Psicoanalisi della colpa e colpe della psicoanalisi. Intervista a Roberto Speziale-Bagliacca

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18 settembre, 2012 - 20:50

 

Colpa e vergogna 

Anna Grazia:Un libro credo che abbia sempre una storia speciale, non scritta, fattadi vissuti, emozioni, esperienze dell'autore: c'è forse qualchemotivo particolare che l'ha spinta a scrivere questo interessante testo,complesso e pieno di riferimenti anche ad altri ambiti oltre a quello dellateoria e della clinica psicoanalitica?  

RobertoSpeziale-Bagliacca: Di motivi immagino che ve ne siano parecchi. Unoperò si impone sempre quando tento di rispondere a questa domanda.È ovviamente solo un motivo cosciente. Per ragioni che non sto araccontare, erano venuti meno i motivi di segretezza professionale relativial caso clinico che, nel terzo capitolo del libro, chiamo L.L. (si trattadel padre con il figlio che subiva continui scacchi negli studi); le seduteche riporto mi avevano colpito: mi avevano profondamente commosso. Avevoanche pensato che, se L.L. era arrivato a dire quelle parole che mi suonavanocosì importanti, era probabile che io avessi contribuito, anchese non ne avevo piena coscienza.  Proprio in quei giorni vidi a MadridLeón Grinberg, l'analista che più ha influito sulla mia formazione.Gliene parlai e lui mi suggerì di scriverne un commento, anche percercare di capire quale contributo la "mia" psicoanalisi poteva aver datoa quel risultato. Per ispirarmi, ripresi in mano proprio Colpa e depressione,forse il più famoso libro di Grinberg, dopo di che incominciai ascrivere. Lessi altre cose e continuai a scrivere, feci ricerche, gli orizzontisi dilatarono e si aprirono all'etica, al diritto, ma anche alla letteratura,al dramma...al melodramma. E continuai. Dedicai anche una particolare attenzioneproprio al fatto che del mio contributo a quella che desidero chiamarela guarigione di L.L., non avevo avuta piena coscienza. Ne è natoil capitolo sul preconscio, che chiamo la mente del poeta. Il saggio sigonfiò a dismisura. Quando arrivai a iniziare la parte che dovevariguardare la vergogna, feci il calcolo delle pagine: superavanole trecento. Mi fermai e rinunciai, sia pure a malincuore, ad occuparmidi questo argomento per molti versi sorprendente. Lo riprenderòun giorno. 

A. G.:Sorprendente?  

R.S.-B.-Il tema della vergogna è vasto e intricato, e già questomi intrigava. Per di più, credo di aver individuato (non so ancorase altri hanno già detto la stessa cosa; non l'hanno detta gli autoriche ho finora consultato), credo d'aver individuato due fenomeni psichiciche vengono citati con il nome vergogna, creando confusione: ilprimo corrisponde a una emozione primitiva, una reazione di natura narcisistica,che sorge in determinate circostanze ed è accompagnata da risposteanche somatiche (rossore, abbassamento del capo, il senso di sprofondare,ecc.), risposte che intrattengono rapporti con il senso di colpa, pur differenziandosene.Credo che ognuno di noi sa bene a cosa alludo. Il secondo fenomeno èuna reazione assai più "adulta" che sfrutta ideologicamente la reazioneprimitiva che ho appena descritto. Vergogna diventa allora una parolavuota nella quale far confluire una quantità di fenomeni psichici. 
L'ideologiacui mi sto riferendo è quella dell' "onore", tema sul quale ho trovatodecine di articoli e saggi di grande interesse, anche clinico. Per capirea cosa alludo, basterà pensare alle limitazioni cui per secoli èstata sottoposta la sessualità femminile; una donna che avesse avutorapporti sessuali prima del matrimonio veniva chiamata "svergognata" eaccusata di infangare l'onore della famiglia (il fenomeno è ancoravivo in molte culture, come sappiamo).  
Si pensi- tanto per fare un altro esempio conturbante - che vergogna e onore sonolegati strettamente al duello. Oggi nessuno ne parla più - ne sappiamoqualcosa solo perché il cinema spesso ce lo ripropone -, ma il duelloè stato un fenomeno di proporzioni incredibili presso l'aristocraziae la borghesia, per secoli; era diventata una vera ossessione! Siamo difronte a uno dei pochi esempi di paranoia codificata, e largamente condivisa,di cui si hanno resoconti minuti, una paranoia ancora attiva pochi decennior sono.  
Si conosconoduelli di tutti i tipi, anche tra donne, persino tra sorelle. Il codicepenale italiano, che pure ha eliminato le norme sul delitto d'onore, continuaa recepire i codici che sull'onore si basano. Se un duello dovesse ancoroggi seguire le regole del combattimento tra gentiluomini (padrini, sceltadel terreno, delle armi, ecc.), ebbene: chi vi partecipa commetterebbesì un reato, un delitto, ma nel momento dell'assegnazione dellapena, potrebbe giovarsi di una attenuante! Quindi il nostro codice penaleconsidera ancora il vecchio concetto dell'onore. Per fortuna il modernosenso del ridicolo ha seppellito queste pratiche. Per chi come me èinteressato alla psicoanalisi dell'ideologia era una fonte inesauribile...Madovetti rinunciarvi: un saggio di cinquecento pagine oggi è assaidifficile da pubblicare. Torniamo alla colpa.

