GALASSIA FREUD
Materiali sulla psicoanalisi apparsi sui media
di Luca Ribolini

Ottobre 2015 II - "Inconshow"

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17 ottobre, 2015 - 13:30
di Luca Ribolini
TRA GAY E DIVORZIATI. A forza di aperture Papa Francesco finirà come Gorbaciov, ma io mi iscrivo alla sua chiesa
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 7 ottobre 2015
Papa Francesco mi sembra sempre più somigliante al coraggioso e ingenuo Gorbaciov: apri qua apri là e vertiginosamente tutto un sistema edificato nei secoli collassa lasciando spazio a ogni pretesa in nome della libertà. Il che va bene, è giusto e tutto il resto, e tuttavia si ha pur sempre, nel caso della chiesa, una splendida civiltà che finisce, con le sue luci e le sue ombre, che davano un bel tono, assai sessuale, con tutti quei no, che trascinati dal desiderio rapidamente diventavano un sì, sì, sì, voglio sì. Superbo il lungo impero della chiesa trionfante, mai civiltà toccò una simile vertigine, mai eros fu tanto celebrato in quanto dannato. Ahimè, si è perso il gusto di questo raffinato piacere, nessuno è più disposto a fare la coda ai confessionali ove raccontare la colpa per poi correre subito a commetterne un’altra resa ancor più avvincente dall’idea di essere assolto e nel contempo espiare, con tutto quel bendidio di dogmi, precetti e liturgie. Ora il tempo di quella chiesa coltissima, feroce e sublime è agli sgoccioli e per assaporarlo occorrerà frequentare gli implacabili lefebvriani o i nuovi gruppi d’intransigenti, scissionisti sinodali disgustati da un vogliamoci bene a buon mercato. “Ma quali gay, quali divorziati, che vuole sta gente degna solo dell’inferno?”. Sono perfettamente d’accordo: ho tanto apprezzato la chiesa cattolica e tanto ancora l’apprezzo in questo suo estremismo, che proprio non potrei fare a meno di morire tra le sue braccia, che fino all’ultimo mi chiederei di chi siano, se di Cristo che mi accoglie in paradiso o di una strega che mi trascina all’inferno.
 
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2015/10/07/tra-gay-e-divorziati___1-vr-133554-rubriche_c176.htm
 

CARO FREUD MI SPIEGHI DI CHI È LA COLPA? 
di Vincenzo Salemme, napoli.repubblica.it, 9 ottobre 2015

Tra le grandi scoperte del Novecento credo si debba annoverare il Senso di Colpa. Grazie a Freud ed alla sua analisi approfondita dei meccanismi che regolano il nostro inconscio e quindi le nostre emozioni ed azioni e reazioni eccetera, sappiamo che molto spesso, quando assistiamo a qualcosa di brutto, di sbagliato, che con un lieve o grave fastidio ci angoscia lo spirito, non dobbiamo attribuire a noi la responsabilità di quel tale evento, ma anzi liberarci, appunto, dal suddetto ed immaginario senso di colpa che ci fa colpevoli di azioni che non abbiamo commesso e continuare sereni la nostra marcia nel percorso della vita.
Ma che vi devo dire? Io continuo tuttavia a confondere colpe e responsabilità. Come faccio, mi chiedo, a non sentirmi colpevole quando camminando per strada mi imbatto (spessissimo!) in qualche persona che, per un motivo o per l’altro (comprare un accendino, dei calzini, degli oggetti per la pulizia di casa, elemosine varie, per fame, per evidenti malformazioni fisiche, per chiedere tanto per chiedere), mi chiede un aiuto, in qualche mio prossimo che con il suo sguardo sembra dire: “Tu che hai avuto più fortuna di me, dammi una mano..”, “Io non ho colpe se la vita si è accanita contro di me…” eccetera? Sono confuso dottor Freud. Davvero non riesco a capire come una società dei nostri tempi possa concepire che degli esseri umani debbano (anche se tra loro ci sono certamente anche dei simulatori organizzati) vivere chiedendo la carità ad altre persone.
 
