Presenatzione Saggio: "L’ambivalenza e l’ambiguità nelle rotture affettive"
Prefazione di Antonello Correale
Sembra impossibile riuscire a parlare dell’amore senza collegarlo ad una domanda fondamentale: quanto durerà? Basta ascoltare un valzer di Strauss o assistere a una commedia di Shakespeare per sentirsi riproporre il tema della caducità del sentimento.
Quanto più forte è la potenza dell’amore, quanto più dolorosa la domanda: potrò fidarmi, mi tradirà? O, ancora più drammaticamente, potrò fidarmi di me stesso, la tradirò?
È merito di questo libro di Dalle Luche e Bertacca di non scoraggiarsi di fronte a un tema così antico e così attraversato, dalla letteratura, dalla filosofia, dalla psichiatria, dalla psicoanalisi, e tentare di delimitare un campo possibile di riflessione, di studio, e, se possibile, di azione terapeutica, quando la tematica acquista caratteri di sofferenza estrema e insopportabile.
Vorrei proporre in particolare un’affermazione importante degli Autori che sembra contenere in sé in modo sintetico le argomentazioni di tutto il libro. Gli Autori affermano che in ogni relazione affettiva, è all’opera una tendenza a rendere perversa la relazione stessa, intendendo per perversa la tendenza appunto a cristallizzare le modalità del rapporto in una dimensione immobile e senza tempo, per espellerne la componente di possibili sofferenze, separatezza e trasformazioni.
Insomma, ogni amore tenderebbe a non tollerare l’idea della trasformazione possibile di sé e dell’altro, a non accettare che esistono le stagioni, le variazioni dei gusti, del carattere, del corpo, dei desideri, e a fantasticarne un illusorio, idealizzato, tempo zero, un tempo fuori del tempo, dove ogni possibile trasformazione è resa impossibile.
Si potrebbe pensare a questo proposito che più ancora della separazione – tanto studiata dalla psicoanalisi, tanto da farla ritenere il meccanismo cardine della vita psichica – ciò che viene temuto in modo assoluto – e gli Autori lo sottolineano con forza - è il possibile cambiamento, di sé o dell’altro, timore che impedisce di accettare che l’altro possiede in sé anche una dimensione di non totale riducibilità a noi stessi. Come se non si riuscisse ad accettare l’idea che tale irriducibilità – che a sua volta richiama l’idea così difficile da accettare della irreversibilità del tempo – è al tempo stesso la fonte della paura, ma anche la radice di una possibile permanenza del sentimento amoroso attraverso il tempo.
L’idea di Dalle Luche e Bertacca è che ambiguità e ambivalenza siano all’opera in questa tematica. In particolare, mentre l’ambivalenza rappresenterebbe la inevitabile accettazione della diversità dell’altro e del suo manifestarsi nel tempo, l’ambiguità consisterebbe in una falsificazione del rapporto in una tendenza a indurre confusione nell’altro, per far finta che un problema sia sempre presente, mentre invece viene chiuso e alterato.
Introdurre dunque nella coppia il tema del tempo, che può significare o la fine della coppia o una sua possibile infinita durata. Non c’è patologia nell’uno o nell’altro di entrambi i casi: il problema è che l’altro sia riconosciuto al tempo stesso come estraneo da fronteggiare e come ospite da albergare. Ma per far questo è necessario non essere abbagliati dalla fantasia accecante della assoluta permanenza.
Sembra emergere dalla paziente e dettagliata ricerca degli Autori, la considerazione che la difficoltà più aspra da superare non sia tanto la lontananza dell’oggetto d’amore, ma la sua costante presenza, che ci richiama alla realtà irriducibile dell’altro. Aiutare la coppia a sviluppare questa scoperta – indipendentemente dall’esito possibile della relazione – sembra per Dalle Luche e Bertacca, compito essenziale di ogni terapeuta che si misuri con questo tipo di sofferenza.
Salutiamo quindi con soddisfazione questo libro che riporta alla ribalta il tema della sessualità e dell’amore, così importante alle origini della psicoanalisi e attualmente purtroppo un po’ troppo disinvoltamente accantonato.
È da augurarsi che il loro importante sforzo sia l’inizio di una ripresa di interesse per questo campo così importante dell’esperienza umana.
