La funzione dello humor del terapeuta nello stabilirsi di un dialogo con pazienti border-line e psicotici

Share this
12 ottobre, 2012 - 13:11

"Ciò che si racconta qui non è serio
anche se si tratta delle cose più terribili"
Kundera

 

In occasione del Convegno di Biaritz dell’8-12 ottobre 1997 su ‘Humor: storia, etnologia, cultura, psicopatologia, arteterapia’, ho incontrato madame Anne Denner, arteterapeuta conosciuta in Italia ove fin dagli anni ‘70 organizza corsi di formazione in arteterapia, e le ho presentato alcune domande sull’argomento.

 

Intervistatore: Il titolo del Convegno è ‘Humor: storia, etnologia, cultura, psicopatologia, arteterapia’, come lo humor si inserisce in un discorso di arteterapia e di arte?

Denner: Kundera in un testo dei "Testamenti traditi" si esprime così a proposito degli scritti di Rabelais e di Rushdie; notando "l’unione tra il non-serio e il terribile" a proposito di Rabelais ci dice: "Ciò che si racconta qui non è serio..... qui non si affermano delle verità (scientifiche o mitiche)....." Cita anche Paz che spiega come lo humor "rende tutto ciò che tocca ambiguo". Egli menziona ancora come attraverso l’utilizzo dello humor si costituisce "il territorio in cui il giudizio morale è sospeso" e come questo rappresenti di per sè una forma di morale. Poi precisa ancora come "la creazione del campo immaginario in cui il giudizio morale è sospeso ha permesso all’uomo europeo di costituirsi individuo".

Lo humor per Kundera è "la luce, l’illuminazione divina" che scopre il mondo nella sua ambiguità morale e l’uomo nella sua profonda incapacità o impossibilità a giudicare gli altri. Lo humor, "il piacere della relatività delle cose umane, piacere strano derivato dalla certezza che non c’è niente di certo". Non si può definire meglio l’atmosfera che si crea, fin dai primi incontri per tutta la durata della cura, tra il terapeuta e quei pazienti che per la prima volta prendono contatto con il mondo della psichiatria e sono molto angosciati non solo per il loro stato psichico, ma anche per il fatto di sentir pesare su di loro il giudizio della società che dà o non dà loro il nome di "ammalati mentali". I pazienti sono anch’essi angosciati al momento dei primi incontri: entrano in contatto con i curanti e con l'istituzione che li accoglie, e di essi non conoscono ancora il funzionamento e le regole.

Il paziente si trova nel mondo dell’incertezza ed egualmente il terapeuta, impegnato nella scoperta del mondo misterioso dei confini della psicosi, nella ricerca di un approccio empatico, preso dal desiderio di comprendere l’altro.

 

I: Come si articola e si forma dunque il discorso dell’arte-terapeuta durante i primi incontri nell'atelier terapeutico di espressione plastica, così determinanti per il paziente?

D: Il linguaggio del terapeuta, attraverso il quale consapevolmente egli potrà far appello allo humor, dovrebbe riferirsi al paziente stesso, comprendendo quindi il suo modo di presentarsi, con i tipi di espressione che gli sono propri, il suo presente, spesso molto drammatico e conflittuale, la sua storia familiare, i suoi problemi economici, di solito molto difficili, la sua abitazione, il suo lavoro reale o potenziale, i suoi studi, i suoi gusti, le sue aspirazioni, i suoi progetti sull’avvenire, i suoi desideri, che altrimenti bisogna d’altra parte cercare di creare qualora non esistano. Il paziente si trova nell’incertezza e il terapeuta, impegnato nella scoperta del suo mondo immaginario, utilizza lo humor per difenderlo e difendersi.

Il linguaggio fornito dal terapeuta ruota inoltre intorno all’opera creata dal paziente e in quest’ambito l’uso dello humor può aprire molte possibilità. In realtà il discorso humoristico riguarda anche la specificità dell’attività artistica che supporta e alimenta un discorso altrettanto specifico, nel quadro di questi atelier. L’incontro terapeuta paziente e il dialogo che dovrebbe seguirne è facilitato dallo humor perchè esso introduce una relazione da pari a pari: si può parlare insieme. Lo humor, poi permette di allargare il campo del discorso e di prendere ’alla larga’ i differenti aspetti dei problemi posti, di evocare tutte le ipotesi possibili, di stabilire dei paragoni. In questo largo campo di numerose possibilità messe a sua disposizione è raro che il paziente non provi interesse per qualche elemento e non giunga ad apportare un abbozzo di risposta che gli sia veramente personale. E’ così che si arriva ad "aprire la breccia nel sistema schizofrenico" di cui parlava Minkoski. E’ a questo livello che la situazione del primo contatto è sdrammatizzata e che si crea non un rapporto gerarchizzato di valore tra curante - curato, ma un accordo, una complicità che facilita l’empatia e lo stabilirsi della relazione terapeutica in un clima in cui il paziente si sente riconosciuto e valorizzato. D’altra parte l’occhio portato sul mondo circostante è anche lui più sereno, ogni cosa ha il suo posto grazie alla distanza permessa attraverso una visione umoristica. I malati sono spesso totalmente incapaci di humor, incollati ai loro problemi e invasi da loro stessi. Non ci si riferisce certo allo humor a tema patologico o delirante, ma a quello che implica la presa di distanza in rapporto agli avvenimenti e un certo grado di libertà. Cosa che a loro in genere è completamente estranea. Questo sarà uno degli obbiettivi degli atelier di cui l’arte, simbolo di libertà, è la chiave di volta, per tentare di dare ai nostri pazienti la capacità di acquisire e di gestire un grado minimo di libertà e di praticare loro stessi questo tipo di discorso.