Segue qui:
http://napoli.repubblica.it/cronaca/2015/10/09/news/a_ruota_libera_vincenzo_salemme_caro_freud_mi_spieghi_di_chi_e_la_colpa_-124691109/?rss
 

INCURSIONI IN UN MONDO IN PERENNE TRANSIZIONE. La messa in onda di sei parole chiave della rivista «Alfabeta 2». Amare, Spendere, Giocare, Combattere, Usare e Creare. I termini delle trasmissioni che prenderanno il via domenica (22.30) su Rai 5 
di Benedetto Vecchi, ilmanifesto.info, 9 ottobre 2015

Sei parole chiave per acce­dere alla com­pren­sione del reale. Non alla sua tota­lità, sia ben chiaro, bensì agli aspetti con­trad­dit­tori, meglio ambi­va­lenti di un mondo che appare, sostiene la reto­rica domi­nante, inin­tel­li­gi­bile, per­ché segnato da una eterna tran­si­zione verso un «nuovo» sem­pre annun­ciato ma mai dav­vero dive­nuto realtà. La rivi­sta «Alfa­beta 2» non vuole quindi offrire una inter­pre­ta­zione tota­liz­zante del mondo, ma si pro­pone, appunto, di sce­gliere campi tema­tici dove con­vi­vono istanze di libertà, ma anche dispo­si­tivi — vec­chi e nuovi — di oppres­sione. Per que­sto ha scelto sei verbi decli­nati all’infinito per fare incur­sioni in campi dove si mesco­lano, oltre alla cop­pia libertà e oppres­sione, anche la ten­sione tra sin­go­lare e col­let­tivo. «Amare, Spen­dere, Gio­care, Com­bat­tere, Usare e Creare» sono que­sti i lemmi scelti dalla rivi­sta che andranno a scan­dire sei pun­tate tele­vi­sive che occu­pe­ranno una parte del palin­se­sto serale del canale Rai 5 tra­smesso sul digi­tale ter­re­ste (l’inizio è pre­vi­sto per dome­nica 11 otto­bre, alle 22.30). Le tra­smis­sioni tele­vi­sive saranno con­dotte da Andrea Cor­tel­lessa, cri­tico let­te­ra­rio e uno degli agit prop di «Alfa­beta 2», ma vedranno la par­te­ci­pa­zione di gran parte della reda­zione della rivi­sta, da Nanni Bale­strini a Maria Teresa Car­bone, Nico­las Mar­tino che inter­vi­ste­ranno filo­sofi, scrit­tori, poeti, gior­na­li­sti che hanno affron­tato, ognuno dal pro­prio osser­va­to­rio, il tema della puntata.
Uno degli ele­menti che emerge dai mate­riali — su carta, audio e girati — è che ognuno dei temi può essere scan­dito dagli altri. Den­tro l’amore, infatti, ci si spende, si gioca, si com­batte, si usa e si crea. Amare, infatti, signi­fica spen­dere le pro­prie ener­gie, il pro­prio tempo. Ma si gioca, anche, il com­plesso e sem­pre avvin­cente duello dove desi­de­rio, rico­no­sci­mento, iden­tità sono le armi indi­spen­sa­bili per quell’incontro con l’altro o l’altra, cioè l’unica misura della pro­pria sin­go­la­rità. Dun­que si può anche com­bat­tere, oppure usare l’altro. Oppure creare una rela­zione, un figlio o una figlia. E solo un esem­pio di come ogni ter­mine rac­chiuda gli altri. L’operazione però non è solo meta­lin­gui­stica. Gli autori delle pun­tate voglio anche regi­strare cosa è cam­biato in ognuno dei campi individuati. Sull’amore il punto di par­tenza è la crisi della cop­pia tra­di­zio­nale, meglio dei tra­di­zio­nali ruoli che vede un maschio domi­nante e una donna subal­terna. E se Luisa Muraro può illu­strare gli effetti di lunga durata dell’affermazione della libertà fem­mi­nile, Mas­simo Recal­cati non può che regi­strare e nar­rare come l’implosione della cop­pia alterna gioia, ma anche sof­fe­renza. E di come l’amore sia anche una com­po­nente del rap­porto tra madri e figli e padri e figlio. E se la cro­naca non fosse impre­gnata anche di bana­lità, un fat­tore è emerso final­mente dalla clan­de­sti­nità è che amore non è legato solo alla dimen­sione ete­ro­ses­suale, bensì vede pro­ta­go­ni­sti due maschi o due donne. A par­lare di tutto ciò gli scrit­tori e scrit­trici Wal­ter Siti, Aldo Nove, Ros­sana Campo, Gilda Poli­ca­stro, oltre i già ricor­dati Luisa Muraro e Mas­simo Recalcati.
 
