione, con il risultato che, nel primo caso, il soggetto formatore (quasi sempre un’agenzia) propone un tema scontato e ripetitivo e nel secondo il costo dell’evento lievita notevolmente, ricadendo esclusivamente sul discente, alla ricerca di un "titolo" sulla cui valenza, peraltro, molto c’è da discutere.

Si evince dal campione che la formazione, in psichiatria (ma ritengo anche in altre discipline) vada un po’ "a mode": oggi, evidentemente, è di moda il disturbo bipolare ed è in forte declino quello dell’umore, mentre fa specie la quasi totale assenza, nel "ventaglio" di offerte, dei disturbi di personalità (che per complessità di intervento ed impegno di servizi occupano, forse il primo posto) e, dopo il "boom" dei nuovi neurolettici, il bassissimo interesse per i disturbi schizofrenici.

C’è, però, da analizzare la forte "attrazione" che suscita l’argomento in generale indicato con la definizione "paziente grave" (espressione molto aleatoria, che può comprendere ognuna delle categorie diagnostiche), anche perchè molte industrie hanno polarizzato il loro interesse, nell’informazione, all’uso di nuovi farmaci in questa tipologia di pazienti. In tal senso non può non suscitare perplessità il rapporto tra numero di eventi formativi ed entità reale del problema: senza voler entrare nel merito della definizione (ripeto aleatoria e suscettibile di innumerevoli interpretazioni) il concetto di "gravità" sembra anch’esso seguire mode e culture epocali, senza alcun aggancio alla clinica. L’attenzione data dai mass media ad episodi di cronaca che hanno visto coinvolti operatori e pazienti, mi pare possa avere avuto la sua importanza nel riesumare un imprudente assioma (gravità = pericolosità), che ha spostato l’interesse delle case farmaceutiche e dei ricercatori, dal settore riabilitativo (di moda fino a qualche anno addietro) a quello della "patologia grave", che, ripeto, mi pare, invece, almeno numericamente, meno rilevante.

Scompare quasi del tutto l’ansia in ogni sua veste a fronte di un altissimo numero di pazienti con questo tipo di patologie che afferiscono ai servizi pubblici e privati: a mio avviso la complessità e multidisciplinarietà dell’intervento, determina, paradossalmente, una scarsa "attrazione" commerciale di tali tematiche, soprattutto per la confluenza nell’intervento di aree della psicologia clinica e della psicoterapia che, evidentemente, non hanno alcun "mercato".

Sembra, peraltro, emergere, da parte degli sponsor commerciali, uno scarso interesse per l’incentivazione di farmaci non inseriti nel prontuario e, perciò, totalmente a carico dell’utente: si tratta prevalentemente di ansiolitici ed ipnoinducenti che scompaiono quasi completamente dal programma formativo, in considerazione del maggiore interesse che le case farmaceutiche hanno di promuovere farmaci prescrivibili ed erogabili tramite i servizi pubblici.

Ciò, a mio avviso, potrebbe essere collegato alla notevole prevalenza di servizi territoriali pubblici ed alle modalità prescrittive oggi molto meno rigide di qualche anno addietro.

Non è un caso che, indipendentemente dalla reale azione "ansiolitica" di molti serotoninergici, le case produttrici sembrano impegnate in una campagna di propaganda di tali farmaci più come ansiolitici che come antidepressivi, quasi a voler soppiantare un mercato storicamente consolidato di altissimo valore remunerativo.

Un dato che necessiterebbe di ulteriore approfondimento è quello relativo all’Ente organizzatore: dal campione si desume (con tutti i limiti di una ricerca tanto limitata) che il settore pubblico (Università, aziende ospedaliere e territoriali) abbia delegato la formazione al privato ed alle associazioni professionali, se è vero che nemmeno il 10% della formazione accreditata viene gestito da tali enti, a fronte di una obbligatorietà per il dipendente (prevista dalla normativa) di partecipare ad eventi formativi organizzati dal proprio ente di appartenenza per almeno il 50% dei crediti annuali.

Sta di fatto, invece, che non tutte le aziende pubbliche si sono dotate, per la formazione, di strutture organizzative adeguate, finendo per preferire, giocoforza, l’organizzazione di eventi formativi di basso costo ed altrettanto basso valore (alto numero di partecipanti, penetranza territoriale prevalentemente locale, etc.), spesso legati alla buona volontà di un gruppo di lavoro e, solo raramente, inseriti in un organico progetto formativo aziendale.

L’avvento dell’ECM ha dunque soltanto apparentemente modificato (non solo, ripeto, in psichiatria) la storica modalità commerciale di fare formazione e non credo si possa dire che l’abbia ripulita da tutte quelle incrostazioni che l’hanno resa e la rendono poco credibile, pur riconoscendo che per molti decenni l’impegno della case farmaceutiche è stata l’unica opportunità che, soprattutto i medici, hanno avuto per poter arricchire il loro bagaglio formativo.

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Il fruitore per eccellenza -l'operatore sanitario- ha margini di scelta ridotti e insieme l'obbligo di raggiungere i famigerati 50 ECM annui: molto spesso è costretto a seguire gli stessi corsi ECM dell'anno precedente, ahimè, nella stessa formula.
Il mandato dell'O.M.S. è davvero un miraggio e dunque obsoleto. La salute psico, fisica e sociale non è mai stata così a rischio.
A mio avviso, nella "presa in carico della persona malata" ci si impegna poco e male.


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