 

I: Come il terapeuta può utilizzare lo humor nell’incontro con l’opera dei pazienti?

D: In generale, soprattutto all’inizio della cura, i pazienti border-line o psicotici, hanno piuttosto bisogno di essere confortati, rassicurati, incoraggiati nel loro iniziale tentativo di espressione. Pertanto vi sono vari aspetti dell’opera sui quali è possibile esercitare una sorta di discorso che utilizzi lo humor. Tra questi vi è certamente il tema dell’opera che fa da collegamento al linguaggio parlato: argomenti deliranti, aggressivi, auto-aggressivi, infantili, distruttivi, incompleti, poco chiari, ripetitivi.....Il terapeuta non può, immediatamente, verbalizzare, approfondire il suo pensiero, risolvere certe contraddizioni, spiegare un’idea delirante. Lo humor permetterà di cercare insieme le soluzioni, di aiutare il paziente a trovare le sue interpretazioni così da rispettare meglio le difese del soggetto, di girare intorno ai problemi.

 

I: Che tipi di relazioni si creano negli atelier di arteterapaie come quale funzione assume lo humor nelle dinamiche degli incontri?

D: Nella pratica degli atelier si possono distinguere due condizioni terapeutiche differenti: la prima è la relazione duale, ove il paziente si confronta direttamente col proprio terapeuta, ma ove è anche possibile utilizzare l'opera che lui crea poichè rappresenta un modo di espressione e al contempo un mezzo difensivo potente; si tratta di comprendersi, e spesso lo humor è mal compreso, mal interpretato. La risposta umoristica può però essere riformulata, come un’anticipazione di ciò che il paziente potrà comprendere e integrare più tardi: si guadagna tempo; lo humor aiuta il terapeuta a mettere il dito su qualche punto sensibile, espresso attraverso i disegni, senza pungolare il paziente a scoprirsi, senza violare i suoi misteri, ma sollevando un velo della sua intimità segreta.

Nella seconda situazione il paziente lavora in gruppo, con altre persone. In questo caso, può essere interessante far partecipare il gruppo alla discussione, guardando quindi insieme le opere. Ci si diverte, ci si distrae e lo humor può creare una dinamica nuova, facendo affiorare l’opera, parlando intorno ad essa, vicino ad essa, ma nello stesso tempo proteggendola, così come il suo autore, perchè l’opera è sacra qualunque sia il suo limite, che sia essa solo una pennellata o un tratto di matita. Si potrà sorridere e ridere insieme, certo il ridere non è lo humor, ma quest’ultimo contribuisce, e il ridere, ci dice Gogol, nel "All’uscita da un teatro", "E’ più importante, più profondo di quanto non si pensi......il ridere che approfondisce il soggetto obbliga ciò che fuggiva a staccarsi con vigore, il ridere senza la forza penetrante del quale la meschinità e la vanità della vita non spaventerebbero così tanto gli uomini....solo ciò che è oscuro provoca la rivolta, ma il riso è luminoso".

 

I: Qual’è l’effetto dello humor sul gruppo dei partecipanti?

D: Destinato particolarmente ad una persona, il discorso "umoristico" viene ad avere un effetto sull’insieme dei partecipanti; è a questo punto che l’ambiente degli atelier di arteterapia acquisisce caratteristiche proprie permettendo, cioè una sdrammatizzazione, una rassicurazione necessaria a questo tipo di pazienti, dovuta ad un’accoglienza così calorosa: la creazione di questo "bagno affettivo" propizia allo sviluppo dell’espressione spontanea. Questo "bagno affettivo" dipende dal modo di porsi dei terapeuti, dal loro allontanarsi e avvicinarsi ai membri del gruppo, da tutta una serie di rapporti di sincronia - per riprendere i lavori di Hall, così ben descritti nella "La danza della vita"-, ma anche attraverso un bagno di linguaggio tramite il quale il terapeuta affronta tutta una serie di argomenti attorno e a lato del problema posto. Si parlerà di cinema, di musica, di teatro, di storia dell’arte, un insieme culturale nel senso più vasto del termine, senza dimenticare però i problemi della vita quotidiana.

 

I: E nel mondo dell’arte quale’è il posto dello humor?

D: Arriviamo così a sfiorare un problema importante, che non è possibile trascurare, quello di sapere se lo humor è parte integrante del mondo dell’arte e dei discorsi che vertono su di essa. Se l’artista contemporaneo, attraverso la sua opera, esercita le più grandi critiche sul mondo, non trascura, nel suo modo di esprimersi certe forme di humor, che paiono però piuttosto espressione di derisione; l’arte contemporanea è piena di questi esempi, ma anche di espressioni di disappunto, tristezza, angoscia. L’artista di oggi ci racconta spesso "Le cose terribili" evocate da Kundera. Per contro , in quella che si chiama convenzionalmente "la vita d’artista", lo humor avrebbe un posto importante. Nel mondo dei critici d’arte, al contrario questa forma di spirito ci sembra avere poco spazio, perchè l’arte è una cosa troppo importante della quale non si può ridere o sorridere facilmente, perchè l’artista è a nudo e non ha, come i nostri pazienti, un terapeuta a filtrare l’aggressività che può suscitare un’opera. Essendo il rapporto dell’arte essenzialmente affettivo, emotivo e anche passionale questi affetti lasciano poco spazio allo humor, che necessita distanza e arretramento. Sembra quindi che la pratica sistematica di un discorso integrante la dimensione umoristica, nel quadro dell’arteterapia, sia una delle caratteristiche di un approccio ai nostri pazienti tale da aprire possibilità non trascurabili di rapportarsi alla loro problematica personale.

 

*Dall'edizione on line de "ILVASO DI PANDORA"

> Lascia un commento


Totale visualizzazioni: 2916