PSICOANALISI AL PRESENTE
Risposte al disagio della contemporaneità
di Alex Pagliardini

Una domanda nella scuola

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22 febbraio, 2016 - 12:50
di Alex Pagliardini

Ciò che si chiede allo psicoanalista non è certo quel che riguarda il soggetto supposto sapere. Ho sovente insistito sul fatto che noi non siamo supposti sapere un granché. Ciò che l'analisi instaura è tutto il contrario. L'analista dice a colui che sta per cominciare - “Andiamo, dica qualunque cosa, sarà meraviglioso”. È lui che l'analista istituisce come soggetto supposto sapere.1

 

“La scuola non se la passa bene”! Si tratta di un'affermazione che circola da molti anni. Tale affermazione un tempo aveva una sua fondatezza e nello stesso momento era avvolta da un certo narcisismo nostalgico, ossia era animata dall'ipotesi di un tempo in cui la scuola avrebbe funzionato – tempo di fatto mai esistito.

Oggi questa stessa affermazione non solo è fondata ma è anche esatta – cioè non ha più alcuna nostalgia ad animarla, è la sua esattezza a farlo.

Perché allora oggi la scuola se la passa così male? Per molte ragioni. A mio avviso, una su tutte. La scuola è diventata lo spazio nel quale ogni giorno si celebra e alimenta il matrimonio tra discorso del capitalista e discorso educativo, matrimonio particolare, dato che uno dei due, il discorso del capitalista, ingloba e sottomette l'altro, il discorso educativo.

Se un tempo la scuola era uno spazio, pur con le sue debolezze e contraddizioni, nel quale era possibile costruire un'alternativa e una variazione particolare rispetto al programma del discorso del capitalista, ora al contrario la scuola è diventata uno degli spazi principali in cui il programma del capitalismo si dispiega e si dà consistenza.

Nel funzionamento della scuola, oggi, da un lato non c'è nessuno spazio per le storpiature, le deviazioni impreviste di chi la frequenta, dall'altro c'è un rifiuto radicale dell'incontenibilità della vita che attraversa chi la frequenta – pensiamo soprattutto agli adolescenti.

Una scuola che non permette a chi la frequenta di dispiegare la propria particolarità nel sapere e che non permetta a chi la frequenta di trovare qualche frammento di risposta all’eccesso che abita la propria vita, è una scuola che ha dismesso completamente di esercitare la propria funzione.

Di questo stato di cose sembra se ne sia accorta anche la politica – sembra ma non è vero. Non a caso negli ultimi anni la scuola è stata spesso riformata. Venire riformati era fino a 15 anni fa un significante ambito da molti giovani, stava a significare che si era non idonei a svolgere il servizio militare di leva. La scuola riformata degli ultimi anni va in questa direzione. È la scuola alla quale è stata riconosciuta l'inidoneità a fare la scuola.

Allo stesso tempo non è un caso il fatto che siano usciti molti testi sulla scuola in questi ultimi anni. Due a mio avviso particolarmente significativi, capaci di metter l'accento su “come insegnare”, sono L'ora di lezione. Per un'erotica dell'insegnamento2 di Massimo Recalcati e L'insegnamento impossibile. Sul sapere postmoderno3 di Flavia Conte.

Il primo ha avuto, giustamente, una grande risonanza e, di conseguenza, qualche effetto. La cosa permette una considerazione, che va al di là degli indubbi meriti del libro.

La psicoanalisi può senz'altro fare intendere che insegnare non significa trasmettere un sapere ma trasmettere un desiderio di sapere. Facendo circolare il proprio discorso, evidentemente non solo e non tanto attraverso dei libri, la psicoanalisi può toccare il particolare. Il particolare nel caso della scuola consiste in uno, dieci, cento ecc... insegnanti, genitori, educatori, alunni ecc... Che la psicoanalisi possa toccare questo particolare significa che può svegliare, parzialmente, insegnanti, educatori, genitori e alunni dal sonno al quale sono costretti dalla congiunzione tra discorso del capitalista e discorso educativo, o meglio della sottomissione del discorso educativo al discorso del capitalista. L'interesse per il particolare non deve spingerci verso un ingenuo umanismo. Il modo in cui si insegna e in cui si impara all'interno della scuola è determinato dal funzionamento strutturale della medesima. Non si può confidare e fare leva sulla buona volontà e i buoni propositi di chi insegna e di chi impara nella scuola, non è questo a toccare il particolare. Toccare il particolare significa modificare l'intimo rapporto che chi frequenta la scuola – a vario titolo – ha con il funzionamento della scuola.