Premessa
di Riccardo Dalle Luche e Simone Bertacca
"(…) pensavo al mio libro, e troppo inesatto sarebbe il dire,
pensando a coloro che lo avrebbero letto, anche ai miei lettori.
Giacchè questi, come ho dimostrato, non sarebbero stati "miei lettori",
ma i lettori di se stessi, essendo il mio libro qualcosa di simile
a quelle lenti d’ingrandimento che l’ottico di Combray porgeva ad un cliente,
il mio libro grazie al quale avrei fornito loro il mezzo di leggere entro se stessi."
Marcel Proust, Il tempo ritrovato
Questo libro parla di anime devastate dalle diverse forme di disamore: l’impossibilità di viverlo, di esprimerlo, di percepirlo, di restituirlo, di mantenerlo nel tempo, farlo essere quello che è: una forza che consente di tenere unite due persone estendendone le potenzialità. Viviamo in un tempo in cui la capacità di amare (Fromm, 1971) gode di scarso credito. Come Fromm oltre trent’anni fa noi pensiamo invece che saper vivere nel tempo i rapporti d’amore (in senso lato), non gioire quando li si vede perire oppure quando li si distrugge inconsapevolmente o attivamente sia anche e, forse, soprattutto, un ottimo indice di integrità affettiva, vale a dire della capacità di utilizzare a fondo e fino in fondo la potenzialità degli affetti di creare e costruire legami e opportunità nuove e uniche.
Nel nostro discorso non ci riferiremo solo agli amori sessuali (i più comuni ed evidenti) ma anche ai legami affettivamente intensi tra amici intimi, colleghi che lavorano fianco a fianco, soci in affari, maestri e allievi, terapeuti e pazienti, tra fratelli e tra genitori e figli. Quando questi rapporti, particolarmente stretti e vitali per entrambi i partners, vengono progressivamente pervasi dal disamore se non dall’odio, si interrompono in maniera sorprendente, imprevedibile, dolorosa. L’ambiguità e l’ambivalenza che per un certo periodo li caratterizzano sono indici precisi del fatto che i processi di attaccamento si sono deteriorati, che i legami si sono ammalati.
L’ambiguità e l’ambivalenza non sorgono mai nei rapporti generici e superficiali: presuppongono relazioni affettive intense (RAI) con particolari qualità di intimità, "storie serie" insomma. Più precisamente si può parlare, recuperando una vecchia terminologia psicoanalitica, di rapporti simbiotici, nei quali, ad un certo momento, germina in diversa misura l’illusione che i due partner siano indispensabili l’uno all’altro. Le separazioni, in questi casi, sono così dolorose e distruttive proprio perché, spaccando la simbiosi, trascinano inevitabilmente vissuti di morte.
Il linguaggio comune designa esattamente la dissoluzione di questo tipo di legami col termine di rotture: si spezza qualcosa e la volatile consistenza dei sentimenti che mantenevano il legame acquista una concretezza fisica, corporea, dolorosa. In questi processi si rivelano le strutture generali dei processi di costruzione e distruzione dei legami affettivi intensi e le loro varianti individuali, che assumono particolare rilevanza nella clinica dei disturbi dell’umore e dei disturbi borderline di personalità. Questi processi comportano una regressione alle matrici affettive primarie e per questo avviano comportamenti difensivi e protettivi a lungo termine che finiscono per trasformare l’individuo.
Infatti il dolore che attraversa, accompagna e succede a questo tipo di separazioni tende ad occultarsi ed incistarsi nel tempo, ma non passa mai; assume una forma subdola e sotterranea, si colloca in una dimensione atemporale e impone croniche misure difensive che, quando falliscono, riattivano e ristoricizzano il momento della frattura tra i partners. I rapporti nei quali si introducono l’ambivalenza e l’ambiguità, pur trasformandosi nel tempo e perdendo il loro carico di sofferenza, tendono ad avere una durata infinita. L’inconscio e il suo principale schermo, il sogno, s’incaricano di mostrare la loro persistenza ben oltre la loro archiviazione sul piano della realtà.
