LACAN E IL "CASO DORA"

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26 febbraio, 2018 - 11:35
Un’operetta viennese
 
   “Lascio ora decidere allo stesso malato il tema del lavoro quotidiano e parto così, ogni volta, da quel qualsiasi elemento superficiale che l’inconscio in lui presenta alla sua attenzione” (Freud, 1905a). Con queste parole viene introdotta la tecnica, nuova e di gran lunga superiore alla vecchia, utilizzata per la prima volta con la giovane Dora, l’unica possibile per la complessa struttura delle nevrosi (ibid.) e destinata ad avere duratura fortuna: la tecnica delle libere associazioni.
   Qualche anno prima, Freud aveva dovuto scontrarsi con i malumori di Emmy von N. la quale, incalzata dalle sue domande sull’origine dei dolori gastrici di cui soffriva, lo aveva bruscamente pregato di lasciarle dire ciò che aveva da dire, piuttosto che continuare a domandarle da dove derivava questo o quello (Breuer, Freud, 1892-95), dando forse un contributo decisivo alla importante variazione di metodo intervenuta più tardi. Trattamento, quello di Dora, che apre alle libere associazioni e da cui prende avvio la riflessione teorica sul transfert, discusso e concettualizzato per la prima volta in questo scritto del 1905, e individuato come il miglior alleato della cura se “si riesce ogni volta a intuirla [la traslazione] e a tradurne il senso al malato” (Freud, 1905a).
   Caso d’ouverture, dunque, dell’esperienza più tipicamente psicoanalitica e continuazione ideale della Traumdeutung (Freud, 1899), il Frammento di un’analisi d’isteria (1905a) vede la luce lo stesso anno in cui vengono pubblicati i Tre saggi sulla teoria sessuale (Freud,1905b), con i quali condivide le considerazioni sui germi infantili delle perversioni.
   Resoconto dei tre mesi d’analisi di una diciottenne isterica di buona famiglia, Freud sceglie di pubblicarlo nonostante la lacunosa brevità del trattamento perché gli appare utile a illustrare l’applicazione dell’arte (Freud, 1905a) dell’interpretazione onirica, grazie a due sogni che, eludendo la rimozione e portando alla luce materiale inedito, si confermano come quella via sovrana all’inconscio così rivoluzionariamente annunciata dalla Traumdeutung.
   E quanto il caso Dora sia cronologicamente e idealmente vicino all’Interpretazione dei sogni (Freud, 1899) lo testimonia un esplicito e amaro richiamo, nella Premessa, alla fredda e ancora bruciante accoglienza riservata a quell’opera grandiosa dai colleghi medici, tanto poco inclini a comprenderla. La stessa premessa che mantiene un tono volutamente polemico nel confrontarsi con un argomento spinoso: la liceità di rendere pubblico del materiale riservato. Freud scrive di aver preso ogni precauzione per rendere irriconoscibile la giovane chiamata Dora, com’è suo dovere verso i pazienti, ricordando di avere pure degli obblighi verso quella scienza che lo invita a non risparmiarsi nel comunicare ciò che di nuovo apprende su una patologia oscura come l’isteria. Sa di non sfuggire al biasimo, usa parole come malanimo, incomprensione, disgusto nel riferirsi ai suoi detrattori, sicuro che costoro leggeranno il caso come si legge un romanzo a chiave (Freud, 1905a); aggiunge di avere il diritto di trattare argomenti scabrosi, dal contenuto esplicitamente sessuale, chiamando organi e funzioni con i loro nomi, rivendicando i medesimi privilegi di un ginecologo.
   Freud insisterà su questo punto anche più avanti nello scritto quando, facendo della tosse di Dora la conseguenza di una fantasia di fellatio, userà espressioni come pour faire une omelette il faut casser des oeufs o ancora j’appelle chat le chat, riferendosi alla necessità di accostarsi senza troppo pudore alla sfera sessuale per intraprendere il trattamento di una nevrosi (ibid.).
   Considerandolo talmente ricco da farci ogni volta diverse scoperte (Lacan, 1956-57, p. 134), Lacan commenta il caso lungo l’intero arco del proprio insegnamento. Ne La direzione della cura e i principi del suo potere (1958), lo eleva a esempio di quanto  nella prima parte della sua carriera Freud avesse fretta di concludere, commettendo l’errore di forzare l’appello dell’amore sull’oggetto dell’identificazione e facendo fallire tutta la faccenda (Lacan, 1955-56, p. 105), con Dora che abbandona precocemente il trattamento.      
   Operetta viennese, balletto a quattro, relazione di quartetto, quadriglia, minuetto di quattro personaggi (Lacan, 1955-56; 1956-57) che ha come momento nevralgico una scena, quella del lago, durante la quale Dora assesta un sonoro schiaffo al signor K. e fugge a gambe levate. Siparietto centrale nella ricostruzione del caso già per Freud, che non aveva potuto sbrogliarlo fino in fondo a causa dell’interruzione prematura della cura.
   Palcoscenico decretante la caduta simbolica del quarto personaggio del quadrilatero (Lacan, 1951, p. 212), dando luogo allo scatenamento nevrotico e a quella che Lacan definisce una piccola sindrome di persecuzione della ragazza nei confronti di suo padre (Lacan, 1955-56, p. 106).
  