Segue qui:
http://ilmanifesto.info/incursioni-in-un-mondo-in-perenne-transizione/

DA GRANDE FARÒ IL PENSIONATO . L’ideale è il Gratta e vinci, un guadagno senza lavoro 
di Goffredo Pistelli, italiaoggi.it, 10 ottobre 2015

Luigi Ballerini scrive per i ragazzi. E i suoi lavori sono pure premiati: nel 2014, con La signorina Euforbia (San Paolo), ha ricevuto il Premio Andersen, che sta a questa narrativa come il David di Donatello sta al cinema. Di Sarzana (Sp), classe 1963, è medico e psicoanalista. Esercita la sua attività a Milano, dove vive. Il suo studio, in un elegante palazzo milanese, anni ’20, non lontano dalla Stazione Centrale, è esattamente il luogo dove ti aspetti di trovare un freudiano come lui. Invece non ti aspetti la critica che ha vergato su Avvenire pochi giorni dopo l’uscita di Inside Out, il celebrato cartone della Pixar: «Non c’è pensiero in questa infanzia, e nemmeno in questa umanità».
Domanda. Ballerini, prendiamola larga. Come vediamo oggi in Italia gli adolescenti per cui lei scrive?
Risposta. Tendiamo a vederli come fascio di istinti, prede di tempeste ormonali, non si pensa che pensino, mi perdoni il gioco di parole. Invece anche gli errori e le sciocchezze che un adolescente compie sono atti pensati, magari pensati male.
D. Cosa cambia fra istintività e pensiero?
R. Il fatto che l’adolescente pensi, oltre a essere un dato di realtà, è una buona notizia anche in caso di errore, infatti pone la condizione della sua correggibilità. Se invece fosse solo istinto, basterebbe contenerlo, no?
DSe non consideriamo gli adolescenti capaci che di istinti, figurarsi i bambini.
R. Finché è un tenero frugoletto, il bambino ci piace. E tra l’altro il bambino fa di tutto per compiacerci. Quando le cose vanno bene, un bambino è gradevole e gradito.
 
Segue qui:
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=2026192&codiciTestate=1
 

NON SOLO INSIDE OUT. ECCO PERCHÉ LA GIOIA, PER DIVENTARE FELICITÀ, HA BISOGNO DI TRISTEZZA 
di Paolo Cervari, huffingtonpost.it, 12 ottobre 2015

