CLINICA PSICODINAMICA DEL LAVORO ISTITUZIONALE: Carlo Viganò Incontro del 26.3.98

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10 ottobre, 2012 - 16:06

Introduzione del Seminario

Spendo ancora qualche parola, perché molti di voi non c'erano al CRT un mese fa quando abbiamo fatto il primo incontro di questo seminario interno all'insegnamento di psichiatria integrata, per dire che cosa questo seminario nel seminario ha come ipotesi e vuole verificare. La presentazione dei casi che viene fatta in questa scansione mensile a carico mio e di alcuni altri, ha come titolo: “Clinica psicodinamica nel lavoro istituzionale”. I parametri sono due. Si vuole interrogare la psicodinamica, noi dicevamo l'altra volta che toglieremmo volentieri anche questo appellativo “psico”; parliamo di dinamica tout court, anche perché si diceva questo riferimento allo spazio della soggettività, attribuirlo alla psiche oggi forse non è più tanto utile. La psiche sapete è una eredità ancora platonica, molto antica, che si presta spesso a dei fraintendimenti rispetto ad un uso di un linguaggio più moderno; quindi parliamo pure di spazio della soggettività che vorremmo introdurre come elemento di dinamizzazione della cura, quindi della polarità farmaci e diagnosi o diagnosi e farmaci, diagnosi e terapia ecco.
In questo quadro piuttosto statico di diagnosi a cui corrisponde una terapia eminentemente farmacologica, introdurre come terzo vettore di cui tenere conto la messa a punto di quell'elemento della soggettività , cioè della particolarità di ogni caso, caso per caso, che noi sosteniamo è utile per rendere più efficace il binomio diagnosi-terapia. Se si mette a punto dove si colloca la specificità di quel soggetto, nome e cognome, pur inquadrato diagnosticamente, ma la sua storia specifica, la sua posizione nella domanda, allora se ne può fare realmente un utente delle cure. Il rischio al di fuori di una prospettiva dinamica è quello di applicare le nostre cure, le nostre diagnosi e terapia, non dove il soggetto si colloca nella sua specificità, ma dove per esempio lo colloca solo il discorso famigliare o addirittura il discorso istituzionale, lasciando un po' il soggetto in una passività che non lo rende utente delle cure.
Questa quindi è la prima polarità, la dinamica come dimensione della clinica, non come ideologia che si sovrapponga a ideologie; per questo toglierei lo “psico” che porta a dei fraintendimenti come se si trattasse di un'ideologia opposta a quella biologica o biologista. Questo è un po' residuo di polemiche sorpassate, non è il caso di pensare a ideologizzare il biologico rispetto allo psicologico ecc...non è più il tempo secondo me di fare queste polemiche ideologiche, si tratta semplicemente da un punto di vista più strutturale , più realistico di introdurre la dimensione della soggettività. Questo è il primo asse, lo spazio della soggettività e quindi anche il recupero di soggettività dell'operatore: per potere collocare soggettivamente l'utente anche l'operatore deve trovare il suo spazio di individuazione.
La volta scorsa si è visto come lo scambio con il tribunale come interlocutore forte portasse un certo disagio soggettivo allo psichiatra che si occupava del caso che si trovava a dovere rispondere prima al tribunale che non al paziente stesso.
Quindi costruzione dello spazio della soggettività vuol dire anche di fronte all'istituzione di cura o all'istituzione, quindi di potere rispondere anche al giudice: il soggetto sta qui, tu devi entrare in una collaborazione con me psichiatra rispetto a un soggetto, se no il discorso diventa tra lo psichiatra e il tribunale in quel caso.
Il secondo asse quindi è: nel lavoro istituzionale; questa forse è una caratteristica che può risultare particolarmente interessante per gli specializzandi . Credo sia interessante ascoltare dei casi portati da operatori che operano nelle istituzioni psichiatriche quindi CPS, CRT, centri di ricovero SPDC ecc... anche SIMEE, Consultori, Sert.
Quello di oggi è un caso di tossicodipendenza che sarà presentato dal dott. Cozzi, quindi avere uno spaccato anche del caso clinico nella realtà istituzionale attuale, invece che nel laboratorio specifico un po' come dire separato per certi aspetti dell'università, ma nel luogo di gestione sociale della clinica. L'interrogativo sarà: come questo spazio transferale questo spazio di soggettivazione viene recuperato nel concerto delle operazioni istituzionali che si diceva la volta scorsa sono sempre più complesse, cioè la presa in carico di un caso oggi vede completamente spaccarsi la coppia tradizionale curante-curato. Non sono due polarità in gioco, ma ce ne sono molteplici polarità in gioco.
L'altra volta abbiamo visto appunto il tribunale che era il committente della cura stessa, ma pio c'è la famiglia, ci sono le comunità, il privato, insomma ci sono molte soggettività che ruotano attorno a una situazione clinica e la cura spesso si deve porre il problema di un concerto, di una contrattazione delle operazioni che si fanno sul caso, quindi di un lavoro di costruzione dello spazio clinico che diversamente se non viene costruito rischia anche di non esserci, quindi di essere il terapista, come dire, una pedina in un gioco di forze e di influenze che tendono anche spesso a neutralizzare l'intervento stesso del terapeuta. Ecco, questo problema di concertazione, di contrattazione sociale è il secondo asse che noi vorremmo prendere in considerazione nell'esporre questo caso.
Quindi riassumiamo i due assi sono: la dinamica, cioè lo spazio del soggetto, secondo la concertazione istituzionale.

 

La storia di Amanda

Incontro Amanda per la prima volta nel 1992, quando ha 26 anni, da due anni fa uso di eroina per via inalatoria, mescolandola all'abuso di psicofarmaci in modo massiccio. Da una anno convive con un ragazzo, che fa uso di eroina anche lui, da quando convivono la situazione è nettamente peggiorata, l'abuso di eroina è massiccio, vi sono continui litigi tra lei e il convivente per questioni legate alle dosi di eroina e ai soldi per acquistarla. Lei non lavora, aiuta solo saltuariamente i genitori nel panificio di loro proprietà. Amanda chiede di essere aiutata a disintossicarsi, soprattutto attraverso l'uso di farmaci o di metadone. In questo primo incontro appare abbattuta, poiché un cugino con cui aveva iniziato l'uso di eroina, e che poi era entrato in comunità, durante un periodo di ritorno in famiglia si è rifiutato di parlarle in modo marcato. Questo appare come l'elemento centrale della sua crisi . Dico in questo incontro solo due cose: la prima che mi pare inutile cercare di aggiungere altri farmaci a quelli che già prende, e che forse il percorso verso la disintossicazione deve seguire altre strade, contemporaneamente cerco di mettere in rilievo questo suo rapporto con il cugino, poiché mi sembra l'unico elemento estraneo ad un discorso monotono intorno all'abuso di eroina. Non avrà più contatti con il servizio per circa un anno. Ricompare nell'aprile dell'anno successivo, chiedendo di essere aiutata a disintossicarsi e di essere messa in trattamento con naltrexone, ma rifiutando qualunque contatto al di fuori delle figure mediche. In una riunione si valuta che non esistono altre possibilità al momento di far emergere una domanda più articolata, e si decide di iniziare il trattamento con altrexone rimandando ad una fase posteriore altre possibilità.