 
La rivendicazione persecutoria
 
   Siamo nel 1900 quando Dora viene condotta nello studio di Freud proprio dal genitore, allarmato da una lettera rivelante un proposito suicida. Il medico viennese conosceva già la giovane, tempo prima l’aveva visitata in occasione di una crisi di tosse e raucedine (Freud, 1905), e soprattutto conosceva l’uomo, avendolo brillantemente curato sei anni prima da un’affezione vascolare diffusa, identificandone l’origine luetica. L’anamnesi familiare lo presenta come una figura dominante, carismatico e ricco industriale cui la figlia si è molto affezionata, intenerita dalle protratte sofferenze di lui: la tubercolosi, un distacco della retina, poi c’erano stati un accesso di confusione mentale, la paralisi e i disturbi psichici che lo avevano condotto da Freud. La madre viene liquidata come una figura di scarse risorse, poco empatica con figli e marito, impegnata a curarsi esclusivamente di faccende domestiche.
   Un cenno viene fatto anche all’unico fratello di Dora, che ritroveremo fotografato in una scena, ricordo d’infanzia della paziente, nella quale lei gli tiene l’orecchio con la mano destra mentre ciuccia il pollice sinistro. Immagine eloquente, “matrice originaria delle situazioni che Dora svilupperà nella sua vita, e misura di ciò che significano per lei la donna e l’uomo” (Lacan, 1951, p. 214).
   Nel presentare la sintomatologia da cui è affetta, Freud sembra ammonire di non attendersi la gravità patologica cui gli Studi sull’isteria (Breuer, Freud, 1892-95) avevano abituato: disturbi visivi, strabismo, paralisi, contratture, afasie, sonnambulismo, idrofobia.
   Quello proposto è un caso di isteria minore e proprio per questo chiarificatore, laddove invece “tutte le collezioni di fenomeni strani e sorprendenti […] non ci hanno fatto progredire molto nella conoscenza di questa malattia” (Freud, 1905a).
   Dispnea, emicranie, accessi di tosse nervosa e frequente perdita della voce avevano costellato l’infanzia e l’adolescenza della ragazza. Quando arriva da Freud, i sintomi principali sono la depressione, turbe caratteriali, stanchezza, difficoltà di concentrazione e una tosse molto caratteristica, che non manca di farsi notare. Dora viene descritta come un’acerba e attraente donna dal piglio intelligente, che occupa il tempo assistendo a conferenze per signore e dedicandosi a studi più o meno severi (ibid.).
   E’ il padre della ragazza, non senza acume, a rendere noto l’evento scatenante la nevrosi nell’ultima foggia in cui essa si è manifestata. Nel luogo in cui si erano trasferiti durante la malattia di lui, avevano stretto amicizia con quelli che nel testo vengono appellati come il signore e la signora K., coppia di coniugi con i quali si era creato un legame intenso, tale che la signora K. si era spesa parecchio per assistere l’uomo nei suoi momenti di sofferenza. Allo stesso modo, il marito si era mostrato sempre cortese e generoso nei confronti di Dora, formando quel caratteristico quartetto (Lacan, 1956-57, p. 134) da cui la madre della giovane risultava di fatto esclusa.
   Il rapporto tra i quattro era parso idilliaco fino al momento in cui Dora, che insieme al padre aveva raggiunto i coniugi in una località di villeggiatura sulle rive un lago alpino, si era rifiutata di rimanere alcune settimane da sola presso di loro diversamente da quanto concordato perché - aveva confidato alla madre solamente qualche giorno più tardi -durante una gita al lago il signor K. aveva tentato di sedurla. Interpellato sulla faccenda, questi aveva negato di aver agito secondo le accuse, aggiungendo che la ragazza aveva sempre posseduto una certa malizia.
   Il papà di Dora si dice certo del legame tra tali circostanze e i mutamenti patologici intervenuti in sua figlia, eppure si mostra incline a credere all’innocenza dell’uomo.
   Nel corso del trattamento, Freud apprende che quando la giovane aveva 14 anni, in una occasione in cui erano rimasti da soli, il signor K. l’aveva inaspettatamente stretta a sé, baciandola. L’episodio le aveva lasciato tre sintomi, interpretati e ricondotti a quest’unica, improvvisa esperienza: una forte nausea, sensazione già incontrovertibilmente isterica, sopravvenuta in luogo di una eccitazione sessuale; un’allucinazione sensitiva (Freud, 1905a), ovvero un senso di oppressione al torace probabilmente derivante da uno spostamento - la pressione sentita in quel momento era stata quasi certamente quella del membro eretto del signor K. - e una particolare fobia (ibid.), che la tiene lontana dagli uomini impegnati in colloqui amorosi e quindi, viene dedotto, in presumibile stato di eccitamento (ibid.).
   Nonostante la portata di eventi traumatici dei due avvenimenti, indirizzare l’attenzione di Dora sulla figura del signor K. durante le sedute appare piuttosto laborioso, essendo ella interamente concentrata sul risentimento diretto al padre. “Colpisce il fatto” dice Lacan “che Dora manifesti immediatamente a Freud la sua viva rivendicazione dell’affetto del padre, dicendo che le è stato portato via […]” (Lacan, 1956-57, p. 134).
   A lui vanno i suoi rimproveri più amari, lui che non si risolve a interrompere i rapporti con il signor K. e, specialmente, con la signora K., alla quale sarebbe legato - e tutti lo vedono, compresi sua madre e suo fratello - da una relazione sentimentale. I sintomi isterici, nell’ultima maniera in cui hanno cominciato a esprimersi, appaiono in buona sostanza come un appello che la giovane muove al padre. “Dora sperimenta in relazione al padre - dice Lacan escludendo tuttavia una diagnosi di psicosi paranoica - un fenomeno significativo, interpretativo, anche allucinatorio, ma che non arriva a produrre un delirio” (Lacan, 1955-56, p. 107).
  