Inside Out, l’ultimo film della Pixar, ha fatto molto parlare di sé. Perché è un film coinvolgente, perché è un film che ci parla di noi, perché è un film ricco di colpi di scena. Ma forse il motivo segreto per cui colpisce tanto l’immaginazione del pubblico è che dà un ruolo positivo alla tristezza. Senza tristezza non c’è la felicità. Sorpresa? Per spiegarci meglio facciamo un passo indietro. Inside Out si basa sulle ultime ricerche scientifiche e, coerentemente a esse, ci mostra 5 emozioni di base: gioia, tristezza, disgusto, rabbia, paura. Quattro negative e una sola positiva, mi dicono spesso alcuni (in aula o in sessione di coaching o consulenza filosofica). Ma non è così. Intanto servono tutte. E non solo, senza di esse non faremmo nulla, perché le emozioni sono ciò che ci muove: emotion in inglese ha la stessa radice di motion e move, parole che riguardano il muoversi (e il cinema…. guarda caso, che si dice movie). Insomma, le emozioni sono il sale della vita, per così dire. E, contrariamente a quanto sostenuto a volte (ma solo a volte) nella storia del pensiero, sono tutte utili. La paura ci rende prudenti di fronte ai pericoli, la rabbia ci dà l’energia per combattere le avversità, il disgusto ci protegge dalle intossicazioni, anche mentali, come i malefici influssi provenienti dalle persone negative o noiose. E la tristezza? A che serve la tristezza?
A molte cose: in primo luogo, se espressa, rende noto agli altri che “c’è qualcosa che non va” e funziona pertanto come una specie di richiesta di aiuto. Ma serve anche a mantenere il nostro rapporto col mondo, perché ci ricorda che il mondo non va sempre come vorremmo e molte cose sono, purtroppo, non ideali o “brutte”: supporta il nostro senso della realtà. Per lo stesso motivo è indispensabile a mantenere stabile la nostra identità: avete presente le persone sempre e soltanto insopportabilmente felici? Sono inquietanti e ci fanno temere che crollino da un momento all’altro, senza contare che spesso sono poco capaci di ascolto ed empatia. Invece per essere empatici bisogna essere capaci di tristezza: ecco un’altra funzione importante di questa emozione. Diceva Melanie Klein, illustre psicoanalista freudiana, che il bambino piccolo per maturare deve provare frustrazione e dolore, ma soprattutto interiorizzarli, per accedere a quella che lei chiamava posizione depressiva. Anche la psicoanalista Maria Rita Parsi, in una recente intervista si esprime a favore di questa accettazione della sofferenza. Insomma, con buona pace di chi esalta il pensiero positivo, una persona equilibrata e matura non solo è capace di essere triste, ma lo è ogniqualvolta le circostanze fan si che questo possa accadere. Può accadere perché ci viene a mancare qualcosa, naturalmente, ma anche perché la nostra memoria ci porta ricordi non belli, e tuttavia indispensabili a comprendere quanto ci sta accadendo in quel momento presente (per esempio ricordare che una certa persona ci ha fatto del male).
 
Segue qui:
http://www.huffingtonpost.it/paolo-cervari/non-solo-inside-out-ecco-perche-la-gioia-per-diventare-felicita-ha-bisogno-di-tristezza_b_8276626.html?utm_hp_ref=italy
 

HAI PAURA DEL GIUDIZIO DEGLI ALTRI? È SAD, L’ANSIA SOCIALE DI CUI SOFFRE IL 13% DI ITALIANI, SOPRATTUTTO DONNE. “Che cosa penserà di me? Che cosa devo dire? E se sbaglio?” Tante, troppe di noi conoscono bene quel ripetersi di frasi negative che influenzano il proprio stato d’animo, impedendo di essere attive 
di Ester Palma, 27esimaora.corriere.it, 13 ottobre 2015

A chi non è capitato? È il momento di prendere la parola, in una riunione di lavoro, durante una tavolata con gli amici, durante un’assemblea condominiale persino. E allora scattano reazioni incontrollabili e imbarazzanti: rossore, mani e voce che tremano, il sudore che scende a gocce anche se è pieno inverno. Che succede? E cosa fare se siamo vittime di questa fastidiosa sindrome? Lo chiediamo a Terry Bruno, psicologa e psicanalista, che spiega: «Viviamo in un’epoca in cui le relazioni sociali sono fondamentali, in cui la risposta pronta e brillante è quella che ti dà una marcia in più e ti fa sentire “cool”, in voga, popolare. Ma non a tutti riesce facile. Tanto che parlare, esporsi in pubblico può diventare una vera sofferenza. La tensione cresce, tanto da sfociare, in soggetti e momenti particolari, addirittura nel vomito. Una volta, tali persone venivano semplicemente etichettate come schive, introverse, molto timide. Ricordo che alcune mie pazienti in situazioni di relazioni interpersonali, in cui si poteva paventare l’eventualità di esprimere un loro parere o d’intavolare un discorso, si maculavano di macchie rosse nella zona del collo e del décolleté. Immaginate il loro disagio di fronte al proprio interlocutore. Disagio che aumenta la difficoltà non solo ad esprimersi: il semplice rossore può determinare un tale stato di malessere tanto da indurre chi lo vive ad evitare situazioni pubbliche».
 