Per quanto sia impossibile operare una valida e netta distinzione fenomenica tra separazioni "normali" e "patologiche/patogene", un tentativo in questo senso appare necessario per comprendere meglio quali siano e come si manifestino i meccanismi distruttivi all’interno di una RAI. Il senso comune infatti ha una chiara percezione del carattere drammatico/tragico/doloroso di alcune separazioni rispetto ad altre e lo stupore ed il clamore che accompagnano inevitabilmente quelle tra partners che apparivano ben assortiti, sintonici, cooperativi, progettuali e, quindi, prevedibilmente inseparabili, ne è un buon indice. Il senso comune percepisce immediatamente che amori e amicizie e altre forme di legame cooperativo di lunga data e di grande intensità, non si interrompono in un giorno se non sono attraversate da dinamiche patogene/patologiche.
Su cosa si basa la percezione del "senso comune"? Essenzialmente su una previsione normativa delle evoluzioni dei rapporti. Tutti sanno che qualsiasi relazione, anche una RAI, può esaurirsi e che "nulla è eterno a questo mondo", quindi nessuno si stupisce "di quel lento deperire di legami a lungo sussistenti, che si verifica ad esempio quando in una convivenza i partner progressivamente si distanziano, vivendo sempre più indipendentemente l’uno dall’altro e giungendo poi ad una separazione o al divorzio per stanchezza e avvilimento " (Caruso, 1988).
La fine di una relazione, in questi casi, appare coerente, consecutiva e conseguente a problematiche di coppia ben evidenti (la "diversità" e la conseguente "incomunicabilità" dei partners, il non avere più niente da dirsi o da fare insieme, eccetera), o comunque al venire meno oggettivo della spinta propulsiva del legame, riconosciuta e espressa sia dai partner che dal contesto esterno.
Al contrario è l’incoerenza, l’imprevedibilità, la non consequenzialità e, in fondo, la non necessarietà, in una parola l’irrazionalità di alcune separazioni rispetto all’apparente, o anche reale, funzionamento della RAI, ad essere indici di un determinismo che non è giustificato affatto da motivi oggettivi, ma piuttosto da componenti personologiche oppure da altri fattori, per lo più inconsci o non mentalizzati in uno o entrambi i partners. Alcuni criteri fenomenici per distinguere queste separazioni dalle altre e per intuirne la distruttività, sono: a) il loro sopravvenire improvviso e inatteso; b) l’essere talora scatenate da eventi pretestuosi o irrisori; c) l’interrompere una relazione che si sarebbe potuta evolvere costruttivamente ancora per molto tempo e, quindi, d) l’arrecare conseguenze che, almeno apparentemente, vanno a detrimento della vita di entrambi i partner.
Indici ancora più attendibili del carattere patologico/patogeno di una separazione sono rappresentati da alcuni comportamenti del partner che ha avuto un ruolo attivo nella rottura. Tra questi: a) l’assenza di risposte affettive profonde e congrue con l’entità e il significato della rottura; b) la rapida sostituzione del partner con altri cui viene conferito uguale valore; c) l’assenza di sentimenti di colpa o rimorso; d) il rapido venir meno del ricordo dei vissuti e del valore della relazione nella mente degli ex partners; e) l’ostentazione di indifferenza o distanza verso l’ex; f) la cancellazione delle tracce visibili della relazione.
Per andare al nucleo fenomenologico, in ogni rottura chi la provoca oggettualizza l’altro, il quale percepisce di esserlo stato e non a caso avverte la rottura a livello fisico: si verifica cioè una decadenza di sentimenti differenziati in emozioni indifferenziate. La "nientificazione" dello psichico porta chi la subisce a pensare che al partner non importava assolutamente niente di lui, quindi, di non valere niente, di non essere niente. L’autostima viene rasa al suolo. L’elaborazione della perdita risulta impossibile in fase acuta e particolarmente difficile e dolorosa nel lungo periodo. Da parte sua il partner che ha avuto un ruolo attivo nella rottura aveva vissuto il suo travaglio silenziosamente, meditando da tempo la separazione. In genere, cioè, la perdita della qualità unica e simbiotica della relazione era già avvenuta da tempo unilateralmente ed il legame era semplicemente sopravvissuto in apparenza, galleggiando sopra conflitti inesprimibili.