 
La psicoanalisi come dialettica
 
   Quali sono le mosse di Freud di fronte allo stato delle cose presentato da Dora, e di cui sembra sfidarlo a constatare l’ineluttabilità? Lo psicoanalista francese ne coglie lucidamente la sequenza in uno scritto del 1951, Intervento sul transfert. Partendo dall’assunto che la psicoanalisi sia un’esperienza dialettica e arrivando alla conclusione che il transfert coincida con un suo momento di stagnazione, fonda la propria dimostrazione chiamando a esempio il celebre caso freudiano, condotto appunto attraverso una serie di rovesciamenti dialettici.[i]
   Evidenzia così un primo sviluppo (Lacan, 1951, p. 211), i fatti come vengono presentati da Dora, ingenua vittima degli eventi, ceduta al signor K. in cambio del silenzio di lui sulla relazione tra i due amanti. Il primo rovesciamento dialettico (ivi, p. 212) operato da Freud consiste nel mostrarle la parte giocata nello scompiglio che la fa credere un’anima bella, da cui emerge un secondo sviluppo della verità (ibid.): la ragazza non solo ha avuto una partecipazione attiva nel corteggiamento del signor K., ma ha persino favorito in molti modi la relazione tra suo padre e la signora K., lasciandoli sovente da soli. Ella si è mostrata” nota Lacan nel Seminario IV “più che compiacente verso questa posizione singolare, ne è stata veramente il perno, proteggendo gli incontri furtivi della coppia […] sostituendosi addirittura alla signora nelle sue funzioni […], occupandosi ad esempio dei suoi bambini” (Lacan, 1956-57, p. 134).
   Cosa vuol dire, allora, la gelosia verso il padre che da un certo momento in poi Dora manifesta nella forma ossessiva definita sovravalente (Freud, 1905a)? Ecco che interviene un secondo rovesciamento dialettico (Lacan, 1951, p. 213): la gelosia di Dora nasconde un vivo interesse per la rivale, la signora K., da cui deriva il terzo sviluppo della verità (ibid.), ovvero l’attaccamento adorante e incantato per quella, per “il candore affascinante del [suo] corpo” (Freud, 1905a), che le impedisce anche solo di dirne male. Freud nota con stupore che mai la ragazza rivolge un’accusa o una parola cattiva a colei che, in fondo, le ha rubato le attenzioni paterne e l’ha addirittura accusata, mettendone a parte il marito, di fare letture sconce e di occuparsi sconvenientemente di cose sessuali.
   E’ questo il punto in cui, continua Lacan, avrebbe dovuto farsi strada svelando a Dora il suo innamoramento per la signora K., un terzo rovesciamento dialettico (Lacan, 1951, p. 213) ma - Freud lo ammetterà in una nota aggiunta successivamente - l’allora insufficiente apprezzamento delle correnti omosessuali negli psiconevrotici gli aveva impedito di vederci chiaro (Freud, 1905a).
  
 
Il signor K. e l’abbaglio freudiano
 
   Qual è infatti la direzione che vediamo prendere dal trattamento? Freud tenta ripetutamente di mostrarle che il signor K. è non solo la ragione dei suoi più recenti affanni, ma anche l’oggetto del suo amore, verità che crede di reperire nella contiguità e nella vicinanza temporale delle associazioni (Freud, 1905a) della ragazza, ovvero nell’applicazione della (nuova) regola analitica. Dietro le accuse mosse al padre, scorge per esempio una serie di autoaccuse (ibid.) inconsce.
   Il biasimo per l’uomo, che non vuole spiegarsi meglio la condotta del signor K., nasconde l’autoaccusa di aver agito esattamente allo stesso modo, rendendosi complice della relazione clandestina, e questo tacito assenso non può spiegarsi in altro modo che con l’infatuazione per il signor K. Anche il rimprovero secondo cui le malattie del padre sono pretesti di cui egli si serve, maschera un’analoga autoaccusa: Dora stessa ha imparato a utilizzare sapientemente i malanni. In particolare, gli episodi di perdita della voce vengono collegati alle assenze del signor K. - quando lui era lontano, lei non aveva più motivo di parlare - e pure in questo caso l’inevitabile deduzione è l’amore per lui.