Riesce a mantenersi in trattamento per circa due mesi, poi scompare nuovamente. Riprende i contatti dopo due anni, e viene accompagnata dalla madre al servizio. La situazione è precipitata, è saltata la convivenza, e i genitori si sono accorti che lei abusava di sostanze stupefacenti. Mi soffermo su questa scoperta perché è abbastanza singolare. Lei da circa un mese non fa più uso di eroina, e stava prendendo del metadone, acquistato illegalmente per riuscire a smettere l'uso di eroina. Portava i boccetti nella borsa, e durante un periodo di vacanza con i genitori si è fatta sorprendere con tutti i flaconi in borsa. I genitori hanno deciso che lei debba entrare nella stessa comunità dove è stato il cugino, hanno già preso i contatti, ed ora vogliono solo il placet del servizio per il pagamento della retta, così gli è stato detto di fare dalla comunità.
Fermo un attimo Amanda su questo punto, dicendo che questo è quel che vogliono i suoi genitori, ma se non c'è una sua scelta il progetto è destinato a saltare, poichè è sempre possibile allontanarsi dalla comunità. Risponde di non avere altre scelte possibili, i suoi hanno sequestrato le chiavi di casa, hanno litigato furentemente con i genitori del suo ragazzo, la sorvegliano a vista, non può muovere un passo da sola. Cerco di sottolineare come in questa situazione ci sia un suo elemento di responsabilità, se per anni è riuscita a nascondere tutto ai suoi, non posso pensare che sia stato così casuale farsi scoprire quando le sembrava di farcela da sola, procurandosi addirittura illegalmente il metadone. Sembra perplessa su questa osservazione, rimane pensierosa. Propongo allora di iniziare un primo periodo al centro diurno della comunità e di vederci regolarmente una volta a settimana per verificare la possibilità che lei riesca a costruire un progetto in cui riconoscersi. Lei si mostra interessata a questa possibilità, che viene accolta con favore anche dai responsabili della comunità e, pur con qualche perplessità anche dai genitori.
Nel primo periodo i colloqui sono soprattutto delle lamentele sulla gestione del centro diurno, quasi uno spaccato sociologico delle piccole violenze quotidiane che serpeggiano in questi centri. Si mostra però molto ligia ai compiti che la comunità le affida a casa, quasi trovasse in questa dimensione superegoica una possibilità di sfuggire ad altri pensieri. Tutto ruota sulla correttezza nell'adesione al programma, salvo lamentarsene nelle sedute settimanali. Data l'insopportabilità del clima familiare, aspetto sul quale tornerò, Amanda decide nell'aprile del '96 di passare nella struttura residenziale, chiedendo però di poter continuare le sedute settimanali.
Anche in questo secondo periodo tutte le sedute sono incentrate sui rapporti all'interno della comunità, e sul rimpianto per la fine della convivenza, percepita come un periodo di libertà piacevole. Cerco di evidenziare che forse così piacevole non doveva essere, visto che era sostenuta dall'uso di eroina, ma lei sembra sorda a questo aspetto.
Nel settembre all'improvviso, apprendo che è ricoverata in psichiatria in seguito ad un tentativo di suicidio. Prendo contatto con la struttura psichiatrica, che mi informa che la dimetterà presto con l'indicazione di far riferimento al CPS di zona, prendiamo accordi affinchè la possa incontrare il giorno seguente quando verrà dimessa.
Il tentato suicidio è avvenuto in seguito ad un episodio luttuoso. Un ragazzo in comunità si era infatuato di lei, essendo stato respinto si era allontanato dalla comunità, e la sera stessa era deceduto a causa di una overdose di eroina. Venutolo a sapere il mattino seguente, Amanda aveva tentato il suicidio tagliandosi le vene dei polsi poiché si sentiva in colpa. Nel suo racconto questo elemento della colpa sembra centrale, pare più un operatore che si sente responsabile che non una compagna. Mi sembra questo lutto un evento intorno al quale si potrebbe girare all'infinito, senza alcuna soluzione, senza alcuna uscita. Le dico che forse questo episodio, più che sul versante del lutto potrebbe essere un inizio per interrogarsi sul suo rapporto con gli uomini.
Nelle sedute successive dice che quando stava con il suo convivente i rapporti sessuali erano caratterizzati da una grande violenza, lei ogni volta si sentiva violentata. Davanti alla mia osservazione che avrebbe potuto andarsene si ferma e dice che in realtà era lei a provocare la violenza del convivente attraverso insulti, sinchè lui non la violentava, e che questo era l'unico modo in cui riusciva ad avere rapporti. Nella sua umiliazione era lei la più forte, soprattutto nell'ultimo periodo in cui lui era ridotto ad una larva, sempre a letto, e lei usciva per procurarsi l'eroina per entrambi. Non le importava che lui fosse un morto vivente, per lei era importante e necessario averlo lì, sapere che c'era e che dipendeva da lei.
Nei mesi seguenti assisto ad una trasformazione di Amanda. Prima era sempre curata nell'aspetto, ora appare sciatta, si è fatta tagliare i capelli da un'amica in modo sghembo, ed è ingrassata in misura notevole. Dice che di notte si alza a mangiare i cibi piu svariati, senza far caso a quello che ingurgita, in preda ad un raptus che non sa controllare. Giunge a portarsi il cibo in camera, e a studiare stratagemmi per arrivare in cucina durante la notte.
Questo periodo lo ricollega al periodo dell'adolescenza quando non si piaceva, si sentiva goffa e brutta e sentiva una grande insofferenza verso l'autorità. Questa insofferenza l'ha portata a perdere un anno scolastico quando, rimandata a settembre in una materia, dopo aver superato brillantemente l'esame, si era messa ad insultare l'insegnante che l'aveva interrogata, rimediando così la bocciatura. Pare quasi che ogni suo successo debba essere vanificato, disposta ad affermarsi al negativo, in un rapporto di forza senza soluzione. Eppure, dice, sono una persona sensibile, pensi che quando vedo in televisione i notiziari che parlano della guerra mi metto a piangere come una fontana. Pensi, spesso questi notiziari vado a cercarli, girando sui vari canali per riuscire a piangere sul male.
Ora in comunità comincia a porsi il problema del termine del suo soggiorno, e quindi si pone la necessità di progettare l'uscita. Lei opera una sorta di cesura con il periodo precedente l'ingresso in comunità, saltando tutta l'esperienza scolastica precedente, e dice di voler seguire un corso da puericultrice, facendo contemporaneamente la baby sitter presso qualche famiglia. Rilevo che un conto è aver figli propri, un conto curare bambini di altri. Riprende parlando della sua paura e del suo desiderio verso la maternità, e mi parla di un ragazzo che ha incontrato in comunità e verso il quale nutre degli interessi affettivi, cosa che la coglie un po' di sorpresa.