Qui tocchiamo un primo punto significativo. La psicoanalisi facendo circolare il proprio discorso può toccare il particolare di chi frequenta la scuola e ciò può – con un certo ottimismo – toccare e modificare – molto parzialmente – il funzionamento della scuola, la sua struttura. Nell’affermare questa tesi affermo al contempo il suo rovescio, ossia che la psicoanalisi non può modificare la struttura della scuola, non può toccare direttamente il funzionamento della scuola, il connubio discorso del capitalismo-discorso educativo non può essere intaccato disturbandolo con il discorso analitico. Occorre toccare il particolare di questo connubio, è questo che può arrivare a modificarlo. Siamo qui alle prese con la logica dell'azione della psicoanalisi nella scuola: agire sul particolare per agire sulla struttura, rinunciando alla logica, valida un tempo, di agire sulla struttura e dunque sul particolare. Questa rinuncia è l'effetto di una debolezza. Non credo sia ancora giunto il momento della rinuncia successiva, che sarebbe quella di accettare che la psicoanalisi può incidere sul particolare della scuola senza che questo abbia alcun effetto sulla struttura.

Faccio riferimento in queste righe al testo di Flavia Conte – che evidentemente, e purtroppo, non ha avuto la stessa risonanza di quello di Recalcati, – non tanto perché si tratta di un ottimo lavoro ma perché rappresenta un piccolo ma buon alleato per il discorso psicoanalitico, o meglio per il tentativo del discorso psicoanalitico di circolare e dunque incidere nel sociale – quando la filosofia esce dalle sabbie mobili del funzionamento universitario può essere una preziosa alleata della psicoanalisi.

Altri due testi mi permettono di entrare nel merito del punto che intendo toccare. I due libri sono L'inconscio in classe. Il piacere di capire e quel che lo guasta4 di Marco Focchi e In classe come al fronte. Un nuovo sentiero nell'impossibile dell'insegnare5 di Noelle De Smet. Il primo è scritto da uno psicoanalista, il secondo da una insegnante, la quale però usa talmente tanto la psicoanalisi da poter far capire a uno psicoanalista “come fare” quando si trova alle prese con la scuola.

Come fare quando come psicoanalisti si viene chiamati o ci si ritrova a operare all'interno di una scuola? In Italia uno psicoanalista si ritrova a operare nella scuola – salvo rare eccezioni – come una generica figura psi, cioè come psicologo-psicoterapeuta, vale a dire come esperto, come colui o colei che sa come funzionano la psiche e il comportamento umano.

Si ritrova solitamente impegnato presso sportelli d'ascolto – che sarebbe il caso di chiamare spazi d'ascolto – in gruppi di parola con gli alunni e/o con gli insegnanti e/o con i genitori, in laboratori, in conferenze su temi problematici per la singola scuola ecc...

Che cosa fa uno psicoanalista in questi spazi? Non solo in virtù dei due testi ai quali sto facendo riferimento ma anche dell'esperienza mia e di quella più duratura e significativa di colleghi di Jonas e dell'Asl Roma D, mi sento come prima cosa di metter l'accento su due aspetti molto elementari. Dunque cosa deve fare uno psicoanalista all'interno di una scuola? Riposta elementare ed evidentemente non esaustiva ma sulla quale voglio mettere l'accento.

Per prima cosa, lo psicoanalista deve liberare questi spazi dall'ipotesi dell'esperto. Chiunque frequenta questi spazi porta la propria esigenza di avere un esperto. Uno psicoanalista, che ovviamente sarà convocato in questo posto da chiunque lo frequenti, non deve mai farsi trovare in questo posto. Solo facendo ciò può far decadere, evidentemente per il particolare di cui si sta occupando di volta in volta, la supposizione dell'esperto, che è una delle ipotesi più nocive – perché di fatto impedisce che un problema venga affrontato – del sodalizio capitalismo-scuola. L’esperto è un oggetto gadget offerto al portatore del problema, oggetto che impedisce lo sviluppo e dunque la “soluzione” del problema – l’esperto è inoltre un oggetto gadget che come tutti i gadget fa sorgere il problema, la domanda, adatta alla propria riproduzione.