Segue qui:
http://27esimaora.corriere.it/articolo/hai-paura-del-giudizio-degli-altri-si-chiama-sad-lansia-sociale-di-cui-soffre-il-13-di-italiani-soprattutto-donne/?refresh_ce-cp

LA FLESSIBILITÀ È MEGLIO DEL LIMITE. Perché abbiamo bisogno di Nietzsche 
di Giovanni Bottiroli, doppiozero.com, 13 ottobre 2015

1. “Non pensare a trasgredire la Legge, cerca piuttosto di trasgredire te stesso”: quasi certamente questo è il precetto più importante che possiamo derivare da Nietzsche in una prospettiva etica. Un’esortazione, un imperativo, se si vuole: ma un imperativo che, per quanto categorico, non prescrive nulla di rigido, e che, per quanto sia rivolto a tutti, appare orientato meno verso l’universalità che non verso la singolarità. Ritengo che la massima di Nietzsche rappresenti la via più feconda per un’etica nella società contemporanea, nella società liquida se ci accontentiamo dell’ambigua espressione di Bauman (tornerò tra poco sulla sua ambiguità). Ma, poiché questa massima non viene formulata esplicitamente nell’opera di Nietzsche, vorrei anzitutto giustificare la legittimità della mia interpretazione. Nietzsche è il filosofo del Superuomo. Tuttavia il termine Übermensch andrebbe inteso, e tradotto in italiano, con oltreuomo: l’oltreuomo è il soggetto capace di oltrepassare se stesso, di varcare i propri confini. Dunque l’etica di Nietzsche non è affatto aristocratica: al contrario, è profondamente democratica, perché l’invito a “superare se stessi” viene rivolto a ogni individuo.
A questa prima precisazione bisogna farne seguire una seconda: gli essere umani possono oltrepassare se stessi perché sono flessibili,plastici. Se fossero rigidi, potrebbero cambiare, trasformarsi, tentare innumerevoli variazioni, ma sempre e soltanto all’interno delle proprie frontiere. In una celebre formulazione, Nietzsche afferma che l’uomo è “l’animale non ancora stabilmente determinato”. Non ancorava inteso come “non mai”. Ciò non equivale a dire che l’uomo è l’animale liquido, perché la liquidità non è una garanzia contro la rigidità. Si può essere liquidi e monotoni. Questo è un punto essenziale da chiarire: un soggetto rigido può essere mutevole, dinamico, nomadico (alla Deleuze). Non è necessariamente statico.
2. Se questa tesi suona bizzarra, si può cominciare a comprenderla con un’immagine creata da Kafka: quella di un prigioniero in grado di spostarsi, perché le sbarre della sua prigione non sono conficcate al suolo; egli le porta a spasso per il mondo, restando sempre al loro interno. Oltrepassa i confini dei territori, non quelli che lo incatenano a se stesso. Possiamo adesso considerare il problema da cui muove questa mia riflessione: viviamo, si dice, in una società che, non riuscendo più a percepire il senso e la funzione del limite, si trova di fronte a fenomeni di devastazione che potrebbero essere contrastati soltanto ritrovando la funzione perduta. La perdita del limite è descritta in vari modi: al linguaggio troppo epidermico della sociologia io preferisco quello della psicoanalisi. Viviamo nell’epoca dell’evaporazione del Padre, aveva detto acutamente Lacan, cogliendo il movimento di dissoluzione di tutte le figure autorevoli. E poiché il padre, quale che sia la sua realtà concreta, è il portatore della legge, a dissolversi è il rapporto dell’individuo con la Legge. Ne risulta un soggetto che si percepisce come senza limiti. “Non riesco a mettermi un limite” dice Andrea, un paziente di Franco Lolli; nel suo bel saggio, L’epoca dell’inconshow, Lolli utilizza questa frase per indicare due tipi di comportamento:
(a) quelli eccessivi e sregolati fino alla violenza contro di sé e contro gli altri: “Andrea vive costantemente sul punto di rovinarsi; quando beve, lo fa fino a stare malissimo, quando ‘tira’, si fa fuori in pochi mesi una quantità esagerata di soldi, quando litiga con la sua ragazza finisce col picchiarla e beccarsi una denuncia, quando viene fermato dalla polizia in stato di ebbrezza dice di essere stato malmenato dagli agenti procurandosi da solo contusioni e ferite al volto – sperando di poter ribaltare così la sua scomoda situazione”.
b) comportamenti innocui, che mostrano però l’incapacità di realizzare una qualunque meta: quale che sia l’obiettivo, il footing, imparare a suonare la chitarra, le donne, le sostanze, Andrea rincorre freneticamente il suo obiettivo solo per un po’ di tempo. Poi il desiderio – ammesso che lo si possa chiamare così – svanisce; e ne subentra un altro.
Constatiamo dunque non solo l’evaporazione del padre e della legge, ma anche l’evaporazione di un qualunque investimento libidico durevole. Il soggetto passa da uno sciame all’altro – dal gruppo della discoteca a quello della palestra, a quello dell’aperitivo, ecc., cambia e accumula i suoi Io come in un patchwork.
Gli psicoanalisti lacaniani, e in particolare Massimo Recalcati, che in questi anni ha saputo liberare l’opera di Lacan dai suoi gergalismi e l’ha proposta a un pubblico più ampio, interpretandola anche in maniera originale (il complesso di Telemaco) e facendone comprendere tutta l’importanza, descrivono questa situazione epocale mediante una coppia di termini: desiderio e godimento (jouissance). Il desiderio è una forza che incontra la Legge, e ne accetta le limitazioni; il godimento è la spinta acefala a non accontentarsi del piacere, ma a puntare verso l’eccesso. Un eccesso mortifero e autodistruttivo – il termine godimento non indica solo l’intensificazione del piacere, ma la distruzione della vita, anzitutto e fondamentalmente la propria. In ciò si manifesta peraltro una tendenza dell’essere umano, che non ha una vocazione naturale all’equilibrio, al piacere omeostatico, alla misura. “L’essere umano non è un essere aristotelico, non si accontenta della via mediana, non è un ‘animale razionale’, ma, come afferma Lacan, un ‘essere di godimento’, un essere che tende a oltrepassare il limite, a preferire il godimento alla difesa della propria vita” (M. Recalcati, Ritratti del desiderio, Cortina 2012, p. 98. Il corsivo è mio). Così l’individuo si trova a perseguire un “godimento senza Legge’, un godimento maledetto che lo trascina in una schiavitù distruttiva. Tutte le patologie contemporanee (anoressia, bulimia, tossicodipendenze) ne sono la prova.
 