Poco dopo inizia a lavorare all'esterno, facendo rientro in comunità ogni sera. Verso settembre esce dalla comunità, e inizia a lavorare come baby sitter. In questo periodo di rientro in famiglia, mentre prosegue la relazione affettiva, comincia a interrogarsi sulla violenza che agisce/subisce nei rapporti sessuali. Dice che questo legame tra sessualità e violenza lo ha sempre percepito, da quando dormendo in camera con i genitori sentiva i rumori dei loro amplessi, e che, quando la madre era assente, andava a dormire nel letto del padre, ma era paralizzata dalla paura che lui facesse con lei quel che faceva con sua madre. Anche in questo passaggio rilevo come fosse lei ad andare nel letto del padre, e forse questa paura va interrogata in altro modo. Tempo dopo mi dice di aver avuto rapporti sessuali con il ragazzo conosciuto in comunità, senza essere costretta al rituale di provocare la violenza dell'altro.
Verso dicembre viene lasciata dal ragazzo, perde anche il lavoro, e contemporaneamente il padre (vittima di una truffa economica) viene ricoverato per un infarto. Amanda in questo frangente fa uso una volta di eroina e lo percepisce come un grosso fallimento. Cerco di evidenziare come abbia usato l'eroina come un farmaco, cercando di alleviare la situazione di difficoltà, e che forse avrebbe potuto trovare altre soluzioni, come parlarne nei nostri incontri. Gli operatori della comunità, venutolo a sapere, la escludono dal diploma di fine percorso che doveva ricevere a fine dicembre, che dovrebbe certificare pubblicamente la sua uscita dalla tossicodipendenza. In seguito a questo Amanda riprende a far uso di eroina per circa tre settimane, sospendendo anche gli incontri al servizio. Al suo ritorno le chiedo come mai abbia sospeso gli incontri, lei risponde che si vergognava di farsi vedere fatta. Le sottolineo di non aver mai posto come condizione quella di venire solo se sospendeva l'uso di eroina e cerco di problematizzare questo aspetto dell'apparire, del dover dare un'immagine a me. Lei caparbiamente si chiude, dicendo che non vuole farsi vedere fatta, che si vergogna e basta. In questo ultimo periodo ha fatto temporaneamente ritorno in comunità, e si sta mettendo a punto un progetto di uscita differente dal precedente im cui .Amanda si possa ritrovare da protagonista di una storia propria, uscendo dal discorso dei genitori; 
I genitori di Amanda hanno dovuto farsi carico a loro volta di una storia che proveniva da un'altra generazione, dovuta al fallimento economico del nonno: Essi gestiscono un panificio insieme agli zii di Amanda ( situazione simgolare due sorelle hanno sposato due fratelli) e tutti comvivono nella stessa casa, in seguito al tracollo economico del nonno da quando Amanda aveva 5 anni. In casa viveva anche una cugina figlia degli zii che era il modello proposto dalla madre ad Amanda, che lei odiava cercando in tutto di differenziarsi da lei. Il padre è mite ed accomodante, non parla mai, pensa al lavoro ( la madre parlando di lui riesce a dire soltanto che è buono e che ha lavorato tanto.
La gestione economica , alquanto confusa, è tutta nelle mani dello zio che Amanda accusa di truffa, di avere accantonato soldi impropri. La simbiosi tra le due famiglie giunge al punto che hanno costruito insieme una casa di due piani al paese di origine e che pare difficile capire quale delle due famiglie abita l'uno o l'altro piano poichè hanno gli stessi mobili, nella stessa disposizioni, con le medesime suppellettili.
Amanda, negli anni si è sempre procurata i soldi per l'eroina attraverso i furti alla cassa del negozio e afferma che la zia sapeva di questi furti ma non diceva nulla poichè loro rubavano in altri modi.
Quando il padre decide di sciogliere la società e chiede conto allo zio dei soldi, Amanda in una riunione in comunità confessa davanti a genitori e zii i suoi furti delegittimando la presa di posizione del padre . Questa confessione è tesa a proteggere un padre percepito come debole nei confronti dello zio. Quel che lei teme è che il padre entri in un conflitto che non sa gestire, dal quale uscirebbe distrutto poichè è rimasto succube per tutta la vita.Il padre sarà poi vittima di una truffa economica durante la vendita del negozio e si ammalerà di infarto.L'ultimo periodo di uso di eroina da parte di Amanda coinciderà con il ricovero del padre in ospedale e con il timore che il padre possa subire un ulteriore dispiacere venendo a conoscenza del fatto che a lei non verrà consegnato il diploma di fine percorso. 
Le aspettative soggettive di Amanda in tutto questo periodo sono andate nel senso di allontanarsi dall'uso di eroina senza modificare aspetti importanti del suo agire, che hanno fatto ritorno come agiti. Dal tentativo di suicidio, all'ultimo episodio di abuso di eroina rinveniamo un filo conduttore caratterizzato dalla onnipotenza, su due versanti: cercare sempre di dominare la situazione attorno a sè e annullare il reale. Sul primo versante l'episodio del tentato suicidio mobilita tutta la comunità (operatori e utenti) facendo passare in secondo pianola morte del ragazzo, sul secondo versante ad un passo dalla meta vanifica tutto il percorso sottraendosi alle regole e lamentandosi poi dell'esistenza delle stesse.
Questi aspetti non sono stati agiti anche nel transfert, e non sono stati ripresi, occupando l'operatore quasi una posizione da osservatore davanti al perpetuarsi della scena. Questa condizione è stata dettata in buona parte da condizioni strutturali che rendevano incerta la conduzione della cura. In quel periodo il servizio era in via di smantellamento di fatto, parecchi trasferimenti avevano ridotto l'èquipe sino alla sua inesistenza (ridotta a tre persone) e quindi all'assenza di interlocutori con i quali costruire il caso nell'èqupe di lavoro. Questa situazione di instabilità si rifletteva in una immagine quasi fisica di abbandono del servizio che appariva sempre deserto, e i rapporti con gli operatori superstiti erano sporadici. Questo ha portato ad una sottovalutazione di aspetti che potevano essere ripresi nella dinamica transferale, e la cui elusione ha condotto all'immobilismo. La situazione di incertezza ha avuto come conseguenza quella di appiattirsi sull'obiettivo di allontanare Amanda dall'abuso di sostanze stupefacenti, obiettivo educativo comportamentale proprio della comunità e di Amanda, che metteva Amanda stessa al riparo da un percorso psicoterapeutico. Infatti il gruppo a cui l'operatore ha potuto fare riferimento in parte è stato quello degli operatori della comunità, con incontri a carattere episodico e all'interno di un progetto soprattutto educativo. La situazione è mutata nell'ultimo periodo, ed ha permesso di un minimo il gruppo di lavoro confrontandosi su questi aspetti e riformulando il progetto terapeutico di Amanda.
I nodi sintomatici che mi pare di poter individuare in questo caso fanno riferimento a due punti di rottura.
Il primo è l'episodio dell'insulto all'insegnante. L'insulto è rivolto ad una persona che ha giudicato Amanda, ha ricoperto una posizione autorevole nei suoi confronti. Amanda insultandolo lo nomina, nominandolo lo riconosce nella posizione che occupa, nominazione nel reale, quasi a riconoscere un padre reale da sostituire al proprio percepito come inesistente.