 

La logica della colpa 

A. G.:Mi sembra di capire che per lei il tema della colpa è un elementocentrale della teoria e della pratica psicoanalitica: potremmo iniziarecon il riprendere la sua descrizione della dialettica della logica dellacolpa  e della logica che trascende la colpa. Quest'ultima ricordamolto il concetto della "compassione" secondo il buddismo, da distinguereinvece dal concetto cattolico di "misericordia". Vuole dirci qualcosa inproposito?  

R.S.-B.:Io credo che la colpa sia centrale nella teoria e nella pratica psicoanaliticaperché lo è nella vita di tutti i giorni d'ognuno di noi.La colpa, intesa come logica della colpa, è qualcosa chesi può cogliere come una filigrana che sottende molti dei nostricomportamenti, dei nostri pensieri, dei nostri atteggiamenti.  
Si inserisceun po' ovunque, molto al di là di quanto si potrebbe pensare inun primo tempo. Dove entra in gioco il senso di colpa, la colpa e la responsabilità,si giudica, si condanna, si assolve, si punisce o si perdona - oppure cisi vendica. Questa logica partorisce nobili tentativi di regolare la vitacivile dei popoli con leggi e codici morali, ma, allo stesso tempo, partoriscementalità moralistiche di basso profilo Le cronache ci fornisconoquotidianamente spunti in questo senso: è di qualche giorno fa lacostituzione del gruppo la "Spada di Cristo" che, in seguito alle notevicende di Giuseppina Barbieri (la donna sieropositiva accusata di averavuto migliaia di rapporti non protetti), dichiara guerra alle prostitutein quanto portatrici di morte, affermando che sono streghe e che occorreun ritorno all'inquisizione: la stampa su fenomeni di questo tipo insistecon cinismo malsano, ma, allo stesso tempo, fa a tratti osservazioni chefanno trapelare giudizi che trascendono la logica della colpa.  
Da un puntodi vista etico o giuridico, questa logica della colpa è stata dasempre "sfidata" dai determinismi, da quelle teorie cioè che sostengonoun condizionamento degli esseri umani, sia in senso metafisico, sia insenso fisico, biologico, morale o psicologico, come è il caso dellapsicoanalisi di Freud che sostiene un determinismo psichico; sebbene Freudsia un determinista molto particolare, giacché costruisce un sistemadi cura sulla base dell'idea che esistono gradi diversi di libertà(altrimenti a che scopo analizzarsi?).  
Il determinismofreudiano, in ogni caso, si basa essenzialmente sulla scoperta dell'inconsciodinamico, per il quale l'individuo non sarebbepadrone in casa sua.Mi è venuto da chiamare quello di Freud "determinismo relativo".Altro determinista relativo è certamente stato Karl Marx. Il determinismorelativo mi sembra sia stato un'ipotesi che in questo secolo si èandata diffondendo. Ne esistono di tipi diversi. Mi viene alla mente unafrase da Lo stato mondiale di Ernst Jünger (per citare un soloautore di cui s'è di recente parlato e che non mi sembra un deterministaradicale): "...l'uomo...si trova in movimento, e precisamentein un movimento che non solo lo attraversa, ma che si compie nonostantee contro di lui...". 
Èuna frase con cui non mi sento in sintonia. A pensarci bene, l'essere umano è l'unico animale che si interrogasulle proprie colpe ed è anche l'unico che si continua a chiederese è libero o condizionato. 
Quanto allalogica della colpa, esiste anche un modo di pensare che se ne distacca:ciò che conta diventa allora la comprensione delle "cause" in gioco.Ma questa comprensione vede soprattutto trasformata la qualità delleemozioni che proviamo. Io penso che non si debba dimenticare questo punto.Si tratta di una logica che, pur riconoscendo che una persona ha violatouna norma (per esempio ha commesso un crimine uccidendo brutalmente unaltro essere umano), vede attraverso e intorno a questa colpevolezza equindi non solo non è interessata, ma non è neppure portataad accusare, quanto a capire.  
Da questaprospettiva ci accorgiamo che gli accadimenti che fanno sorgere la colpa(il senso di colpa, il bisogno di incolpare) sono il risultato di un insiemedi cause, di ordine ereditario (quindi anche istintuale), di ordine famigliare,biologico, economico, sociale e altro ancora che non conosciamo, ma intuiamo.Questo non essere legati alla logica della colpa non significa non saperepiù cosa è bene e cosa è male: questo è ilpunto che riesce più ostico da accettare da parte di chi àncoraogni istanza etica, ogni necessità morale, alla colpa-responsabilità.Ma questo andrebbe spiegato più a fondo. 
La comprensionequasi mai viene per prima; la risposta immediata a qualcosa di spiacevole,a una minaccia, a un'aggressione, spesso può essere violenta e manichea.Quando una pantera della polizia, montata a grande velocità sulmarciapiede, ha sfiorato la porta del negozio da cui stava uscendo unamia paziente e non l'ha sfracellata per centesimi di secondo, la sua reazione,non ancora passata la paura, non è stata di comprensione per l'autista.  
Puòsembrare abbastanza logico che alcune delle concause che determinano ilcomportamento umano potranno apparire chiare (l'educazione ricevuta, peresempio), che dell'esistenza di altre si potrà avere solo una vagaintuizione incerta (i tratti della personalità ereditati), e cheinfine di altre cause si può avere l'impressione che restino sconosciute(l'influenza dei fattori alimentari, dei condizionamenti che operano sottola soglia della coscienza): quello che diventa evidente per chi prova questaesperienza è invece il fatto che i princìpi "morali" chesono propri della logica della colpa perdono, se così si puòdire, la loro pregnanza morale a favore dei valori di un'etica diversa.Una volta accettato il fatto che esiste un inconscio sul quale agisconopressioni e imprinting diversi, l'intenzionalità dell'individuonon può non venire ripensata e ridefinita. 
Questa logicache trascende la colpa è una logica antica; certamente, come ricordalei, fa parte integrante del patrimonio del buddismo (nel libro parlo dellecomunità buddiste sherpa del Nepal), anzi potremmo dire che ne èl'elemento costitutivo. È espressa in una certa misura anche neltaoismo.  Non credo si tratti di una prospettiva solo orientale, però,anche se in Oriente ha forse sviluppato maggiormente le sue potenzialità.Se ne trovano tracce - per rimanere solo nell'antichità mediterranea- nel pensiero stoico, così come nel "chi è senza peccatoscagli la prima pietra" di Gesù Cristo. Un filosofo le saprebbecitare un quadro assai più vasto che va dall'antichità aitempi nostri. Io nel libro mi sono limitato a citare Galeno di Pergamo,perché fu innanzi tutto un medico (uno dei maggiori dell'antichità,come sappiamo) e perché si chiese, in maniera molto semplice, conquale animo si può curare un paziente approvandolo, biasimandolo,odiandolo o amandolo, ovvero incolpandolo per i suoi delitti. Una persona,si rispose, è cattiva o buona non di per sé ma per iltemperamento che deriva chiaramente da altre cause.