   Appare interessante vedere come, per smascherare le sue autoaccuse, Freud si serva delle identificazioni (ibid.) di Dora: quella con una governante che a suo dire era stata innamorata del padre, mostrandosi per questo affettuosa con lei - allo stesso modo ella era stata premurosa con i bambini del signor K. perché innamorata di lui; oppure con una cugina tormentata dal mal di stomaco e sprezzantemente bollata come simulatrice, invidiosa del recente fidanzamento della sorella - millantatrice di malattie come, allora, deve esserlo lei stessa. Un’ennesima identificazione aveva investito anche la signora K., che pure utilizzava la malattia per venire meno, per esempio, ai suoi doveri coniugali, finendo addirittura per farsi ricoverare in occasione di alcune difficoltà nella deambulazione, mentre in compagnia di suo padre non mancava di essere allegra e in salute.
   Un’ulteriore ragione per considerare Dora innamorata del signor K., Freud la deduce dal carattere ossessivo - sovravalente o sovraintenso (ibid.) - dei pensieri circa i rapporti tra il padre e la signora K. Una tale intensità può ricondursi solo all’inconscio: all’amore profondo per l’uomo, materiale rimosso a cui i pensieri ossessivi attingono, riattivato come difesa dalla passione per il signor K..
   Il primo dei due grandi sogni costituenti il cuore del caso clinico, in cui Dora vede il padre in piedi davanti al suo letto che la sveglia e la conduce all’esterno insieme al fratello mentre la casa brucia, inscenando un pericolo da cui viene salvata, svelerebbe proprio il risveglio a scopo difensivo dell’amore per lui.
   Perché, allora, Dora deve difendersi dai sentimenti per il signor K.? Perché la scena del lago l’aveva vista ritirarsi inorridita davanti alle profferte amorose di un uomo i cui sentimenti ricambierebbe, al punto da dargli uno schiaffo e andarsene? Freud spiega che in lei si danno battaglia la tentazione a cedere all’uomo che la attrae e una ribellione composita a essa, composta da motivi di prudenza e costumatezza, da moti ostili derivanti dalle rivelazioni raccolte da una governante sedotta e abbandonata dal signor K., e da un elemento nevrotico, ovvero quella immancabile avversione alla sessualità preesistente in lei e fondato sulla storia della sua infanzia (ibid.).
   Storia ricostruita grazie al primo sogno, ricorrente dal giorno del tentativo di seduzione presso il lago, attraverso il quale Freud arriva a intuire che la ragazza aveva sofferto, come suo fratello, di enuresi notturna, probabile conseguenza dell’abitudine alla masturbazione.
   Il sogno permette il recupero di elementi completamente dimenticati, svelando la presenza di un precoce godimento sessuale (ibid.), così come testimoniavano le conseguenze di esso: l’enuresi infantile, ma anche la leucorrea adolescenziale, assimilata inconsciamente alla sifilide paterna, e la ricorrente nausea. Freud ci guida in esso muovendosi lungo quelli che definisce cerchi associativi, evidenzia le parole funzionanti da punti di intersezione, come bagnato - il contrario di bruciato - o le parole che fungono da scambio - parole ambigue suscettibili di diverse interpretazioni - come catarro o gocce, o ancora l’elemento che costituirebbe più di altri un prodotto di condensazione e spostamento, un compromesso tra opposte correnti, lo scrigno dei gioielli (ibid.). Individua gli spunti recenti del sogno, i cosiddetti resti diurni - la paura reale del padre che la casa in cui erano ospiti sul lago bruciasse se colpita da un fulmine, la presenza reale, in una occasione, del signor K. davanti al letto in cui lei dormiva, il braccialetto che sua madre aveva ricevuto in dono dal marito e che avrebbe barattato volentieri con degli orecchini a forma di goccia - e arriva al desiderio infantile generante il sogno, il capitalista, laddove il pensiero diurno fa solo da imprenditore (ibid.).
 