Il secondo episodio è quello del tentato suicidio, come appello a qualcuno, come manifestazione della propria sofferenza. A questo proposito va aggiunto che nello stesso giorno erano giunte telefonate minacciose in comunità nei suoi confronti, da parte dei parenti del ragazzo deceduto. Quindi il tentativo di suicidio, non ripreso nel transfert, si è risolto in un atto teso alla reintegrazione nella comunità.
L'ultimo episodio, quello del ritorno all'uso di eroina, ripreso a livello della relazione cercando di chiarire i motivi della sparizione dalla scena, è quello che ha permesso di riformulare il progetto terapeutico e la relazione con l'operatore, portando a riconoscere non solo l'uso terapeutico-farmacologico dell'eroina, ma anche il disconoscimento della possibilità di prendere la parola e l'annullamento del percorso fatto in comunità.
La diagnosi secondo il DSM IV sull'asse I segna il passaggio tra tre categorie: la F11.1 abuso di appiacei; la F 32x,296.2x disturbo depressivo maggiore episodio singolo, la F 50.9(307.50) disturbi dell'alimentazione non altrimenti specificati. Si può vedere come queste diagnosi sono delle risposte contenute nell'appello stesso di Amanda ed in definitiva esprimono solo la richiesta di collocazione sociale. Non vi è stata cioè una costruzione individuale del sintomo, ma una rappresentazione del soggetto attraverso sintomi più sociali che individuali. L'episodio che segna una discontinuità è quello che abbiamo definito come disturbo depressivo maggiore episodio singolo, ma non essendo stata possibile una elaborazione di tipo terapeutico dobbiamo inquadrarlo nel continuum precedente.
Difficile parlare di uso di farmaci in un soggetto che in precedenza ha fatto abuso sia di farmaci che di sostanze stupefacenti. L'unico periodo in cui ha fatto uso di farmaci in seguito alle prescrizioni dello psichiatra è reperibile nei sei mesi seguenti al tentato suicidio, in cui per tre mesi è stata in terapia con antidepressivi e per altri tre con il prozac.
Il lavoro con la famiglia è stato fatto soprattutto dalla comunità attraverso i gruppi per genitori. La famiglia davanti alla scoperta della tossicodipendenza di Amanda e ai furti commessi ha avuto una reazione rassegnata. Non vi è stata rabbia, ma solo una delusione rassegnata, che non ha subito alterazioni, ma ha imboccato il percorso dell'adeguamento. Sono diventati quasi dei volontari della comunità, seguendone il percorso, ma in modo talmente pedestre da votarsi al fallimento nel rapporto con la figlia. Più che al fallimento al mantenimento della relazione precedente in cui la debolezza e l'incapacità continuavano ad essere esibite. L'invito della comunità a costruire un colloquio con la figlia su aspetti taciuti della loro relazione veniva eseguito rimandando alla figlia la necessità di “parlare” di “aprirsi” senza che all'invito seguisse un atto. Il tracollo economico successivo ha portato ad una chiusura ulteriore, un senso di sconfitta generalizzato che ci consegna due figure evanescenti, legate al solo lavoro, vinte dall'esistenza.
Questo aspetto dell'essere vinti è stato affrontato solo in questo ultimo periodo successivo al reingresso in comunità di Amanda, in accordo con gli operatori della comunità, e ha portato al rifiuto di accettare un ritorno a casa di Amanda. Rifiuto che ha comportato una riformulazione dei progetti di Amanda e il suo incontro con un limite, con l'impossibilità di piegare il mondo alla sua onnipotenza. Questo forse è un primo passo per la costruzione di uno spazio clinico dove la sofferenza non sia agita in modo convulso, ma connotata e interrogata, che segni una discontinuità rispetto al passato e che può permettere all'operatore di assumere una posizione diversa da quella dell'osservatore.

 

Discussione del Caso Clinico

 

C. Viganò: Possiamo procedere a qualche commento e poi al dibattito secondo i punti della scaletta che abbiamo proposto.
Freni. Mah, rispetto allo stile di lavoro che c'eravamo dati in queste rappresentazioni diventerebbe molto utile che quando per esempio si parla di abuso di psicofarmaci in modo massiccio, si specificasse bene di che farmaci si tratta, se sono farmaci prescritti alla paziente, procurati da sé; è importante questo perché riteniamo che oltre a darci delle informazioni rispetto alla possibile incidenza dell'abuso di farmaci nel complesso della sindrome diciamo del paziente; ci dà delle informazione su come il paziente entra ed esce nelle relazioni con questi oggetti non animati e possibili sostituti che essi rappresentano. Ecco esaurirei prima questo punto e quindi lo stesso vale rispetto al discorso dei farmaci quando si dice per tre mesi è stato in terapia con antidepressivi e per altri tre con prozac siccome il prozac è un antidepressivo potrebbe essere utile saperne ancora qui di più e di meglio, sia rispetto a come è entrata nella terapia, questo psichiatra per esempio che viene fuori così all'ultimo momento, sarebbe stato più utile avere un'idea di come è nata l'idea di instaurare la collaborazione con questo psichiatra, come è nata l'idea di dare un farmaco piuttosto che un altro, perché si è deciso di sostituire un farmaco con un altro ancora ecc...perché potrebbe darsi che qui nell'uditorio ci fossero altri colleghi miei che ne sanno più d me di farmaci, potrebbero per esempio trovare non corretta la prescrizione del prozac in un caso del genere o potrebbero saperne di più per verificare la possibile correlazione tra l'uso di farmaci antidepressivi e gli agiti più o mano impulsivi della paziente.
Il concetto è questo, se noi vogliamo fare un discorso forte sull'integrazione dei trattamenti dobbiamo potere descrivere l'insieme della cura, altrimenti descriviamo la nostra parte rischiando di considerare l'altra parte, all'orecchio dell'uditorio come non esistente o non incidente e questo rischio mi sembra che si trascini poi un altro rischio che è questo, che poi noto nella presentazione, per esempio mi colpisce come si dice qualcosa del padre o di figure simboliche paterne, mentre non compare una madre nella rappresentazione nella presentazione della paziente.Mi fermerei qui, perché poi in un secondo giro vorrei dire qualcosa appunto a proposito sia di questa modalità relazionale della paziente, sia di questa questione del transfert non visto non elaborato anche se si sente attivo, attivato, comunque sostato su altro; però questo lo vorrei fare dopo, perché mi sembra credo il punto fondamentale che potrebbe aiutare a capire certe stranezze che sono accadute nel corso di questa che allo stato attuale possiamo chiamare osservazione preliminare o non lo so, perché tu stesso proponi l'espressione osservazione come se appunto non c'è un impegno nel senso di una cura psicoterapeutica almeno consensualmente riconosciuta dalla coppia paziente-terapeuta. Ecco questo però mi sembra un punto molto importante, perché ha a che fare sia con tutta la problematica della struttura psichica di questa paziente, sulla sua modalità di entrare ed uscire nella relazione e l'incidenza nel transfert in tutto questo.