 

L'analista e la colpa 

A. G.:Siamo di fronte alla logica del sociologo, dello storico e in genere,lo dice anche lei, dello scienziato: in cosa si differenzia allora lo psicoanalista?  

R.S.-B.- Costoroindagano e operano nell'isolamento, osservano e descrivono gli accadimentiutilizzando il distacco, lo psicoanalista, invece, lo deve fare in pienocoinvolgimento emotivo (il suo è un distacco "partecipe"): all'analistasi chiede di non ritrarsi inorridito, né di immergersi senza provaresentimenti. Gli si chiede di facilitare il cambiamento del paziente o dellapaziente, di liberarli dai morsi della colpa, proprio mentre analizza lapropria interazione emotiva con lui o con lei. L'analista lavora nonostantel'analizzato lo spinga in molti modi ad incolparlo e, per altri versi,a sentirsi colpevole. Siamo di fronte a uno stato mentale e a un compitoabbastanza unici che, proprio per questo, ci permettono di vedere aspettidel senso di colpa che altre discipline ignorano.  
La logicache trascende la colpa è sì la logica entro la quale dovrebbeoperare lo psicoanalista, ma è una logica spesso disattesa e suquesto nel saggio mi dilungo, mostrando le trappole in cui il terapeutapuò cadere e diventare così giudice e censore. Se èvero che il clinico non può giudicare il paziente se vuole curarlo,è pur anche vero che questo atteggiamento non riguarda solo chivuol curare. 
Ci sono esseriumani che muoiono senza neppure intravedere un modo di pensare che si distaccadalla colpa, ma ci sono anche coloro che - il più delle volte senzarendersene conto - osservano la realtà, sia quella esterna che quellainterna, dai due vertici (quello della colpa e quello che la trascende),oscillando da uno all'altro: siamo di fronte a quello che propongo di chiamareil "paradosso schizofrenico" (perché c'è di mezzo una scissione). 
Per illustrarequesto punto, ricorro, tra l'altro, a Interiors di Woody Allen.Il film, come qualcuno ricorderà, esamina, dal punto di vista delletre figlie (una scrittrice, un'attrice e una giovane donna brillante masenza talenti particolari), gli effetti su una famiglia agiata del fattoche il padre, senza preavviso, decide di abbandonare la fredda atmosferadel rapporto con la moglie profondamente depressa, con il proposito disposare una donna volgare che però ama la vita. Questo causa ilsuicidio della prima moglie che si allontana camminando nelle onde delmare.  
 Anchetra coloro che si trovano a condividere la prospettiva di Allen, che nonesprime mai un giudizio, non incolpa mai nessuno in tutto il film, sonoprobabilmente in pochi quelli che si rendono conto che l'ottica che assumononel buio della sala cinematografica (che, nel libro, chiamo della responsabilitàtragica) è in contrasto con la logica delle istituzioni entro lequali conducono la maggior parte della loro esistenza e anche con lo spiritocon il quale loro stessi, durante un film western, aspettano che la vendettaabbia corso e che il cattivo faccia la meritata fine, crepando con soddisfazionegenerale.  
La vita ditutti i giorni è regolata dalla logica della colpa e non puòessere che così. Se si esclude forse la vita del santo o del monacozen cui lei faceva riferimento. 
Il paradosso"schizofrenico" consiste nella necessita di non abbandonare gli aspettidel sistema basato sulla logica della colpa (altrimenti "i delitti si equivalgonoe l'innocenza finisce per perdere i propri diritti", come temeva AlbertCamus) e, a un tempo, trovarsi a vedere le cose da una prospettiva chenon giudica, non sentenzia, ma cerca di comprendere e di spiegare. Difficilerestare a cavallo tra le due logiche o vivere passando in sella solamentea quella della responsabilità tragica. 
Momenti particolarmentedrammatici hanno talvolta la capacità di risvegliarci dal torporequotidiano cui il paradosso schizofrenico ci fa indulgere. Questi momentici permettono di cogliere, con una presa di coscienza improvvisa, la differenzatra le due logiche di cui stiamo parlando. Facciamo un altro esempio trattodalla cronaca: di fronte allo zio che violenta i nipotini in tenera età,pur essendo ammalato di Aids (particolare che viene considerato sulla stampaun'aggravante e non una probabile causa scatenante!, come invece pensa,o dovrebbe pensare, lo psichiatra), avvertiamo uno scollamento che, talvoltadopo un attimo di disorientamento e una prima risposta "istintiva" di marcadiversa, ci permette di riorganizzare il pensiero a un livello dove nonc'è più spazio per reazioni come il desiderio di una punizioneesemplare, o per sentimenti come l'indignazione, oppure anche la misericordia,il perdono, la pietà, e altro ancora del corredo della colpa. Meglio,lo spazio rimane, ma questi sentimenti è come se si ponessero sullosfondo, perdendo la dignità di interlocutori. È in questeoccasioni che ci possiamo permettere di comprendere, da una prospettivaallargata, che l'evento considerato "colpevole" non è che il prodottodi una grande quantità di forze. 
Difficilerisolvere il contrasto tra le due logiche, per lo meno se si pretende difarlo in maniera coerente, senza oscillazioni o non accettando una sortadi compromesso: in molte situazioni istituzionali ci si può sentirecostretti a seguire la logica della colpa pur pensando contemporaneamente,dall'altro vertice, che in questo modo qualcosa di molto importante vaperduto. Come membro di una associazione psicoanalitica ho votato a favoredell'espulsione di soci che ritenevo dannosi agli altri (soprattutto aipazienti), pur ritenendo che l'espulso fosse bisognoso di cure e non diuna punizione. Ma dovevo anche tenere conto del fatto, altrettanto tragico,che chi doveva essere espulso di farsi curare non ne avrebbe voluto sapere.