Siamo così alla seconda cosa da fare. Si tratta di far sorgere una domanda. Può sembrare una cosa facile e poco significativa. Direi invece che si tratta spesso e sempre più di un piccolo miracolo e di un movimento iniziale decisivo. Chi frequenta questi spazi vi porta un problema, al quale lega sia un'ipotesi, ossia dà per scontato che lo voglia affrontare, sia una domanda, checosa devo fare con questo problema?”. Uno psicoanalista deve allora come prima cosa far sorgere l'intervallo tra avere un problema e volerlo affrontare. C'è un solco, spesso enorme, tra i due momenti, solco è il luogo proprio dell'inconscio e che la macchina del capitalismo deve chiudere e che la scuola, essendo al suo sevizio, sta facendo di tutto per chiudere definitivamente, e lo sta facendo nel modo più insidioso, ossia mettendo in continuità, come consequenziali, questi due momenti.

Come seconda cosa, e solo dopo aver compiuto la prima, uno psicoanalista deve far sorgere una domanda vera e propria in chi si rivolge a questi spazi. La domanda “ho un problema che cosa devo fare?” non è una domanda, sia perché non è segnata dall'intervallo sia perché ha già una risposta. Far sorgere una domanda vera e propria significa far sorgere una domanda sul problema che viene portato: “perché per me è un problema il problema che porto? Ad esempio, un genitore che porta come problema le difficoltà scolastiche del figlio, deve fare esperienza nell'incontro con l'analista che non è scontato voler affrontare il problema che porta e deve formulare attraverso l'analista che problema è per lui il problema del figlio, perché per lui è un problema che il figlio abbia quel problema. Si tratta di una cosa elementare ma decisiva. Si tratta in effetti di un piccolo taglio nel laccio istituito dal capitalismo tra difficoltà-mancanza e gadget-risposta. Senza l’introduzione di questo taglio la psicoanalisi non ha alcuna possibilità di incidere nella scuola.

Un problema, il non va, è strutturalmente nella scuola di oggi un difetto nella contabilizzazione e nella programmazione. La scuola domanda a chi ha problemi al suo interno di andare negli appositi spazi e risolverli di modo che la contabilizzazione e la programmazione riprendano a pieno ritmo. Far sorgere in chi frequenta questi spazi “come mai è un problema per me questo problema?” è una cosa minima, elementare, ma decisiva, in quanto significa far sorgere in chi frequenta questi spazi l'ipotesi che lì, nel luogo del problema, del non va, ci sia qualcosa di imperdibile.

Qualche anno fa, Jacques-Alain Miller, psicoanalista francese e allievo di Lacan, affermò, con una certa ironia, che in fondo parlare è un disturbo del linguaggio6. Sarebbe divertente, all'interno di un funzionamento scolastico ossessionato dai disturbi del linguaggio e dai disturbi dell'apprendimento, far circolare questa affermazione e altre del genere: si parla perché qualcosa non ha funzionato e perché qualcosa non funziona, si desidera perché qualcosa non ha funzionato e non funziona, si vive perché qualcosa non ha funzionato e perché continua a non funzionare!

 

1J. Lacan, Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2001, p. 59.

2M. Recalcati, L'ora di lezione. Per un'erotica dell'insegnamento, Einaudi, Torino, 2014.

3F. Conte, L'insegnamento impossibile. Sul sapere postmoderno, Textus, L'Aquila, 2011.

4M. Focchi, L'inconscio in classe. Il piacere di capire e quel che lo guasta, Orthotes, Napoli-Salerno, 2015.

5N. De Smet, In classe come al fronte. Un nuovo sentiero nell'impossibile dell'insegnare, Quodlibet, Macerata, 2009.

6J.-A. Miller, La psicosi ordinaria. La convenzione di Antibes (a cura di), Astrolabio, Roma, 2000.

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