LA VOCE DELL'INDICIBILE
I suggerimenti della rêverie degli Artisti
di Sabino Nanni

Amore come cura o come veleno: corpo e pensiero dell’innamorato nei sonetti XLIV e XLV di Shakespeare

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10 giugno, 2023 - 10:36
di Sabino Nanni
        Pubblico qui anticipatamente un frammento di un lavoro che ho ancora “in cantiere”: i miei commenti ad alcuni Sonetti di Shakespeare da cui il clinico può trarre preziosi suggerimenti.
        Proust riteneva che le storie d’amore potessero rivelarsi interessanti solo nella fase dell’attesa e in quella del rimpianto; mentre ciò che l’innamorato dichiara quando il rapporto è in corso viene avvertito dagli estranei come banale o persino noioso. Ciò, effettivamente, riflette il fatto che chi è estraneo al rapporto d’amore (e talora anche lo stesso innamorato) non riesce ad andare al di là di una visione superficiale di questa esperienza.
        Al contrario, Shakespeare, ne coglie gli aspetti profondi. Nei Sonetti XLIV e XLV illustra l’importanza cruciale che assumono il corpo ed il pensiero, come vengono vissuti dall’innamorato. Come spiegherò meglio nel commento più sotto, si tratta di vissuti cui il clinico deve prestare particolare attenzione soprattutto quando si prende cura di persone costituzionalmente fragili, a rischio di contrarre una psicosi schizofrenica, e/o a rischio di suicidio. Ecco i Sonetti:
XLIV

If the dull substance of my flesh were thought,
Injurious distance should not stop my way,
For then despite of space I would be brought,
From limits far remote, where thou dost stay.
No matter then although my foot did stand
Upon the farthest earth remov’d from thee,
For nimble thought can jump both sea and land,
As soon as think the place where he would be.
But ah, thought kills me that I am not thought
To leap large lengths of miles when thou art gone,
But that so much of earth and water wrought,
I must attend time’s leisure with my moan.
Receiving naught by elements so slow,
But heavy tears, badges of either’s woe.
 

[Se la fiacca sostanza della mia carne fosse pensiero, / l’oltraggiosa distanza non arresterebbe il mio cammino, perché allora, a dispetto dello spazio, io sarei trasportato / dai confini più remoti fin dove tu sei. / Non importerebbe allora che il mio piede premesse / la più remota terra lungi da te, / poiché l’agile pensiero può saltare mare e terra / appena pensa il luogo dove vorrebbe essere. / Ma, ahimè! Mi uccide il pensiero che io non sono un pensiero / che attraversi con un balzo lunghe miglia quando tu sei via, / ma che, fatto così tanto di terra e d’acqua, / io devo accompagnare con lamenti il mio tempo libero. / Non ricavando da elementi così tardi nulla / se non grosse lacrime, simbolo del dolore di entrambi]

 

XLV

The other two, slight air, and purging fire,
Are both with thee, wherever I abide,
The first my thought, the other my desire
These present absent with swift motion slide.
For when these quicker elements are gone
In tender embassy of love to thee,
My life being made of four, with two alone,
Sinks down to death, oppressed with melancholy.
Until life’s composition be recured,
By those swift messengers return’d from thee,
Who even now come back again assured,
Of thy fair health, recounting it to me.
This told, I joy, but then no longer glad,
I send them back again and straight grow sad.
 

[Gli altri due, l’aria leggera, e il fuoco purificatore, / sono entrambi con te, dovunque io stia; / il primo il mio pensiero, l’altro il mio desiderio, / scorrono, con rapido movimento, ora presenti, ora assenti. / Poiché quando questi elementi più rapidi sono andati da te / portandoti un tenero messaggio d’amore, / la mia vita fatta di quattro, rimasta sola con due, / sprofonda fino a morire, oppressa da melanconia. / Fino a che la composizione vitale sia reintegrata / dai due veloci messaggeri di ritorno da te / i quali solo allora ricompaiono quando han certezza / della tua buona salute, per darne conto a me. / Ciò udito, mi rallegro; ma poi, non più contento, / li rinvio a te e subito ridivento triste.]

 

        Shakespeare, con la sua grande sensibilità, riesce a cogliere il significato profondo delle parole, che spesso l’innamorato pronuncia e che, a chi lo ascolta, sembrano di solito banali e poco interessanti.
 – Gli innamorati sono sempre soli, non compresi da chi, come quasi sempre succede, si è dimenticato d’aver vissuto la stessa esperienza: i primi sentono di star vivendo un rapporto di eccezionale importanza, mentre coloro che ne sono al di fuori lo considerano del tutto ordinario –
        L’innamorato sente come altamente significativa l’affermazione: “Quando la persona che amo è lontana, ne soffro. Mi consola solo il pensiero che è viva, sana, e che mi sta aspettando” Il Poeta coglie, in queste parole, il ritorno ad un importante crocevia nello sviluppo affettivo e sessuale: il momento in cui il corpo ed il pensiero possono essere vissuti come elementi che separano, oppure che uniscono all’oggetto d’amore. Il corpo è prigioniero dello spazio e del tempo: quando entrambi lo separano dalla persona che ama, il bisogno (che esige immediata soddisfazione) di un contatto con lei viene dolorosamente frustrato. Solo il pensiero, mettendo in moto l’attività immaginativa, può superare “magicamente” le barriere spazio-temporali e raggiungere l’unica fonte dell’amore e della felicità. Tuttavia il pensiero stesso testimonia all’innamorato che lui nella sua interezza, in quanto prigioniero del suo corpo, è del tutto privo della stessa agilità dell’attività mentale: il pensiero che lui “non è pensiero”, lo “uccide”.  
        Corpo e pensiero rischiano d’essere vissuti come nemici dell’amore, e questi vissuti prevalgono nell’esperienza interiore dello schizofrenico. Egli attacca il pensiero: lo “attacco al legame” (Bion) con un mondo esterno insopportabile. Attacca anche il corpo: le auto-mutilazioni, frequenti in questi psicotici in epoca pre-psicofarmacologica.
        Il Poeta accenna anche ad una funzione auto-riparativa del pensiero e del sentimento; essa è la premessa di un’evoluzione sana: il pensiero, appoggiandosi ad un sentimento dell’esistenza e dell’affetto della persona amata (l’oggetto d’amore insediatosi abbastanza saldamente nel mondo interno) rassicura il soggetto che l’oggetto d’amore c’è ancora, e che lo sta aspettando. L’attesa, così, diviene temporaneamente sopportabile. Anche il corpo, nel momento in cui l’unione con la persona amata è sentita come possibile, diviene amico dell’amore.
        Tuttavia, in questa fase delicata dell’amore, il pensiero rassicurante non è stabile: la realtà deve periodicamente confermarne la veridicità; una frustrazione brutale lo distruggerebbe. Se l’individuo non fosse costituzionalmente abbastanza sano (e quindi in grado di tollerare le frustrazioni), la strada sarebbe aperta per la psicosi schizofrenica, oppure per il suicidio. Ecco il motivo per cui l’amore può essere una cura insostituibile che favorisce un’evoluzione sana; tuttavia, in persone particolarmente fragili ed in circostanze sfavorevoli, può divenire un veleno.
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