 

Colpa persecutoria e colpa depressiva 

A. G.Dal punto di vista clinico, quali sono gli aspetti, dei tanti descrittinel libro, che evidenzierebbe? Tra i punti centrali, se crede, potrebbedifferenziare il senso di colpa persecutoriodalla colpa depressiva.

R.S.-B.-Per iniziare vorrei ricordare che, a mio parere, l'intero discorso clinicosulla colpa si fa assai più chiaro nel momento in cui si chiamain causa l'onnipotenza. Rifacciamoci agli atteggiamenti propiziatori deipopoli di epoche remote: cosa fa il contadino primitivo di fronte al vulcanoche gli ha distrutto casa e raccolto, e magari ucciso qualche familiare?Prende i quattro oggetti di valore, gli animali che gli sono rimasti e,non appena la lava glielo consente, li getta nel cratere per propiziarsiil nume che lo ha punito per le sue colpa. È un comportamento paradigmaticoche, attraverso espressioni e rituali più o meno arcaici...ha continuatoa ripresentarsi fino ai nostri giorni.  
I diversitipi di colpa - la cui descrizione è certamente uno dei maggioriapporti in assoluto della scienza di Freud - comprendono il senso di colpainconscio, quello cosciente, la colpa rivolta verso se stessi o verso glialtri. Tutti questi tipi di colpa hanno la proprietà di trasformaregli esseri umani colpevoli, la stessa razza degli uomini, in artefici,cui possono venire attribuiti eventi che in realtà non hanno maidesiderato e che hanno solo subìto. Per capire il senso di colpada un punto di vista psicoanalitico, questa considerazione, a mio parere,è centrale.  
 Quantoalla distinzione tra senso di colpa persecutorio e senso di colpa depressivo,di cui siamo debitori a Grinberg (e a Melanie Klein), la definizione andrebbeinquadrata in un contesto teorico che nel libro descrivo, mostro, almenocredo, di apprezzare, ma critico in aspetti importanti. Ad ogni buon conto,limitiamoci a una descrizione fenomenologica: potremmo dire, con grandeapprossimazione, che la colpa persecutoria è quella per la qualeun individuo si sente perseguito da forze ostili: lui è la vittima,i persecutori sono gli altri. È, per fare un esempio, la colpa deipadri che ricade sui figli, sentita dal punto di vista dai figli. FranzKafka, ma anche Dino Buzzati, l'hanno descritta molto bene. Nel senso dicolpa depressivo, invece, l'individuo sente (a torto o a ragione, ma questoè un altro problema) che è stato lui con le sue azioni adaver danneggiato se stesso o un altro. Questo tipo di colpa spinge a riparare.  
C'èun altro apporto di questo saggio cui tengo: il tentativo di mostrare lastrategia che, a mio avviso, l'analista, il terapeuta, dovrebbe seguireper arrivare progressivamente al cuore del senso di colpa e dopo di ciòvanificarne gli aspetti onnipotenti. Questa strategia cerco di descriverlaminutamente: desideravo aiutare il lettore interessato professionalmentea scoprire, tra l'altro, quei segni di progresso del paziente che a unorecchio distratto possono sfuggire. Per il clinico, ho l'impressione chequesto sia l'aspetto più utile del saggio. 

A. G.:Lei alla dicotomia di Grinberg aggiunge un terzo tipo di colpa...  

R.S.-B.-A rigore quest'ultimo tipo di colpa potrebbe venir incorporato in una delledue colpe prima descritte. Io ho ritenuto di doverne fare una terza modalitàd'operare perché - per una serie di motivi che non sto a ricordarequi - è utile per il clinico coglierne gli aspetti peculiari. Miriferisco alla colpa dai contenuti depressivi che però viene ingiuntaattraverso una modalità persecutoria. 

