Il Poppante Saggio
Blog ferencziano
di Gianni Guasto

SULLA COMPASSIONE

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25 aprile, 2014 - 18:57
di Gianni Guasto

In una lettera datata 8 Marzo 1895, Freud scrive all'amico Wilhelm Fliess, celebre otorinolaringoiatra berlinese, una lettera molto turbata, con la quale lo mette al corrente dell'esito imprevisto e sfavorevole dell'intervento di asportazione di un turbinato nasale a Emma Eckstein, amica di famiglia e paziente di Freud.

Emma è ammalata d'isteria, in un'epoca in cui la psicoanalisi non ha ancora raggiunto una propria maturità di disciplina scientifica. Freud sta compiendo i primi passi nella cura delle nevrosi, e da tre anni ha stretto un rapporto di intima amicizia con il medico berlinese.

Quest'ultimo sta sviluppando una teoria eziologica dei disturbi isterici, che in qualche modo "incrocia" gli studi freudiani, secondo la quale i fenomeni isterici sarebbero riconducibili a una presunta relazione, nella corpo femminile, fra le mucose nasali e i genitali, da cui ha tratto una teoria definibile come della "nevrosi nasale riflessa".

In breve, Fliess consiglia l'amico di operare al naso Emma, ma l'operazione si risolve in un clamoroso disastro. Non soltanto, l'esistenza di "punti genitali del naso" che avrebbero un ruolo eziologico nella genesi della malattia è pura fantasia, ma l'operazione va incontro a un gravissimo incidente: Fliess, venuto apposta a Vienna da Berlino per operare la paziente, non si avvede che un lembo di garza allo iodoformio è rimasto in una cavità ossea vicina al naso (seno paranasale), e provoca alla paziente conseguenze post-operatorie pericolose per la stessa vita, che verranno scongiurate dal tempestivo intervento del prof. Gersuny, un otorinolaringoiatra viennese chiamato da Freud giorni dopo il ritorno di Fliess a Berlino.

L'episodio, sul quale si è scritto moltissimo, è l'argomento sottostante il celebre "Sogno dell'iniezione a Irma", considerato lo "specimen dream" dell'"Interpretazione dei Sogni" (1899), l'opera forse più importante del Viennese.

Rileggendo ora la lettera scritta da Freud a Fliess poco dopo l’incidente, vengo colpito da alcune frasi nelle quali ricorre la parola "compassione".

Freud si trova in una situazione di grave imbarazzo, ed è dilaniato da pesantissimi sentimenti di colpa e di vergogna. La sua determinazione nel ricercare l'eziologia sessuale al fondo di ogni nevrosi, lo condurrà, come nel caso clinico del Presidente Schreber, a trascurare vari elementi d'indagine in favore della conferma dei propri presupposti teorici. Per questo a me sembra che il senso di colpa espresso attraverso il "sogno di Irma" contenga anche un elemento concernente tale percorso d'indagine scientifica. Durante il sogno, infatti, viene riscontrata nella paziente un'infiltrazione dovuta a una manovra medica errata, questa volta l'iniezione di un composto chimico, la trimetilamina, che richiama, per le sue caratteristiche organolettiche, la sessualità. Forse, pensa Freud durante il sogno, "l'ago non era pulito".

Il senso di colpa è quindi causato da una doppia manovra erronea e in parte violenta: l'aggressione chirurgica che residua un corpo estraneo nel corpo dell'ammalata e l'intrusione forzata di un elemento eziologico che non c'è (cioè, un altro corpo estraneo, simboleggiato dall'ago sporco): non l'interessamento nasale nelle vie nervose che dovrebbero essere coinvolte del processo isterico. E accanto ad esso, neppure, forse -mi permetto di arguire- la sessualità come elemento onnipresente e pervasivo.

L'introduzione di questi elementi richiede un certo grado di tacitamento del senso di colpa: normale, del resto, nella professione chirurgica quale premessa a un'aggressione cruenta a fini esclusivamente terapeutici. Da questi atti medici è estromessa la compassione, ovvero l'identificazione con la sofferenza dell'ammalato e con la sua paura.

Nella lettera a Fliess, Freud è in grave conflitto perché vorrebbe accusare l'amico di un atto barbaro e insensato, ma prima di tutto deve accusare se stesso (da cui poi il sogno, a esercitare una funzione traumatolitica e consolatoria) per aver accettato e favorito l'intervento.

Dopo aver dichiarato non senza sforzo che non intende rivolgere accuse all'amico, Freud invita se stesso e l'altro al recupero di un elemento psichico prima censurato in entrambi: per l'appunto, la compassione.

"Ora -scrive- dopo che ci ho riflettuto sopra, non resta altro che una sincera compassione per quella figliola". E più avanti: "Naturalmente, nessuno ti muove un appunto, e non saprei nemmeno chi potrebbe farlo. Spero solamente che anche tu arriverai, come me e altrettanto rapidamente, a provar compassione, e sta pur certo che non mi è stato necessario ristabilire la mia fiducia in te.

Desidero soltanto aggiungere che per un giorno ho esitato a comunicarti l'accaduto, poi ho incominciato a vergognarmi, ed ecco qui la lettera". (Sigmund Freud, Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1904. Edizione integrale a cura di J. M. Masson. Torino: Boringhieri 1986).

Perché mi colpisce questo ripetuto richiamo alla compassione? Forse perché esso si colloca a un bivio dell'affettività del medico. Ostacolo indesiderabile laddove si debba procedere in maniera cruenta e dolorosa per salvare la vita a un paziente, la compassione (parola etimologicamente affine a termini come "simpatia" ed "empatia") è un sentimento di marca materna, espulso dalla cultura medica maschile dalla coscienza "militarizzata" in funzione della guerra al "nemico" identificato con il "morbo", l'agente patogeno, il tumore, in obbedienza alla disposizione affettiva che Franco Fornari chiamava "codice paterno".

Ma l'improvviso richiamo alla "pietas" materna, che coglie Freud nel momento del dolore e della vergogna, è la necessità di riappropriarsi di una dimensione che nulla più trascuri di tutto ciò che è umano. La questione di una cura condotta con uno sguardo materno oppure paterno sarà destinata, negli anni a venire, a costellare anche dolorosamente il lungo confronto affettivo e conflittuale tra Sigmund Freud e Sándor Ferenczi.

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