Immagini allo specchio
La rappresentazione dello psichiatra e dei suoi pazienti
di Alberto Sibilla

Pericolosità sociale e stereotipi mediatici. Psycho-Gagliano

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10 gennaio, 2014 - 10:08
di Alberto Sibilla

Nella vicenda di Bartolomeo Gagliano sono stato particolarmente colpito dall’insistenza da parte di tutti i mass media nell’uso della definizione “serial Killer”. Le parole sono spesso dei macigni per cui al di là della vicenda reale, questo termine ormai radicato nell’immaginario popolare ha contribuito ad accentuare il senso di pericolosità della situazione, scatenando reazioni spesso eccessive con continue chiamate di correità: il ministro Cancellieri, il direttore del carcere, il magistrato di sorveglianza, gli psichiatri del carcere e del DSM e così via … Le risposte degli interessati erano imbarazzate e tese a evitare una responsabilità diretta di fonte ad accuse così gravi.
Mi permetto un salto a ritroso nel tempo e per comprendere il fenomeno mediatico è indispensabile un ritorno all’inizio della storia e al prototipo del serial killer nel cinema: Norman Bates il protagonista di Psycho (1960). Il film di Hitchcock ebbe un enorme successo ed è diventato nel corso degli anni un cult. La trama è incentrata su un pluriomicida di giovani donne, che attende con l’aspetto di bravo e timido ragazzo le vittime nel suo motel e le ammazza in una specie di stato dissociativo, vestito come la madre morta. La narrazione particolarmente azzeccata, ha avuto successo anche perché con un uso sapiente dell’inquadratura, favorisce una visione dal di dentro da parte degli spettatori. Qui emerge una prima caratteristica di queste storie: il fascino del male e i meccanismi d’identificazione con la paura. Un secondo punto nodale del film è nel finale. Dopo che Bates è stato arrestato, appare uno psichiatra, il dottor Oakland, che in maniera oracolare spiega il funzionamento della mente dell’assassino con un forte senso di certezza e credibilità. Il regista Hitchcock era affascinato dalla psicoanalisi e lo psichiatra è introdotto dallo sceriffo con la frase “ l’unico che può spiegare tutto questo è uno psichiatra”. Anche da questa sicurezza esplicativa nascono i nostri guai, anche se lo psichiatra precisa “Uno psichiatra non getta il fondamento, si limita a spiegarlo”.  Dopo questo  film nasce una serie infinita di epigoni e per molti anni la spalla di questi serial killer nella narrazione sono gli psichiatri o più spesso alla fine trionfano  spiegazioni di tipo grossolanamente psicoanalitico. Tornando a Psycho l’interpretazione degli omicidi seriali, sta nel rapporto patologico di Norman Bates con la madre e con traumi infantili tra violenza e sesso. Queste saranno le spiegazioni in tutti i film successivi fino agli anni 80, talora insistite più sul sesso e altre volte sulla violenza.
Negli anni 80 assistiamo a un’affermazione dei serial killer, personaggi di grande successo nel cinema.  Cambia il genere che diventa horror, destinato prevalentemente al pubblico giovanile. Ne ricordo alcuni: Halloween, Non aprite quella porta, Nightmare e i protagonisti Faccia di cuoio, Freddy Kruger, Jason …