A. G.:È qui che tira in ballo Don Giovanni...

R.S.-B.:Il contenuto del messaggio di questo  tipo di colpa è "depressivo":occupati del male che tu hai fatto e pentiti; ma la modalità dell'ingiunzioneè persecutoria perché non sembra avere le caratteristichenecessarie per facilitare l'accesso a un nuovo modo di vedere il propriosenso di colpa. Siamo allora di fronte a un compito assurdo e in una certamisura impossibile: manca il tempo per elaborare. È la situazionedel Don Giovanni di Mozart-Da Ponte, il "dissoluto punito", che non a casoresiste: 
  
Statuadel Commendatore:Pèntiti, cangia vita: È l'ultimo momento!  
DonGiovanniNo, no, ch'io non mi pento: Vanne lontan da me! Commendatore:Pèntiti scellerato!  
DonGiovanniNo, vecchio infatuato!  
..............  
Commendatore:Ah! Tempo più non v'è!  

Il tempo èun fattore indispensabile; senza il tempo giusto è impossibile accederea cambiamenti psichici duraturi. Il moralismo centrato sulla colpa ignoraingenuamente questa necessità elementare. Occorre ricordare cheDon Giovanni, benché pieno di fascino, è pure un uomo conmolti problemi: è un "abbandonico" - si potrebbe dire, mancandodi rispetto al simbolo che ha incarnato - è costretto ad avere tuttequelle donne, a non andare troppo per il sottile (che sia brutta che siabella, pur che porti la gonnella, voi sapete quel che fa...): corteggiae abbandona compulsivamente. Se smette impazzisce (lo grida in rispostaa Leporello che gli chiede di cambiare la sua vita da briccone). Altroche pentirsi! Ha angosce terribili da controllare inconsciamente.

 

Sulla storiografia della colpa 

A. G.Lo storico francese Delumeau ne il Peccato e la paura. L'ideadella colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo, sostiene che nonc'è altra civiltà che abbia dato tanta importanza al sensodi colpa e all'intimo senso di vergogna quanto quella occidentale (in questosenso il confronto con le vie di liberazione orientali sarebbe interessante).  
Lei giustamenteosserva che "...la psicoanalisi appariva come la prima disciplina, storicamente, che offriva una chiave inedita, e per molti versi rivoluzionaria, per riformularetutti i problemi posti da quella che chiama 'la logica della colpa' ":pensa che la psicoanalisi - anche come istituzione -  possa reggereil peso di  
questacolpa collettiva, stratificatasi nel corso dei secoli, per quanto l'analista- come persona - possa solo interpretarne gli aspetti che vengono rappresentati nei conflitti intrapsichici del paziente? 

R.S.-B.-Per affrontare una domanda come questa, che coinvolge più piani,avrei bisogno anch'io come Don Giovanni di molto più tempo. Èun argomento centrale, tra l'altro, del discorso sulla vergogna (ci siamoritornati). C'è chi ha parlato di culture basate principalmentesulla colpa, come quella giudaico-cristiana, e quelle basate sulla vergogna,come quella giapponese o quella degli eroi omerici.  Nelle cento epiù pagine che, nello slancio preso per scrivereColpa, avevogià steso sul rapporto tra colpa e vergogna, io critico abbastanzaradicalmente questa distinzione tra le due culture che non tiene presenteche il senso di colpa può essere inconscio e può venire proiettato.Ma non voglio sottrarmi al suo interrogativo: in generale Delumeau mi sembrasi possa dire che abbia ragione. 
Quanto allaseconda parte della sua domanda, vedo la cosa con un certo distacco "tragico";nel senso che cerco di chiarire soprattutto nel Capitolo quarto. Qui -detto tra parentesi - spiego che l'espressione "vertice della responsabilitàtragica" non mi convince: è troppo tetra. Però un'espressionemigliore probabilmente nella nostra lingua non esiste e già questoè sintomatico. 
Ma torniamoalla sua domanda. Intanto gli psicoanalisti, i terapeuti, gli psichiatri- ripeto - non è proprio detto che sappiano evitare di far sentireil paziente colpevole e che sappiano come aiutarlo ad uscire dall'atmosferaspesso soffocante della colpa. Figuriamoci rispetto alla colpa collettivastratificata nei secoli! 
Nessuno,certamente non l'ultimo Freud, crede più nei compiti messianicidella psicoanalisi che il primo Freud vagheggiava. Personalmente, poi,penso che più che caricarcela sulle spalle, dovremmo penetrare lacolpa per dissolverla. Il senso di colpa è velleità, meglioil dolore per i nostri errori, per i nostri limiti. Il dolore come la gioiaci rende umani, la colpa ci imparenta con gli dei. E questo porta sciagure. 
Nel libro,comunque, cerco di indagare la struttura stessa del possibile fallimentonei confronti del senso di colpa, della logica della colpa: per riuscirenell'impresa di alleviare maggiormente i nostri pazienti dall'oppressionedel senso di colpa, dovremmo per prima cosa dell'analista riuscire a coglierel'ideologia all'interno della quale pensiamo e agiamo. Impresa non certodelle più facili. Il mio vecchio amico Jeans de Viller un giorno,mentre discutevamo di questo, se ne uscì con questa definizione:l'ideologia è come la lama d'una scure con il filo intriso dicolpa.  
Con il lungocaso della "senatrice-bambina", che occupa buona parte del Capitolo nonodel libro, mi prefiggevo lo scopo di gettare le basi per un modello chesi occupi di questo fenomeno da un punto di vista clinico.  
Riassumendosi potrebbe dire che, quando il terapeuta (includo qui una classe vastadi persone) non riesce a prendersi carico del senso di colpa del paziente,ha sovente un qualche problema con i propri sensi di colpa. Non solo nelsenso più banale: ha lui stesso irrisolti sensi di colpa; ma anchein un senso meno banale: questo avviene perché il terapeuta vivee pensa secondo i canoni dell'ideologia della colpa. Anche se questo nonè sempre vero.  
Spiegarmimeglio di così, mi rendo conto che mi è assai difficile:l'intero libro, in definitiva, riguarda questo tema. Il senso di colpaper prima cosa non deve venire negato, poi deve essere accolto e fattosedimentare; tutto questo dovrebbe avvenire prima che una interpretazionesia formulata. È il grande tema del controtransfert, del contenimentoe della "tenuta" (nei Capitoli sesto, decimo e undicesimo). Sono aspettimolto discussi nella pubblicistica psicoanalitica, ma a mio avviso nondi rado intellettualisticamente. 
Per quantoconcerne poi l'istituzione psicoanalitica, potrei dire che una parte nonmarginale del mio lavoro è dedicata a mostrare quanto inadeguatesiano le istituzioni in generale, a questo proposito. La grande parte delleistituzioni (quelle psicoanalitiche e scientifiche incluse) non possonopermettersi le sfumature del pensiero complesso. E quindi non riesconoad affrontare la realtà nei suoi diversi aspetti: alcuni di questi,spesso importanti, vengono sacrificati, tagliati via. Le istituzioni operanosecondo un pensiero "economico", un pensiero semplificato. Più èabile nell'operare queste semplificazioni, senza che ciò appaia,più un dirigente è considerato un bravo leader: le istituzionitendono a cercare la strada con minori ostacoli per gestirsi tra le difficoltàe per poter quindi operare concretamente. Se è vero che il pesantevolano delle istituzioni non sempre le mette in grado di elaborare problematicheintricate, dobbiamo dedurre che è da ciò che possono nascerepolitiche e strategie che sono obiettivamente ciniche. Anche se tutto questonon mi sembra  basti a spiegare il mistero del trionfo della logicadella colpa. 