 
Il pregiudizio di Freud
 
   In Intervento sul transfert (1951), Lacan nota quanto le differenti repliche di Dora  quando le viene detto che ama il signor K., vengano tutte caparbiamente intese come una resa, un’ammissione. E addirittura la seduta “in cui egli crede di averla ridotta a non contraddirlo più […] è conclusa da Dora con un tono ben diverso. - Non è poi uscito un gran che - dice, ed è all’inizio della seduta successiva che prenderà congedo da lui” (Lacan, 1951, p. 217).
   Freud attribuisce il fallimento del trattamento al transfert - nella sua fantasia, Dora lo avrebbe sostituito prima al padre e poi al signor K., vendicandosi del suo medico così come avrebbe voluto fare di quest’ultimo - e al mancato riconoscimento del legame omosessuale con la signora K., motivazione apparsa sempre più determinante negli anni.
   “Freud confessa che a lungo non ha potuto incontrare questa tendenza omosessuale […]” è ancora Lacan a scrivere “senza cadere in uno smarrimento, che lo rendeva incapace di regolarsi su questo punto in modo soddisfacente” (ivi, p. 216). Ebbene, tale smarrimento deriverebbe da niente altro che da un banale pregiudizio.
   Due anni dopo Intervento sul transfert (1951), Lacan torna sul tema del pregiudizio freudiano. La parola come funzione di riconoscimento sarebbe stata, nel caso Dora, completamente ignorata. Non avendo individuato quella che chiama componente omosessuale, Freud non si è accorto della posizione di Dora e di quale fosse il suo vero oggetto. “Non si è accorto, per farla breve, che in O’ c’era per lei la signora K.” (Lacan, 1953-54, p. 218) (Figura 1).[ii]