La mia è una citazione per difetto perché  sono molto più numerosi e sempre  più cattivi. Sono sicuramente di un livello qualitativo inferiore rispetto a Psycho, ma non sono da considerare un fenomeno secondario in quanto hanno avuto un successo travolgente, non solo negli Usa. Ogni personaggio da origine a una saga con numerosi episodi e le storie sono fatte con precisione e favoriscono meccanismi identificativi nei giovani spettatori. Nelle motivazioni di questi omicidi, perdono peso le dinamiche madre/figlio e acquistano valore handicap fisici, violenze subite non tanto in famiglia (anzi le mamme hanno un ruolo protettivo) quanto nella società che lasciano deturpazioni nel corpo e nella mente che possono venire elaborati unicamente con ulteriori delitti.  Altri personaggi incarnano un male che definirei metafisico, il male in sé come in It, romanzo e film (anche qui con numerosissimi episodi) di grande successo del maestro dell’horror Stephen King, da sempre narratore del Male. Non bisogna sottovalutare l’importanza di questi film, da cui nasce una serie di spin off, di videogiochi, di fumetti, di merchandise vario e anche di sequel comici.
Termino questo mio primo descrizione storica fermandomi prima del personaggio malvagio per eccellenza, lo psichiatra Hannibal Lecter e suoi successori nei serial televisivi di cui parlerò in seguito.
E se iniziassimo a dire che il problema della pericolosità non può ridursi a stereotipi o per usare un termine filosofico “il male” non è facilmente riducibile e prevenibile con la razionalità umana “sempre sospesa fra ciò che dipende da noi e ciò che dipende dagli eventi esterni, fra ragione e passione, fra virtù e ciò che si oppone”. Questa frase è  tratta da una critica ( Curi Il filosofo al cinema)  del film Elephant di Gus Van Sant che descrive un delitto ben più grave, la strage della scuola di Colombine . Ricordo che in quella città due studenti uccisero dodici coetanei e un insegnante e ferirono una trentina tra studenti e insegnanti.  Di queste stragi ne sono seguite molte in America e non solo, con un lungo dibattito sulla prevenzione di queste stragi. Anche questi ragazzi rientrano nella vasta e complessa categoria dei serial killer. Nel film viene fatta una descrizione fredda e apparentemente neutra senza prendere posizione , da cui emerge la molteplicità delle cause e la difficoltà a comprendere e delimitare le motivazioni di una strage.
Torno a Bartolomeo Gagliano e a riflessioni contemporanee. La prima riguarda l’enorme potere di fascinazione di queste storie su un pubblico molto vasto, che va da persone culturalmente critiche, a ragazzi portati a fenomeni d’identificazione più immediati e semplici. Non possiamo pensare che non abbiano un peso su di noi.   
La seconda riflessione sta nel ruolo d’interpretazione di tipo psichiatrico che ha accompagnato spesso queste storie. Nei tempi d’oro della psicoanalisi tutto era riconducibile alla Madre schizofrenogenica, in tempi più recenti subentrano i limiti cognitivi e le ferite che deturpano in maniera orrenda il corpo (Faccia di cuoio, Freddy Kruger) e la responsabilità della società nel creare mostri. Come si vede la definizione di serial killer nel cinema è molto varia e racchiude situazioni molto differenti, ma ancora oggi l’approfondimento spesso oracolare è affidato a psichiatri/criminologi.
Arriviamo ai media. Quando tutti i telegiornali aprono per parecchi giorni i servizi con “ Serial Killer pericoloso è evaso approfittando di un permesso” , mi sembra evidente che queste parole hanno l’effetto di una bomba e scatenano emozioni e vissuti che sicuramente hanno ben poco a che vedere con la persona di Bartolomeo Gagliano, ma sono collegate con immagini e racconti ben stratificati nella nostra mente. Le interviste di approfondimento (mah…) sono inquisitorie e ottengono risposte imbarazzate, anche nei magistrati solitamente così sicuri del bene e del male. In questo vedo la responsabilità della televisione che semplifica in maniera pericolosa qualsiasi problema, usando un linguaggio” isterico” (nel senso di Shapiro), cioè tutto pieno di emotività e tutto racchiuso nel qui e ora. A questo attacco si dovrebbe rispondere in prima istanza ribadendo che la previsione di pericolosità sociale è di tipo probabilistico e può ridursi a una certezza soltanto nella prosopea di chi è sempre alla ricerca della “tragedia annunciata”. La scienza, anche la nostra che è debole, ha metodologie che prevedono il dubbio e l’errore . 
Riprenderò il tema in particolare per discutere se possiamo dare un contributo come psichiatri: del resto le perizie ci sono richieste.

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