 

Lateoria di René Girard 

A. G.-...oggi ci troviamo tragicamente di fronte alla rinascita dei 'fondamentalismireligiosi' - quello islamico in particolare - e a drammatici fenomeni di'pulizia etnica', che ci rimandano a epoche storiche che pensavamo ottimisticamente'superate': ciò che siamo costretti a leggere ormai quotidianamentesulle cronache mette a nudo come istanze distruttive di gruppi di persone- variamente organizzate - possano mettere in scacco l'intera collettività.René Girard, sostiene ad esempio in varisuoi testi (Delle cose nascoste dalla fondazione del mondo, Adelphi,1983), quasi la necessità della 'vittima sacrificale' all'internodel rituale religioso, per il buon funzionamento del gruppo, e sostieneche la psicoanalisi in qualche modo ha fallito questo compito di emendareil singolo dalla 'colpa', non riuscendo ad agire efficacemente nei fenomenigruppali che trovano un fondamento nei rituali religiosi. Ritiene sia correttaquesta osservazione?  

R.S.-B.:Il cosiddetto passato è certamente più attuale di quantonon si dica. Di recente, grazie a un amico magistrato che si sta occupandoattivamente di processi per crimini di guerra nella ex Jugoslavia, ho scopertoche la vendetta (tanto esecrata dai legislatori moderni occidentali) haun suo ruolo riconosciuto nel diritto albanese. Negli Stati Uniti la vendettaè assai probabilmente presente nelle leggi che stabiliscono la condannaa morte, ma il suo nome non viene pronunciato apertamente; autorevoli personalità,come il nostro ministro Flick, affermano che la pena "in tutto il mondo"è compatibile con gli sforzi di risocializzazione. Ma, se non sbaglio,la pena di morte può al massimo risocializzare in un altro mondo. 
Di Girard- al di là di ciò che cito nel libro - non ricordo con esattezzatalune sfumature presenti soprattutto in La violenza e il sacroe in Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo, che puretrattano questo nodo. Grosso modo, rispetto a quanto lei mi restituisce,direi che sono d'accordo. Cosa dice in sostanza Girard? Che l'esperienzareligiosa di base, nasce da un timore di fronte alle forze della natura.Io - come ho ricordato prima - affermo che il senso di colpa ci forniscel'illusione di essere più potenti di queste forze incontrollabili.Ma un eccesso di colpa ha effetti devastanti. 
Il ritualedel capro espiatorio è forse solo un conseguenza di questa posizioneiniziale: il capo espiatorio è un modo di concentrare tutta la colpa(causa d'ogni male), o l'eccesso di colpa, su un solo elemento del gruppo. 
Di nuovomi verrebbe da aggiungere altre cose: sappiamo che nella famiglia schizofrenogeneticaesiste quello che viene chiamato "l'anello debole della catena", sul qualesi concentrano le forze della patologia: siamo sempre in tema di caproespiatorio? Dopo tutto anche nella famiglia sono rintracciabili preciseritualità. Dire che la psicoanalisi ha fallito nell'emendare ilsingolo dalla colpa non essendo riuscita ad agire sui gruppi, mi suonaun po' vero e un po' falso. Dovrei pensarci. L'interpretazione sulla qualenon mi pare d'essere d'accordo è quella che pare dire che, per aversuccesso nella cura del singolo, occorra necessariamente passare dall'azioneefficace sui gruppi; semplificando: non si avrebbe individuo sano, se nonin un contesto sano (era più o meno l'ipotesi di Erich Fromm, uomodi formidabile intelligenza, ma di scarsa esperienza clinica: mi sono fattoquest'ultima impressione perché l'ho conosciuto e gli ho parlatopiù volte). La psicoanalisi ai grandi gruppi riesce a dare qualcosaattraverso le riformulazioni lente operate dalla cultura. Dobbiamo peròaccettare il fatto che questo avviene in maniera non completa e talvoltadistorta. Non mi pare si possa, per esempio, negare l'influenza della psicoanalisisulla moderna pedagogia e sulla pediatria, per lo meno nel valorizzarel'incidenza che i primi rapporti del bambino con la madre e con l'ambienteavrà sulla sua vita adulta. 
Girard misembra abbia ragione quando afferma che la psicoanalisi non ha esercitatouna grande influenza per quanto concerne la colpa. Ma il mio saggio tenderebbea dimostrare che l'impresa più che ardua era impossibile. Credoche Freud condividesse quest'ultima affermazione quando affermava che ilsenso di colpa è il prezzo da pagare per il progresso. Gli argomentiche porto sono in una certa misura diversi da quelli addotti da Freud (nonso se condivido l'idea freudiana del progresso, per esempio), ma la conclusioneè uguale. 
Ma per direche la psicoanalisi ha fallito secondo il ragionamento di Girard, dovremmochiederci a quale psicoanalisi allude. Pensa a quella psicoanalisi cheritiene che occorre uscire dalla logica stessa della colpa, che la colpastessa vada chiarita come un grande castello difensivo? Ma l'unica chene accenna è Melanie Klein che però non spiega mai cosa intendessedire. 