 
   Farebbe intervenire una concezione personale di ciò che va fatto se si è una ragazza: amare gli uomini. “Se c’è qualcosa che non va, che la tormenta, che è rimosso, agli occhi di Freud non può essere altro che questo: ella ama il signor K. […]” (ivi, p. 218).
   Insomma, nel momento in cui Dora non sa bene cosa le accade, le viene detto che è innamorata del signor K. - nel Seminario IV Lacan nota che glielo suggerisce con tutto il     peso della sua insistenza e della sua autorità (Lacan, 1956-57, p. 135) - e questa interpretazione inadeguata, per giunta reiterata, provoca un pantano, al punto che ne segue l’abbandono del trattamento.
  “Se l’analisi fosse stata condotta in modo corretto, se invece di far intervenire la sua parola in O’, ovvero di mettere in gioco il suo io, Freud le avesse mostrato che ella amava la signora K., la Verliebtheit (infatuazione) avrebbe potuto finalmente realizzarsi, e Dora si sarebbe tirata fuori da quell’altalena incessante in cui non sapeva se amava solo se stessa, la sua immagine esaltata dalla signora K., o se desiderava la signora K. Questa sarebbe stata la prima tappa dell’analisi. E se lì avete fatto cilecca” prosegue “o rovinate l’analisi, come Freud, oppure fate un’altra cosa, un’ortopedia dell’ego” (Lacan, 1953-54, pp. 218-219).
   Lacan insiste sul pregiudizio di Freud in tutte le occasioni di ripresa del caso Dora,    compreso il Seminario XVII. Il rovescio della psicoanalisi (1969-70), nel corso del quale invita a ritrovare nel testo “quelle frasi che a Freud sembrano assolutamente ovvie, per esempio che una ragazza deve arrangiarsi da sola se ha simili grattacapi, ovvero non fare storie se un uomo le salta addosso, quando si è una ragazza per bene, beninteso […] O ancora, il che porta […] più lontano, che una ragazza normale non deve fare la schifiltosa quando le si fa una gentilezza” (Lacan, 1969-70, p. 113).
 