Viganò .Aggiungerei anch'io qualcosa, mi attengo allo stesso criterio di Freni; in effetti cioè di dire qualcosa di un po' esterno alcuni particolari del concerto di questa storia che spero andrete a vedere per scritto perché nella sua semplicità è complessa, contiene tutta una serie di passaggi e anche di interventi, informazioni come dicevo all'inizio molteplici, perché credo che a questo bisogna cominciare a fare l'orecchio. Definire questa cura è laborioso, ad esempio se non ci fosse stato il suo racconto, se fossimo degli psichiatri che lavorano nel reparto da cui è nato il breve trattamento psichiatrico, noi ragioneremmo solo su quell'episodio. Sarebbe una paziente che ha avuto un TSO che è stata non so quanto in reparto, dieci giorni o quel che è, e tornata in ambulatorio CPS ha preso prima credo che intendesse i triciclici poi dopo questi i serotoninici e s'è chiuso il percorso strettamente psichiatrico nel giro di sei mesi massimo. Quindi per la psichiatria quella è stata la terapia psichiatrica, mentre visto in un'ottica più larga, addirittura il prof. Freni diceva che forse la terapia in senso specifico non è ancora iniziata. Tutto questo periodo di diversi anni che ci è stato raccontato dal dott. Cozzi è un periodo di osservazione prolungata che però ha prodotto degli effetti sul soggetto, quindi bisogna cominciare a pensare che l'osservazione da parte di questi molteplici attori è un'osservazione diciamo così attiva dinamicamente, che produce spostamento, non è una terapia formalizzata come psicoterapia. Per questo mi sembra appunto molto interessante questa storia in questo spettro così largo pur in definizioni che istituzionalmente sono di volta in volta limitate; potremmo anche metterci dal punto di vista della comunità, nei loro archivi nei loro annali nelle loro cartelle cliniche, descriverebbero Amanda come una che è entrata ad un certo punto in comunità, ha fatto un percorso, ha fallito il diploma in un certo momento e ha preso il diploma successivamente e sta concludendo il percorso della comunità; Quindi è un percorso dal punto di vista dell'ottica del trattamento comunitario concluso o in fase di conclusione e di reinserimento sociale. Quindi questa è un'altra ottica, c'è l'ottica del servizio psichiatrico, c'è l'ottica della terapia comunitaria e c'è l'ottica dello psicologo del Sert che è nella posizione in questo caso di descrivere diversi passaggi e di prevedere anche un'eventuale domanda di psicoterapia da parte del soggetto. Questa terza ottica, chiamiamola ottica Sert, quella che ci ha illustrato Cozzi, quindi l'ottica di un operatore del Sert, è psicologo ma nella sua operazione non è stato psicoterapeutico e ci descrive il percorso dal punto di vista dell'osservazione Sert e, oltretutto, individua una scansione fondamentale a partire da una modificazione avvenuta nel Sert come gruppo, come equipe diciamo, che ha modificato il modo come lui stesso nei colloqui individuali poteva raccogliere il transfert di Amanda. Quindi il transfert di Amanda è un transfert sul Sert che poi lo psicologo nei suoi colloqui utilizza, infatti le condizioni in cui lo psicologo si trova ad ascoltare Amanda nel Sert sono decisive rispetto a come lui può giocare la relazione transferale con Amanda stessa. Questo primo commento lo concluderei sulle trasformazioni della posizione soggettiva di Amanda nell'ottica del Sert, legate a queste condizioni di accompagamento . Sono state numerose, forse anche più di quelle tre che ha sottolineato Cozzi. La prima è quando urla, dà una denominazione offensiva al prof., si tratta di un ricordo, non è un atto, esso si produce già nel primo incontro, la prima volta che Amanda viene. Chiede aiuto perché il cugino non le parla più, quindi già vediamo la dinamica di una domanda che non è una domanda, ma ha la forma di un agito: andare al Sert è un agito in fondo, tanto è vero che ci va una volta poi sparisce per un anno. Esso però è già legato ad una condizione di discorso che si è modificato, il suo colloquio col cugino è stato interrotto e questo spinge all'atto. Interruzione di un anno, poi torna a chiedere di nuovo, questa volta la cura disintossicante, che segue con il naltrexone per due mesi. Di questo secondo ritorno nel racconto ci manca l'elemento che lo ha prodotto, non si è potuto ricostruire, sicuramente nella struttura del dialogo, nella struttura di Amanda qualcosa si era incrinato anche quella volta lì; comunque anche questa seconda venuta come dire finisce e c'è un silenzio addirittura di due anni. Poi viene una terza volta dopo due anni in una condizione di nuovo caratteristica, la condizione nuova di questa terza venuta è che ha coinvolto nel proprio discorso di disagio sociale la famiglia, tanto è vero che viene con la madre questa volta cioè ha messo davanti la famiglia per porre la sua domanda di cura. Quindi vedete che queste tre venute al Sert sono ogni volta una diversa dall'altra: la prima è un disagio dichiarato con un nulla di fatto, la seconda si traduce in un tentativo di disintossicazione che dura due mesi, la terza viene mettendo la famiglia come porta-voce della propria domanda e questa ottiene dei risultati molto più efficaci delle prime due, cioè innesca un processo che a questo punto non sarà più ritirato, non del tutto per lo meno.
All'interno di questo percorso si possono individuare le ulteriori scansioni che sono: primo la rottura con la famiglia, il clima famigliare è deteriorato per cui chiede un'accoglienza residenziale; una seconda scansione è quando c'è il tentativo di suicidio che innesca il senso di colpa inconscio e per la prima volta un agito è legato ad un senso di colpa, quindi qualcosa dove l'inconscio comincia a parlare, o meglio comincia a prendere la scena ad occupare la scena di questo soggetto; un'ulteriore scansione è quando in seguito a tutte queste perdite economiche e di altro genere, la malattia del padre ecc..., torna a bucarsi. Questo ritorno compulsivo a bucarsi ha un contenuto altrettanto importante dal punto di vista della posizione soggettiva, perché mette in movimento la vergogna, quindi non solo la colpa inconscia, la vergogna, la vergogna del proprio aspetto quindi la sua interrogazione sul suo corpo sulla sua sessualità, sul suo apparire rispetto al sociale.
Che l'attenzione al suo apparire sociale sia segnata dallo sparire, non ci deve sorprendere il fatto che sparisca anche dai colloqui. Quando un paziente sparisce, per negativo egli ci appare, sentiamo la sua mancanza: è un eccesso di comunicazione. Dobbiamo abituarci a queste scansioni che giocano come dire nel loro rovescio, per trasparenza: quando un paziente che è sempre venuto alle sedute sparisce per tre sedute è la cosa più importante che sta succedendo in quella cura e metterà in gioco la questione del padre, la questione di una sessualità diversa, poi... non scendo in tutti i dettagli clinici; volevo solo ricordare alcune di queste scansioni per dire come sia importante che nell'istituzione ci sia un punto di osservazione come quello che ci ha presentato Cozzi nel suo racconto, perché è il punto di osservazione che permette di notare una serie di scansioni che gli altri punti di osservazione, diciamo così più specialistici, non avrebbero messo in rilievo.
Non so se questo punto è chiaro; vorrei sottoporlo anche al vostro giudizio..