 

Sulla formazione dell'analista 

A. G.:A proposito di Melanie Klein, vorrei tornare a un tema che lei ha appenatoccato. Nell'affrontare la parte riguardante il rapporto tra Klein e Winnicott,lei sottolinea anche alcuni passaggi delicati, sia a proposito del rapportoche intercorre tra analista e analizzando quando prosegue per motivi didatticie professionali, e al pericolo che questo possa in qualche modo influenzareanche negativamente lo sviluppo professionale dell' 'allievo' che entrain contrasto - per varie ragioni - con la teoria del 'maestro'. Da ciòsi evince che anche i grandi psicoanalisti  non sono immuni dallapossibilità di commettere errori (e una certa rivisitazione criticadella storiografia psicoanalitica ne sta fornendo diversi esempi relativiallo stesso Freud).   
Che consiglio suggerimenti potrebbe dare a coloro che magari intraprendono illungo training didattico, come si può riuscire mantenere un spiritocritico durante la fase di formazione?

R.S.-B.:Mi ripropone un problema che mi ero già provato ad impostare inun mio libro precedente Sulle spalle di Freud. Anche inColpacerco di non eluderlo. Per fornire una risposta che tenga debitamente inconsiderazione diverse delle variabili in gioco, affronto l'argomento inpunti diversi del saggio: per esempio: là dove discuto la tendenzadelle istituzioni a operare secondo logiche semplificate (il carrozzonealle fine deve pur andare!), che ho appena citato; là dove illustroun'altra tendenza, quella  ad aggregarsi a leader carismatici cheinconsciamente si temono, per via di quello che chiamo, forse un po' impropriamente,il "complesso di Giobbe"; ancora dove parlo di quel tipo di aggregazioniintorno a un modello "scientifico" che in realtà sono delle veree proprie combutte. 
Mi spiego:un terapeuta cronicamente depresso, magari in maniera non vistosa, potrebbenon affrontare con decisione alle radici il proprio nucleo di colpa e diambivalenza, ma preferire mantenerlo sotto la cenere. A questo tipo dianalista "indeciso", un gruppo di colleghi che ha abbracciato un modelloteorico che, senza mostrare vie d'uscita, faccia del lavorio senza finesul senso di colpa e sulla riparazione "matura" lo scopo ultimo dell'analisi,a questo tipo di analista questo modello potrebbe anche andar bene e, permantenere il proprio precario equilibrio, potrebbe adottarlo e anche difenderloin sede scientifica. 
Ma èpossibile fare un esempio nella direzione opposta: poniamo che un'analistasi difenda da una sua inesplorata depressione (inconsciamente teme di avvicinarsialla propria colpa rimossa) e che, per far questo, ricorra a difese maniacali; possiamo essere abbastanza certi che, nella sua pratica terapeutica, nonabbraccerà  facilmente una teoria che sostenga che la colpadeve essere portata alla luce e analizzata. Preferirà manipolarei suoi pazienti per poter così continuare a illudere se stesso.  
Io credoche l'apporto scientifico principale del mio saggio sia il tentativo -non sta a me dire quanto riuscito - di teorizzare "l'uscita dalla posizionedepressiva", cui la Klein stessa accenna, senza mai approdare peròa un modello teorico, come ho appena avuto modo di ricordare. Ebbene, inultima analisi anche questo mio contributo potrebbe essere consideratoun modo per cercare di spiegare come sia possibile aumentare la vigilanzasui preconcetti ideologici che pervadono i modelli scientifici. 
Quanto aciò che lei chiama la possibilità che anche i grandi psicoanalisti non siano immuni dal commettere errori, vorrei aggiungere che la mia posizionesu questa delicata materia è più o meno questa: fare erroriè un fatto che non si può eludere, non solo in psicoanalisi,ma anche in medicina, nella scienza tutta. Il cosiddetto progresso scientificopuò essere letto come il superamento di errori, di "colpe", delpassato. Ma questo è un fenomeno fisiologico, non patologico. Quindiaccusare di certe nefandezze Freud, come fece Paul Roazen e come si continuafare, significa in qualche modo idealizzarlo, farne un essere soprannaturale,per poi dall'altare gettarlo nella polvere. Invece, anche Freud era unsemplice essere umano o, se preferiamo, un genio con tutti i suoi limitiumani.  