Ricollocando le dimensioni dell’ambivalenza e dell’ambiguità in un campo interpersonale specifico appare possibile reinserirle all’interno della riflessione psichiatrica e psicoterapeutica, dalla quale attualmente sono pressoché assenti, benché la domanda di intervento sulle interazioni affettive patologiche sia maggiore rispetto al passato. E’ questo l’intento del presente saggio. Tuttavia il compito che è venuto profilandosi davanti a noi non è stato semplice. Diversi anni di riflessione, scrittura e riscrittura non hanno consentito di portare il testo ad una veste che si possa dire definitiva, non solo per la classica difficoltà ad affrontare scientificamente il campo minato dei sentimenti, per l’irrazionalità inafferrabile delle intermittenze del cuore, ma soprattutto perché la mescolanza di affetti contraddittori si esprime nei particolari, nei dettagli percettivi, affettivi e comportamentali, implica capacità mimetiche e clivaggi nella personalità e risulta alla fine così multiforme, mutevole e sfuggente da sfidare ogni sorta di schema o modello. Qui come mai altrove, the devil is in the detail: una parola o anche solo il modo con cui viene pronunciata o taciuta, o l’espressione che la accompagna possono caricarsi di un potenziale distruttivo immenso.
Per forza di cose il testo assume la forma della descrizione, della riflessione, o meglio di una meditazione, che nasce dall’esperienza e dai vissuti propri e altrui, di cui è intrisa la carriera di ogni psichiatra o ogni psicoterapeuta. Si tratta di fenomeni sui quali si discute e si lavora quotidianamente "in vivo" nei singoli casi, dando vita a percorsi interpretativi multiformi e complessi, che sfuggono ad una sistematizzazione se non a costo di immensi riduzionismi e semplificazioni di varia natura. Il nostro tentativo è solo quello di rintracciare alcuni punti fermi all’interno di queste dinamiche complesse e spesso diffuse al contesto relazionale che hanno se non altro il fascino di aprire sempre la psicopatologia al senso e di collegarla in modo concreto alle strutture sociali e antropologiche fondamentali degli esseri umani.
Nel primo capitolo sono contenute le definizioni e l’impostazione generale del problema mediante una revisione storica delle nozioni psicopatologiche e psicoanalitiche di ambivalenza e ambiguità; ad essa segue un tentativo di interpretazione strutturale di questi fenomeni, dove si cerca di porre in luce cioè le determinanti generali, concepite mediante un approccio dinamico e relazionale, ma evitando di cadere nella trappola obsoleta del linguaggio metapsicologico. Vengono quindi descritte le principali espressioni fenomeniche dei rapporti ambivalenti e ambigui, i vissuti che effettivamente prova chi è coinvolto in questo genere di situazioni. Sono poi delineate in termini più generali, da un punto di vista psichiatrico, le situazioni cliniche in cui le dinamiche di ambivalenza e ambiguità sono più evidenti che nei contesti "normali", cioè nelle interazioni tra personalità sufficientemente difese e organizzate. Infine si è reso necessario calare il tema nel contesto delle relazioni psicoterapeutiche nelle quali la questione si ripropone principalmente come ambivalenza transfert/controtransferale e come ambiguità comunicativa. Le brevi osservazioni cliniche di cui è costellato il testo hanno una funzione puramente esemplificativa e di contrappunto alla considerazioni teoriche. I richiami ai testi delle canzoni e alle trame di film e di opere letterarie (per lo più collocate nelle appendici) mostrano come questi temi abbiano valore universale e riguardino tutti coloro che "riflettono sulla mente".
Il libro è dedicato a tutte le coppie che riescono a restare unite.