Oggioni Brevissimamente. Freni si interrogava sul setting farmacologico se così si può dire, io interrogherei il lato della diagnosi, poiché l'esposizione mi sembra centrata sull'esopsichico e poco sull'endopsichico. Io credo ad esempio che sia piu adatta una diagnosi di border-line
Merlini Brevissimamente. Freni si interrogava sul setting farmacologico se così si può dire
Freni Non è tanto corretto dire setting farmacologico. Proponevo la questione che quando presentiamo un caso in una prospettiva integrata, se integrata deve essere bisogna che siamo consapevoli di essere partecipanti a un progetto di cura di cui quello che facciamo noi è solo una parte. Non avere questa consapevolezza o non manifestarla, non renderla manifesta, rischia di lasciare in ombra tutto il resto del processo di cura che invece è molto probabile che abbia una sua dimensione che influenzerà anche la cosa che facciamo noi come del resto è venuto fuori; questo era un punto su cui volevo tornare infatti. Arrivati ad un certo punto l'osservatore chiamiamolo così psicoterapeuta deve decentrarsi rispetto al progetto della comunità, perché sente che la comunità funziona per un percorso quasi di tipo comportamentista che lui non può condividere, allora deve decentrarsi rispetto a questo e darsi un suo progetto da condividere con la paziente, ma la Chiara Oggioni dice che l'avrebbe voluto vedere già da subito questo tipo di approccio; va beh, è andato così, quindi non è tanto la questione di setting, è una questione proprio di entrare in questo discorso di integrazione in una maniera più pura.
Merlini Io sentivo, Salvatore, le stesse preoccupazioni come dire rispetto all'andamento psicologico, psicoterapeutico. Cioè in questo senso l'abbinamento alla parola setting dove cioè mi sembra che accadano delle cose sia dal punto di vista farmacologico che psicologico, ma diventano poi di difficile comprensione, di difficile analisi proprio in una logica di integrazione dell'intervento se non si chiariscono la, e mi riferisco al luogo di intervento evidentemente poi qua in sede di discussione di supervisione il come e il perché, quello che io in una maniera un po' allegra lo chiamo setting, cioè le precondizioni che hanno consentito ad esempio di passare da, che ne so io, un tipo di farmaco ad un altro piuttosto che da una chiamiamola osservazione o diagnosi a una serie di colloqui nella quale si comincia già a parlare di transfert. Ecco queste cose credo che vadano meglio ricercate, specificate proprio in sede d'intervento. 
Freni Perché non provi tu a dire se trovi tranci di queste cose nella presentazione che è stata fatta, perché io mi proponevo di ritornare su questo punto positivamente.
Merlini Mi è difficile perché l'immagine che ho io di questa vicenda ben raccontata, sentita, nutrita con tutta una serie di sentimenti, di affetti, però sembra ci siano tutta una serie di accadimenti ma, ahimè, un po' casuali o comunque pensati ma non articolati; forse diciamo un po' la stessa cosa, intendo dire che parto da un'osservazione iniziale quello che mette in crisi, almeno questo è quello che ci dice la paziente, è l'incontro con il cugino che non interloquisce che non parla; sembra, qui è un suggestione che mi propongo e che vi propongo, che sia l'assenza di parola più che la presenza di parola in questo caso a in qualche modo scuotere Amanda. Ho invece la sensazione che dopo di parole ce ne siano tante e da qui la mancata assunzione, in parte ben inteso, di soggettività e da parte della paziente e forse anche da parte degli interrogatori degli interlocutori terapeutici. Questa sorta di automatismo che mi fa dire forse poco pensato o poco analizzato proprio nelle sue scansioni, del come viene al cert del perché; bene o male sentiamo che lei viene a chiedere la disintossicazione, sentiamo nel testo che là parte la disintossicazione; a un certo punto si innescano dei colloqui delle sedute e a me francamente come uditore mancano quello che dicevo prima, cioè tutti quei riferimenti tutte quelle legittimazioni che avrebbero dovuto a mio parere appunto legittimare in una sorta di contrattualità in una sorta di ricerca reciproca e di soggettività, questo sia dal punto di vista del farmaco che dal punto di vista della parola.
Viganò Vorrei rilanciare queste due osservazioni che mi appaiono complementari , poi chiedo a lei di confermare, perché effettivamente lei dott. Oggionni fa notare un elemento che nell'ascolto suona un po' simile a quello che cercavo di fare notare nel mio e cioè che c'è una casualità eccessiva delle scansioni e di un indubbio percorso come se questo percorso fosse fondamentalmente lasciato un po' ai colpi e contraccolpi dei vari servizi, personaggi. Perché poi noi abbiamo tra parentesi la fortuna diciamo in qualche modo che Cozzi ha assistito a quasi tutto questo percorso, ma è eccezionale normalmente nelle istituzioni questo non avviene, non sarebbe neanche possibile costruire questa storia nel 95% dei casi Sert, perché nel frattempo gli psicologi sarebbero cambiati, gli assistenti sociali, la famiglia sarebbe andata da un altro; quindi è già eccezionale avere questo campo di osservazione così esteso. Però si fa notare che, credo che le osservazioni si congiungano su questo punto, non c'è quello che Merlini chiamava una legittimazione di questi interventi cioè una progettualità psicoterapeutica forte che potrebbe quindi portare a quello che Oggioni chiedeva cioè a spingere la paziente ad un lavoro endopsichico anziché essere messa nelle condizioni, anche da questi interventi da colpo e contraccolpo, a sua volta di agire a destra e a sinistra. La mancanza di quello che Merlini chiama un setting e quindi di condizioni per questo lavoro endopsichico, che tradotto un po' brutalmente vorrebbe dire, ma fino dal primo momento cinque anni fa bastava fare diagnosi borderline e proporre una psicoterapia del borderline punto a capo. Perché non è stato fatto un intervento così mirato, organizzato, che avrebbe potuto gestire il transfert il lavoro di mentalizzazione da parte di Amanda probabilmente in maniera più efficace, più rapida? La domanda che emerge mi sembra un po' questa: come mai perdere tutto questo tempo in questi colpi e contraccolpi un po' poco, come dire, organizzati dal punto di vista del sapere psicoterapeutico-psicoanalitico, perché non si è potuti intervenire con una proposta e con un ascolto meno controllante dal punto di vista sociale o sociologico e più di evoluzione di espressione soggettiva ed endopsichica appunto del soggetto? Si può ridurre a questo l'interrogativo?
Tronconi No l'ascolto richiede che si proponga e si disponga dello spazio di ascolto, perché Amanda sparisce, e come fai ad ascoltarla, vai a cercarla a casa sua non sai neanche l'indirizzo a volte, sparisce nel senso che va in giro quindi tanto o poco per organizzare l'ascolto ci vuole uno spazio di ascolto materiale insomma.