L'ultimointerrogativo, che mi pone con tanta chiarezza, concerne i consigli o isuggerimenti che potrei dare a coloro che magari intraprendono il lungotraining didattico: come si può riuscire mantenere un spirito criticodurante la fase di formazione. Risponderò in maniera altrettantochiara: non ho consigli. Mi si potrebbe rispondere che tutto questo miolibro Colpa è un consiglio e un suggerimento anche per coloroche vogliono intraprendere una analisi o un training analitico. Io peròvorrei essere molto cauto. Durante la regressione analitica (che dopo Ferenczisappiamo essere uno "strumento" di lavoro) non viene meno lo spirito critico,come un tempo si pensava, manca piuttosto il potere contrattuale per "imporlo"al proprio analista. Visto che l'intervista è dedicata al mio libro,mi sento libero di tornare un'ultima volta a quanto ho scritto. L'ultimoparagrafo del capitolo sesto è intitolato Le critiche del paziente.  
Herbert Rosenfelde tra coloro che non hanno dubbi che occorra considerare il contributodell'analista al successo ma anche all'insuccesso del trattamento. A questoproposito Rosenfeld cita, tra gli altri, l'analista americano Robert Langsche aveva fatto dell'accettazione delle critiche del paziente all'analistaun suo cavallo di battaglia. Il libro di Langs che Rosenfeld richiama portail titolo The Therapeutic Interaction, l'interazione terapeuticatra analista e paziente. Fondamentale per lui è la presa di coscienzache tra il terapeuta e il paziente si viene instaurando una spirale dicomunicazioni che interagiscono sia a livello cosciente che a livello inconscio.Questa spirale di comunicazioni è il cuore stesso del processo terapeutico,è il livello cui occorre sintonizzarsi per arrivare a curare. Iosono perfettamente d'accordo con Langs, con Rosenfeld e con quanti (nonsono molti) che sostengono l'importanza di questi aspetti della relazioneanalitica.  
Quando l'analistaopera una distorsione, vale a dire commette un errore, oppure faun intervento scorretto o a sproposito, normalmente il paziente rispondecon un commento, per così dire, annegato nel materiale che riferisceall'analista. Questo commento "in codice" può essere non realistico,ma può essere anche pertinente. La critica del paziente, se nonè realistica, aggiunge una nuova distorsione (inizio della spiralenegativa); non così se è il frutto di "una serie di percezioniinconsce valide". Il paziente può aver colto l'errore, la deviazione,e quindi criticare giustamente l'analista. Chiunque sia in grado di sintonizzarsisulla lunghezza d'onda di queste comunicazioni in codice dai pazienti,sa che esse avvengono. Molto più frequentemente di quanto non sipossa pensare, il paziente non solo collabora, ma insiste nel cercare dicorreggere il proprio analista. 
A partiredal momento in cui questa critica giusta viene accettata, uno straordinariocanale di comunicazione viene aperto e (paradossalmente?) l'analista sitrova a vivere in una dimensione di tranquillità d'animo prima impensabile.L'accettare la critica giusta cessa di essere il motivo di una ferita narcisisticao di senso di colpa, e progressivamente viene percepito come l'espressionedi una propria solidità interiore, solidità che, in genere,i pazienti, anche quelli gravi, non stentano a percepire, sia pure conambivalenza.  
 Questoè ciò che penso sulla base della mia esperienza. Quello chenon so è quante chance abbia una persona che inizia il suo training,o anche più semplicemente la sua analisi, di trovare subito unapersona in grado di fornirgli una risposta a queste giuste aspettative.A volte avviene, altre no. Quando la televisione argentina mi intervistòproprio su questo punto, ai tempi del Congresso internazionale di psicoanalisia Buenos Aires, io mi aspettai di sentirmi rispondere in maniera onestama vaga, invece mi sorpresi a dire che, se questa risposta uno non la trovanella prima analisi, può trovarla nella seconda, o nella terza.Tragico? Sì, siamo nella dimensione del tragico.  
D'altra parteguadagnare qualche margine in più di libertà personale, richiedea volte perseveranza. La psicoanalisi resta, per me, uno straordinario,per alcuni versi unico, strumento di emancipazione. Oggi aggiungerei chesi può contare anche sugli incontri, anche occasionali, e le esperienzeemancipanti che in una vita che non si arrende possiamo andare accumulando. Anche un analista che commette molti errori può aiutare (i pazientisono più collaborativi e "pazienti" di quanto spesso non si pensi),anche un terapeuta autoritario può creare occasioni di crescita.Non credo che si debba vedere il problema in termini drastici: o una opportunitàideale oppure niente. John Bailey ha scritto d'aver sentito questo miosaggio ragionevolmente ottimista e divertito, nonostante le analisi spessoimpietose. Se questo è vero, come mi auguro, sono riuscito nel miointento, altrimenti farò attenzione alle critiche che mi verrannomosse. 

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