 
La signora K. e l’appello della pulsione orale
 
   Freud sarebbe vittima dei suoi preconcetti e, come se non bastasse, del contro-transfert: si è identificato al signor K., per il quale ha una simpatia che risale lontano (Lacan, 1951, p. 216), essendo stato quello a condurre da lui anni prima il padre di Dora, e “la sua partecipazione personale all’interesse che [Dora] gli ispira è confessata in diversi punti dell’osservazione” (ibid.).
   Come liquida, infatti, il trasporto della ragazza per la signora K. prima di aggiungere quella nota in cui si dice finalmente avvertito che la dama aveva rappresentato il perno degli avvenimenti?
   Lo liquida dicendo che si è imbattuto in una complicazione che, se fosse un artista impegnato a scrivere di una romantica storia d’amore, semplicemente eviterebbe di menzionare, per non offuscare la bellezza e la poesia del conflitto (Freud, 1905a) vissuto da una giovane innamorata di un uomo.
   Quando apprende che la donna e Dora erano state in grande intimità e confidenza, si accorge che dietro i pensieri ossessivi circa la relazione paterna con la signora K. si celano un forte attaccamento e una gelosia per quest’ultima. Arriva a dire che tali correnti ginecofile (ibid.) del sentimento sono frequenti nella vita erotica inconscia delle giovani isteriche, ma non ne trae le conseguenze, non opera quel terzo e necessario rovesciamento dialettico di cui si è detto.
   Ciò che per Freud si configura come una fastidiosa complicazione resa opaca dal pregiudizio, per Lacan costituisce il motore della vicenda. Nel Seminario IV. La relazione oggettuale (1956-57), sottolinea quanto la signora K. rappresenti la questione stessa di Dora, colei che detiene ai suoi occhi un sapere sul godimento femminile, l’incarnazione dell’interrogativo “che cos’è una donna?” (Lacan, 1956-57, p. 139), enigma isterico per eccellenza. Per seguire il ragionamento lacaniano, dobbiamo partire dal tema centrale dell’impotenza paterna e dai sintomi più caratteristici di Dora, la tosse e l’afonia.
   Poiché le accuse al padre continuano a ripetersi e dal momento che anche la tosse non cessa, Freud ipotizza un nesso tra le due insistenze. Quando Dora insinua che la signora K. ama suo padre solo perché è un potente industriale (Freud, 1905a), le viene supposta la consapevolezza dell’impotenza sessuale di lui. Confermando tale interpretazione, ella mostra di sapere che possono farsi largo vie alternative al soddisfacimento, che può servirsi proprio di quelle parti del corpo in lei irritate, gola e cavità orale. Secondo Freud, con la sua tosse per accessi, conseguenza di un fastidioso prurito, “la paziente si rappresentava una situazione di appagamento sessuale per os tra le due persone i cui rapporti amorosi la preoccupavano costantemente” (ibid.).
   Precondizione somatica di tale fantasia perversa era costituita dall’essere stata durante l’infanzia una ciucciatrice (ibid.), abitudine protrattasi fino ai quattro o cinque anni. Per Freud la fantasia di fellatio è la riproduzione di un’impressione antica, quella di succhiare il seno. Una fantasticheria quasi spontanea in una ragazza iniziata precocemente a un’intensa attività erogena della mucosa labiale.
  La tosse di Dora sarebbe così uno di quei sintomi dai diversi significati, sia contemporanei che successivi: testimonia di una identificazione al padre, affetto da malattia polmonare, e mostra affetto e pena per lui; riporta, inoltre, al termine catarro, parola scambio (ibid.) che allude alla malattia sessuale del genitore, la sifilide, per la giovane in qualche modo collegata alla sua nevrosi, avendo fatto anche di lei facile preda di cattive passioni. Freud illustra come un’irritazione della gola sia soggetta a fissazione, interessando una regione corporea che ha serbato in maniera molto decisa il suo significato di zona erogena (ibid.).
   La ragazza era stata, dunque, una ciucciatrice, e tanto basta a riportarci alla scena ricordata in Intervento sul transfert (1951): Dora bambina tiene l’orecchio al fratello con la mano destra mentre si succhia il pollice sinistro. Perché Lacan la considera il modello, lo stampo delle situazioni che svilupperà nella sua vita? Perché per lei la donna è l’oggetto impossibile da staccare dall’originario desiderio orale, “e in cui tuttavia bisogna che ella apprenda a riconoscere la propria natura genitale” (Lacan, 1951, p. 214).
   L’afonia sopravvenuta durante le assenze del signor K. esprimerebbe proprio l’appello furioso della pulsione orale nel trovarsi da sola con la signora K. Per Freud essa era stata provocata dalle assenze ricorrenti del signor K., durante le quali Dora rinunciava romanticamente alla parola, priva ormai di valore.
   Nella lettura lacaniana, l’afonia sarebbe invece scatenata dal trovarsi direttamente in presenza dell’oggetto d’amore, testimonianza di una funzione orale sottratta ai suoi usi abituali (Lacan, 1955-56, p. 106) se troppo vicina a esso. E per la tosse non è certo necessario scomodare la fantasia di fellatio, quanto piuttosto quella di cunnilingus (Lacan, 1951, p. 214): è al posto del padre che la giovane si colloca, e non al posto della signora K.
 