Segue qui:
http://doppiozero.com/materiali/teorie/la-flessibilita-e-meglio-del-limite
 

IL DIALOGO SULL’AMORE E LA COMICITÀ INVOLONTARIA DI «ALFABETA» 
di Aldo Grasso, corriere.it, 14 ottobre 2015                

Che meraviglia, anche Rai5 ha un suo programma comico. Comicità raffinata, impareggiabile, alla Campanile per intenderci. Il programma si chiama «Alfabeta» e fa il verso a quella presuntuosa, ideologica e noiosissima rivista letteraria di Nanni Balestrini, Angelo Guglielmi, Paolo Fabbri e Umberto Eco (domenica, ore 22.15). Perbacco, come non averci pensato subito! Nell’ilarità che ci assale fin dalle prime inquadrature, ci dev’essere sicuramente la mano di Eco, l’Eco delle strepitose parodie di «Diario Minimo».
 
Segue qui:
http://www.corriere.it/spettacoli/15_ottobre_13/dialogo-sull-amore-comicita-involontaria-alfabeta-532798ee-7169-11e5-b015-f1d3b8f071aa.shtml
 
Video
“ALFABETA”, AMARE. I PUNTATA
da rai.tv, 11 ottobre 2015
Dai classici ai contemporanei: reading, monologhi, narrazioni e contaminazioni con musica, documentari e serie legati al tema della letteratura. Recalcati interviene a 10′ 30” dall’inizio.

Vai al link:
http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html?day=2015-10-11&ch=31&v=576538&vd=2015-10-11&vc=31#day=2015-10-11&ch=31&v=576538&vd=2015-10-11&vc=31
 
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
 
 

(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com

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