Quello che io volevo sottolineare invece è l'importanza della risorsa che il dott. Cozzi ha fatto vedere che a volte non si pensa, cioè a volte si salta addosso al paziente proponendogli subito una cura fai questo, fai questo, fai questo; io penso che l'osservazione accompagnamento è quello che ha prodotto una sorta di sicurezza nella paziente a non introdurre grosse variazioni di curanti e di servizi. Chi lavora nei servizi sa benissimo che la gente gira da tantissime parti a cercare l'operatore che gli vada bene; allora questa paziente non era pronta per fare un processo elaborativo o di coscientizzazione o di motivazione a cambiare però nella sua mente si avvantaggiava di una persona che accanto a lui, ecco perché la chiamo osservazione partecipe, che accanto a lui ci fosse. Se voi notate questa persona ritorna, non cambia servizio; ritorna da lui dopo un anno, ritorna poi ancora, accetta che lo psicologo le parli e io penso che a volte questo non viene visto come un'azione molto utile e produttiva, viene visto come utile e produttiva subito il fare qualcosa o di psicoterapeutico o di invio in strutture. Io sono testimone di tante psicoterapie abbinate a farmaco terapia, abbinate ad altre cose, fallite, fallite perché l'invio immediatamente uscito dall'SPDC devi fare questa cosa qui, devi fare la psicoterapia, devi fare la psicoterapia e la farmaco terapia, devi andare in questo centro, devi andare in quell'altro centro; è come se non c'è uno spazio di attesa e di fiducia nell'attesa che coltiva la speranza e coltiva la speranza che la motivazione nelle persone può nascere e che la motivazione può essere portata a qualcuno perché poi strutturi con te un programma dico questo perché solitamente nei servizi dove io ormai lavoro da tantissimo tempo non viene pensata come risorsa l'osservazione partecipante, ma la risorsa è subito un fare accanito dei vari curanti
Freni Qui in questo posto per esempio dell'osservazione facciamo la pratica fondamentale del nostro lavoro. Un attimo solo, volevo approfittare di questo intervento per dire una cosa che volevo dire prima. In realtà io non sono molto d'accordo che non ci sia un setting che non ci sia un processo in atto; non è il processo comunemente definito psicoterapeutico ma è in atto un processo osservativo dove questo disporsi passivo ricettivo all'ascolto l'attesa probabilmente è vero che genera una maggiore sicurezza nella paziente e la induce poi a formalizzare sempre meglio progressivamente la sua domanda di aiuto e credo che questo abbia a che fare con la struttura diciamo psichica di questa paziente su cui vorrei poi fare un discorso più approfondito. Quindi e non sono neanche tanto d'accordo che questi percorsi ecc... siano così casuali, io credo che in questa paziente c'è una recorsività molto precisa molto ripetitiva che ha a che fare con come funziona lei, c'è questo non poter parlare poi c'è si può agire in modo violento, poi compare finalmente e questo è in punto di cambiamento che secondo me è da attribuire specificamente a questa esperienza di ascolto, è il punto quando parla di percorso scolastico, questa stranezza che parla di scuola e sembra che compare un nuovo apprendimento che non ha niente a che fare con la scuola e io credo che è l'apprendimento che sta, è in essere qui, impara a parlare, impara a comunicare, impara che è possibile ascoltarsi, impara che è possibile accoppiarsi senza violentarsi. Mi sembra che questo sia un preciso punto in cui un abbozzo di transfert già è in atto e che rende possibile le trasformazioni successive. Ecco la cosa di cui volevo parlare a proposito sicurezza è questa, cioè a me pare che fondamentalmente questa ragazza si muove in un ambito che clinicamente possiamo dire sadomasochistico nel senso che lei finchè, e secondo me lo scomparire e il riapparire deve sicuramente adesso non posso dimostrarlo ma sono pronto a giocarmi un qualcosa su questa faccenda, il suo apparire e scomparire deve essere legato alla dinamica della coppia sadomasochistica fondamentale nel senso che finchè il sadomasochismo è funzionale al mantenimento della struttura narcisistica dei partecipanti allora è una relazione efficace tra virgolette nel senso che non richiede aiuto dall'esterno quindi il sadomasochismo come strategia economica per il mantenimento di una posizione narcisistica o autistica secondo un certo modo di pensare. Quando questo fallisce o per stanchezza di uno dei partners o perché tradisce questo accordo inconscio sadomasochistico, allora c'è bisogno come dire di cercare una fonte esterna oppure c'è bisogno di drammatizzare, quello che chiedeva la Oggioni, nell'intrapsichico ciò che prima era interpersonale. Ecco io credo che sia accaduto qualcosa del genere con questa paziente, cioè lei a livello conscio è una violentata, mentre a livello inconscio è una violentatrice. Scinde, nega e proietta nel partner la parte violentante il partner se ne fa carico e la violenta, ma quando il partner sembra quasi morire di questa condizione non è più adatto a svolgere questa funzione allora a differenza forse della comunità delle persone incontrate nella comunità che si sono proposte come partners sostitutivi, il terapeuta mantiene una stabilità che è quello che occorre, cioè l'unica possibilità che il terapeuta ha di porsi come, alcuni parlano di soggetto denarcisizzante, quindi portatore di terapia di cambiamento è mantenere una sua posizione stabile, serena aperta all'ascolto e non intervenire in modo attivo di non agire e credo che questo abbia dato dei frutti, perché quando la ragazza sente la colpa per il suicidio del ragazzo che si era proposto come sostituto del partener, questo ragazzo è stato rifiutato da lei, perché non ritenuto sufficientemente capace di svolgere il ruolo del violentatore tant'è che poveretto si va a suicidare. Questo svela la sua valenza violentante e finalmente si sente in colpa, ecco. Quando poi dice per la prima volta dopo la faccenda della scuola parla della possibilità di avere una relazione sessuale senza violenza, mi pare che questo è l'espressione alta di uno spostamento del transfert amoroso da terapeuta a questo nuovo partner. A questo punto mi pare che un ruolo fondamentale è svolto dalla faccenda di questo lutto famigliare transgenerazionale che in questa famiglia si perpetua nelle generazioni. Credo che questo sia un punto fondamentale su cui ormai parecchi autori stanno convergendo sul ritenere questa faccenda una radice fondamentale della psicopatologia umana, cioè il lutto non elaborato dai padri viene agito in forma inconscia dalle generazioni successive per cui il soggetto si sente attraversato da forze estranee, sconosciute e quindi agisce senza sapere il perché un qualche cosa che è dell'ordine del lutto che è dell'ordine in questo caso del reato della violenza di questi furti famigliari ecc... Quindi mi pare che ci siano tutti gli ingredienti per giustificare tutte queste ricorsività fatte di pieni di vuoti di un agire che può sembrare strano, bizzarro, ma se visto all'interno di questo allutamento come direbbe Racamier in parte viene... e mettendo al centro la necessità di sicurezza della paziente. Il discorso della sicurezza mi trova molto concorde perché è ritenuto il principio fondamentale per l'omeostasi sadomasochistica e questa conduce anche a una revisione della metapsicologia perché il principio di sicurezza geneticamente viene prima del principio di piacere quindi ci sono devo salvaguardarmi, il soggetto masochista non conosce la capacità di piacere, di gioia, di produrre piacere gioia, ma conosce il male molto forte nel male perché ne ha una conoscenza in questo caso transgenerazionale e lo usa come punto di forza, mentre il soggetto che si predispone al sadismo è uno che tende ad agire in modo inconsulto non pensa e quindi è uno che non sa gestire il male lo agisce prontamente e io credo che quell'andare tornare ecc... sia legato all'equilibrio omeostatico della coppia sadomasochistica; cioè quando non funziona il paziente torna perché spera di trovare nel terapeuta la rappresentazione dell'agente sadico su cui proiettare questa istanza per lei fondamentale. 
