La psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT)
Recenti tendenze, prove di efficacia, utilità e limiti
di Gabriele Melli, Eleonora Stopani, Claudia Carraresi, Francesco Bulli

Farmacoterapia e CBT nel trattamento dei disturbi dell'umore

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10 settembre, 2014 - 17:01
di Gabriele Melli, Eleonora Stopani, Claudia Carraresi, Francesco Bulli

Considerando che la farmacoterapia antidepressiva e la terapia cognitivo comportamentale (CBT) sono i due trattamenti di elezione, con innumerevoli prove scientifiche di efficacia, per i disturbi depressivi, e che sembrano avere come obiettivo fattori diversi che contribuiscono ad essi, l’idea di combinare questi due approcci appare almeno in teoria particolarmente promettente allo scopo di massimizzare l’efficacia dell’intervento.

Ciononostante, gli studi clinici controllati che sono stati condotti hanno evidenziato come il trattamento combinato aumenti solo del 10-20% il numero di pazienti responder al trattamento o in remissione sintomatologica al suo termine, rispetto alla sola farmacoterapia o alla sola CBT. D’altra parte, i costi di un intervento psicoterapico, per quanto breve e strutturato, sono elevati ed è inimmaginabile che tutti i pazienti depressi possano esservisi sottoposti di routine. Occorre quindi valutare quando combinare i due interventi possa effettivamente costituire un importante valore aggiunto, per decidere a quali pazienti che scelgano di effettuare una CBT sia opportuno suggerire anche una terapia farmacologica e, viceversa, a quali pazienti in trattamento farmacologico sia opportuno consigliare caldamente l’abbinamento di un percorso di terapia cognitiva.
Michael E. Tase, in un recentissimo articolo pubblicato sull’International Journal of Cognitive Therapy, ha provato a rispondere a questa domanda, considerando giustamente come, in un’epoca come quella attuale in cui le risorse scarseggiano, sia necessario selezionare attentamente i servizi da offrire ai singoli pazienti affetti da disturbo dell’umore unipolare o bipolare. Le conclusioni a cui è giunto, analizzando gli studi pubblicati nell’ultimo decennio, sono che la sola CBT o la sola farmacoterapia con SSRI siano sufficienti nella maggior parte dei casi di depressione unipolare, mentre la terapia combinata sarebbe utile in quei casi di depressione particolarmente gravi, resistente o cronica e recidivante. Allo stesso modo, per il disturbo bipolare, l’associazione della CBT alle terapie farmacologiche basate sugli antidepressivi e gli stabilizzanti del tono dell’umore, in questo caso essenziali, sarebbe raccomandabile in quei casi resistenti o recidivanti, oppure dove vi siano problemi di scarsa aderenza alla farmacoterapia.
In linea con questi dati, personalmente ritengo che la scelta del tipo di trattamento a cui sottoporsi non possa che essere del paziente stesso, ma che sia poco consigliabile (e forse anche poco etico) sia suggerire sempre, comunque e indiscriminatamente l’abbinamento di farmaci e CBT, sia non informare adeguatamente il paziente sull’esistenza di trattamenti alternativi a quello in corso che potrebbero essere abbinati, qualora si notino scarsi miglioramenti o facile tendenza alla ricaduta.
 
Fonte: Thase, M.E. (2014). Combining Cognitive Therapy and Pharmacotherapy for Depressive Disorders: A Review of Recent Developments. International Journal of Cognitive Therapy, 7(2), 108-121.
 
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Commenti

Grazie per le interessanti precisazioni.Ci sono dati sulla validita' di un simile approccio anche per il Disturbo da Attacchi di Panico? ( sempre meglio CBT+Farmacoter?)
Un cordiale saluto
Mario Ambrosioni


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