INDICE
Prefazione, di Antonello Correale
Premessa
Prologo. Sulla natura degli affetti
1. L’ambivalenza e l’ambiguità
-
- Ambivalenza
1.1.1 Definizione
1.1.2 Breve storia della nozione di ambivalenza
1.1.3 I concetti psicoanalitici di ambivalenza
1.1.4 Presupposti relazionali dell’ambivalenza affettiva
1.1.5 Il nucleo della questione
1.1.6 Ambivalenza affettiva e sessualità
-
- Ambiguità
1.2.1 Definizione
1.2.2 La "personalità ambigua"
1.2.3 Ambiguità e malafede
1.3 De-psicologizzare l’ambivalenza e l’ambiguità?
2. Modelli strutturali
2.1 Psicodinamica delle relazioni ambivalenti
2.1.1 Struttura del conflitto ambivalente
2.1.2 Facilitazioni di contesto
2.1.3 La questione dell’attaccamento
2.1.4 Il ritorno delle dinamiche ambivalenti nella vita adulta
2.1.5 La vendicatività
2.1.6 Le difese verso l’ambivalenza
2.2 Ambivalenza e perversificazione delle relazioni d’amore
2.2.1 L’"amore vero"
2.2.2 L’amore come illusione di mutua guarigione
2.2.3 La soluzione perversa
2.2.4 Le dinamiche sadomasochistiche
2.2.5 Le dinamiche feticistiche
2.2.6 La ripetizione
2.2.7 Sintesi
2.3 Psicodinamica delle relazioni ambigue
2.3.1. Struttura dell’ambiguità
2.3.2 L’ambiguità e l’incapacità di scindere
2.3.3 Abbozzo di una tipologia descrittiva
2.3.4 La rottura con l’ambiguo
2.3.5 La micropatologia dell’ambiguo
2.3.6 La coazione a ripetere
2.3.7 Le difese contro l’ambiguità
2.3.8 Criteri tipologico-strutturali
2.4 Ambiguità e ambivalenza: riepilogo dei loro significati e delle interconnessioni
3. Fenomenologia delle rotture
3.1 Là dove prevale l’ambivalenza
3.1.1 L’incipit dell’ambivalenza
3.1.2 Vendetta chiama vendetta
3.1.3 Combattere per sentirsi vivi
3.1.4 Simmetrie e gemellarità
3.1.5 La resa
3.1.6 Il silenzio dell’odio
3.1.7 L’allargamento distruttivo
3.1.8 Le ondate dell’ambivalenza
3.1.9 La speranza, il perdono, la riconciliazione
3.1.10 Verso l’indifferenza
3.2 Là dove prevale l’ambiguità
3.2.1 Ambiguità dell’ambiguità
3.2.2 Il possesso impossibile
3.2.3 Le tecniche anticomunicative: il silenzio, Il depistaggio e l’insabbiamento
3.2.4 Aspetti della temporalità attiva
3.2.5 Gli altri
3.2.6 La violenza
3.2.7 La separazione dall’ambiguo
3.2.8 Il delirio di autenticità
4. Clinica dell’ambivalenza e dell’ambiguità
4.1 Ambivalenza affettiva e ambiguità nei disturbi dell’umore
4.1.1. L’ambivalenza e la patologia depressiva
4.1.2. L’ambivalenza emotiva negli stati ipomaniacali e misti
4.2 Il funzionamento borderline e la "instabilità relazionale"
4.3 Le personalità schizoidi
4.4 La gelosia tra ambiguità e ambivalenza: il caso Swann/Odette
4.5 Ambiguità, ambivalenza e sviluppi paranoici
4.6 L’ambivalenza affettiva nella schizofrenia
4.7 Altre patologie
5. La psicoterapia dell’ambiguità e dell’ambivalenza
5.1 Il vero e il falso in psicoterapia
5.2 La psicoterapia dei pazienti ambigui
5.3 La psicoterapia dell’ambivalenza
5.4 Il "deficit mentale" dell’ambiguo e nell’ambivalente
6. Sintesi conclusiva
7. Epilogo
8 Bibliografia e filmografia essenziale
Riccardo Dalle Luche. Psichiatra e psicoterapeuta, da tempo amico e collaboratore di POL.it, è responsabile dell’SPDC della ASL 1 di Massa e Carrara. Socio del direttivo della Società Italiana per la Psicopatologia, ha collaborato all’edizione italiana delle opere di Huber e Gross, Kurt Schneider e Tatossian. E’ autore di molti lavori originali di ambito psicopatologico. Tra le sue pubblicazioni in volume ricordiamo Il paradiso e la noia, con Carlo Maggini (Bollati Boringhieri, 1991).
Simone Bertacca. Psichiatra e psicoterapeuta, è medico dirigente presso il Ser.T. di Parma, dove dirige il Centro Studi delle Farmacotossicodipendenze e l’Unità di strada del programma dipendenze patologiche.
Commenti
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