Cozzi Vorrei aggiungere una scansione molto interessante, cioè quando lei arriva l'ultima volta che poi inizia tutto il percorso in comunità o che, prima è saltata la convivenza e dopo i genitori hanno scoperto che lei aveva la boccette di metadone, quindi conferma in pieno. Prima era saltata la convivenza e dopo...e tra l'altro la convivenza era saltata perché i genitori la vedono con dei lividi un giorno che va lì al lavoro e allora lì comincia tutta un'inchiesta come mai, cosa c'è, cosa non c'è intervengono e fanno saltare questa convivenza, quindi confermerebbe proprio in pieno quello che lei aveva detto.
Freni Volevo dire una cosa a Chiara Oggioni. In un caso del genere essere attivi comporta una come dire realizzazione accelerata del transfert in cui il terapeuta attivamente fa qualche cosa perché questo si produca, però per ottenere questo bisogna che il terapeuta contemporaneamente appaia agli occhi del paziente come l'oggetto sadico di cui ha bisogno per il suo equilibrio omeostatico e contemporaneamente come l'oggetto soterico diciamo così, salvifico. Questo pone un problema tecnico di una gravità fondamentale perché c'è il rischio che se sei troppo attivo scivoli nell'agire sadicamente né più né meno come il partner, se non lo sei abbastanza non crei questo legame libidico con il bisogno inconscio del paziente; è una questione molto ma molto difficile. Io ho una paziente fortemente masochista in cui i primi tempi ho voluto forzare questo aspetto e ho corso il forte rischio di scivolare su una posizione che lei oggi mi può rimproverare come obbiettivamente sadica da parte mia e io devo dire non lo raccomando un metodo del genere, perché poi diventa duro convincere la paziente che sì, è vero, sei stato duro, sei stato sadico ma non sei solo quello, perché per la paziente è fondamentale che tu sia quello, quello è il paradosso. Questa è una questione estremamente pesante, difficilissima; sono quelle situazioni che comunque accadono quando si ha a che fare con pazienti del genere che lo si voglia o no accade; sono quei momenti in cui per esempio in una analisi arriva il momento in cui l'analista è quasi costretto a esaminare col paziente l'idea che si rivolga ad un altro analista, perché attacca, attacca, attacca, distrugge, distrugge, distrugge, arrivati ad un certo punto viene spontaneo dire, ma se non ti va niente bene come mai continui a venire qui? Ma è una domanda pleonastica, perché viene lì proprio perché ha bisogno di saturare questa valenza sadica e se il terapeuta non è abbastanza sadico la deve andare a cercare altrove, se è troppo sadico non è più terapeuta, come la mettiamo? Allora mi sembra che da questo punto di vista il gioco istituzionale è molto utile se capito bene, perché di sadismo nella istituzione ce n'è a iosa e quindi è possibile che se uno lavora, ecco perché mi appellavo alla capacità di rappresentarsi nella mente l'insieme della cura e dei personaggi che vi partecipano perché poi alcuni di questi personaggi possono essere ripresi dentro come rappresentanti sadici del terapeuta stavolta come suoi emissari o come suoi collaboratori che si incaricano di questa funzione e tanto che è fondamentale quando si creano queste relazione, la cosa che spesso succede è che il paziente va dallo psicoterapeuta e descrive lo psichiatra come sadico cattivo ecc... oppure va dallo psichiatra e descrive lo psicoterapeuta o viceversa oppure descrive l'altro come un poveretto un povero cristo ecc... che non sa che pesci pigliare perché proietta la propria... e parte impotente in quel caso lì ecco perché è utile, importante avere questo gioco complessivo delle parti ben presente e diventa utile appunto a questo punto nell'equipe potere scambiarsi queste cose perché l'integrazione avviene a questo livello, altrimenti diventa una parola vuota che non significa niente.
Di Giovanni Sarò rapidissima. Mi riallaccio a quello che ha detto ora il prof. Freni e a quello che diceva prima il Tronconi per sottolineare come secondo me nelle istituzioni specialmente sia importantissimo connotare questo spazio che ha chiamato di attesa e di fiducia mi pare Tronconi come quello non di un agire, ma anzi al contrario di un agire che richiede all'operatore di tenere ben desto il suo desiderio oltre gli scoraggiamenti e mi è sembrato molto interessante, vorrei dire solo questo, al di là del fatto che è chiaro che quando lo stesso narratore ci sottolinea quello che avrebbe potuto essere, anche noi andiamo facilmente dietro un po' direi a quest'esca, no? Ma invece mi è sembrato molto interessante in questo caso il parallelo emergere di quella che si può chiamare una responsabilità soggettiva del paziente, non fosse altro perché è tornato come ha detto Tronconi, con il fatto da una parte che l'operatore poveretto starei per dire è riuscito a sopravvivere al naufragio del servizio di questo forse non si parla abbastanza, altrimenti rischia che il desiderio dell'operatore diventi una mania, il che è altrettanto pericoloso; parallelamente direi, perché la prima responsabilità della ragazza secondo me è stata sottolineata quando ha fatto notare che pur presentandosi sotto la domanda dei genitori, lei gli aveva messo sotto gli occhi tutti i flaconi del suo drogarsi. Ecco qui vorrei sottolineare quello che mi pare ha detto anche molto interessante il prof. Freni questa ragazza deve individuarsi da un clan famigliare nel quale ci saranno senza dubbio tutti quegli aspetti anche luttuosi, ma nel quale appunto sembra che le persone si reggano esclusivamente l'un l'altra come facendosi puntelli a vicenda. C'è un clan famigliare molto ben descritto da quelle case tutte uguali che si rompe solo su un imbroglio eccessivo economico, quindi riuscire a soggettivarsi da un clan di questo genere richiede io penso una notevole capacità di attesa, riuscire ad aiutare il paziente ad uscire da un gruppo di questo genere da parte dell'operatore oltre si intende quello che è già stato detto sulle diagnosi e le difficoltà soggettive. Credo che non vada sottovalutato proprio l'aspetto di stretto agglomerato famigliare in cui questa ragazza si trova a vivere.
Viganò Credo che sia stato detto in diversi modi, l'elemento fondamentale di questo caso, che è molto insegnante in effetti, è stato indicato con il termine di setting, il setting serve a tenere questa sottile distinzione tra un sadismo e un masochismo giocati nel realismo quotidiano e quelli elaborati simbolicamente. Qui l'operazione che ci ha descritto Cozzi è l'operazione di rendere setting la realtà stessa o come diceva il prof. Freni di trasformarla, di darle un aspetto, in fondo, di teatro. Questi tanti interventi, che nel realismo quotidiano sarebbero puramente distruttivi, trasformarli simbolicamente: è lo spettatore che rende teatro la realtà , se non ci fosse stato lo spettatore dott. Cozzi quella era pura realtà; soltanto l'introdurre qualcuno che occupa la posizione che rende scena quello che altrimenti sarebbe realtà distruttiva permette alla ragazza di rapportarsi con la realtà come con una scena, cioè di fare una elaborazione psichica diciamo così. Quindi come diceva Tronconi questo è effettivamente il lavoro quotidiano in cui siamo messi nell'operazione, nel lavoro istituzionale, nel trasferire il setting analitico in un'operazione che ci mette sulla strada, sulle piazze ecc.

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