 
L’isterico ama per procura
 
   Per accedere al riconoscimento della propria femminilità, Dora avrebbe dovuto assumere il proprio corpo, invece di rimanere alla mercé di quella frammentazione funzionale originante i sintomi di conversione, accesso che ha utilizzato come intermediario un personaggio maschile, il fratello, quasi suo coetaneo. Nel Seminario IV (1956-57), Lacan dice chiaramente: “[…] gli uomini sono per lei altrettante cristallizzazioni possibili del suo io” (Lacan, 1956-57, p. 136).
   Il signor K. non è quindi, come nell’abbaglio freudiano, l’oggetto di Dora, ma ciò che in lei fa da io, poiché è attraverso di lui che la ragazza riesce a reggere il rapporto con la signora K. “La mediazione del signor K. è la sola cosa che permetta a Dora di sostenere una relazione sopportabile. Se questo quarto mediatore è essenziale al mantenimento della situazione, non è perché l’oggetto della sua affezione è dello stesso sesso di lei, ma perché questa ha col padre relazioni di identificazione e di rivalità profondamente motivate, ulteriormente accentuate dal fatto che nella coppia parentale la madre è un personaggio del tutto scialbo. E’ perché il rapporto triangolare sarebbe particolarmente insostenibile per lei che la situazione non soltanto si è mantenuta, ma è stata effettivamente sostenuta in questa composizione di gruppo quaternaria” (Lacan, 1955-56, p. 105).
   E ancora: “La questione di sapere dov’è l’io di Dora è così risolta: l’io di Dora è il signor K. La funzione svolta nello schema dello stadio dello specchio dall’immagine speculare, in cui il soggetto ripone il proprio senso per riconoscersi, in cui per la prima volta situa il proprio io, questo punto esterno di identificazione immaginaria Dora lo ritrova nel Signor K. E’ in quanto lei è il Signor K. che tutti i suoi sintomi assumono il loro senso definitivo” (ivi, p. 201).
   E’ assolutamente lampante l’importanza che il signor K. ha nell’economia di Dora: “L’isterico è qualcuno che ama per procura […] qualcuno il cui oggetto è omosessuale - l’isterico accosta l’oggetto omosessuale tramite identificazione con qualcuno dell’altro sesso […] l’io […] di Dora si è identificato con un personaggio virile, lei è il signor K.” (Lacan, 1956-57, pp. 135-136).
   Ciò che le interessa davvero, è sempre Lacan a chiarirlo, è l’idea che il signor K. abbia l’organo, “ma non nel senso che […] farà di esso la sua felicità […], ma solo perché un’altra la privi di esso. A Dora non interessa il gioiello […] - non è il gioiello, ma la scatola, ciò di cui lei gode” (Lacan, 1969-70, p. 115), come testimonia il sogno in cui compare lo scrigno portagioie.
   La ragazza, dunque, perde la voce perché la pulsione orale, soggetta a fissazione, si fa sentire se si avvicina alla signora K. senza quel terzo che, tramite l’identificazione, le consente di sostenere il rapporto con la donna adorata.
 
 
Cosa cerca mio padre in un’altra?
 
   Torniamo sull’impotenza paterna, che il Seminario IV (1956-57) approfondisce. Lacan sottolinea quanto la funzione di donatore del genitore, colui che dà simbolicamente l’oggetto negato dalla madre, non possa essere svolta nel caso Dora. “La carenza fallica del padre attraversa tutta l’osservazione come una nota fondamentale, costitutiva della posizione.[…] A questo padre da cui non riceve simbolicamente il dono virile, Dora rimane molto attaccata […]” (Lacan, 1956-57, p. 136). Si trova dunque ad amarlo per ciò che non le dà.
   Da un certo momento in poi, il genitore “si impegna […] in qualcos’altro, che Dora sembra persino avere indotto” (ivi, p. 138). Si impegna nella relazione con la giovane donna (Figura 2).

   Tutta la vicenda ruota intorno all’enigma rappresentato dall’amore di suo padre per la signora K. e dal posto occupato da lei in questa situazione. “Ciò a cui Dora si attacca è ciò che è amato dal padre in un’altra, in quanto non sa che cos’è” (ibid.). E’ consapevole di situarsi da qualche parte tra i due amanti, posizione simbolizzata anche dai regali materiali che suo padre ripartisce in egual misura tra lei e la signora K., come risarcimento della sua carenza virile.
   “Tuttavia questo non basta ancora, e Dora cerca di restituire l’accesso a una posizione manifestata in senso inverso, cioè cerca di ristabilire l’accesso a una posizione triangolare non più rispetto al padre, ma rispetto […] alla signora K. Qui interviene il signor K., con cui chiude il triangolo in posizione invertita” (ivi, p. 139) (Figura 3).


 
La scena del lago e il crollo dell’identificazione
 
   Cosa accade nella scena del lago, al punto da compromettere un tale, seppur fragile, equilibrio? Freud lo dice quando descrive il secondo dei due sogni: “Il signor K. aveva cominciato con un preambolo piuttosto serio, ma lei non lo aveva lasciato finire; appena capito di che si trattava, lo aveva schiaffeggiato ed era fuggita. Domandai che cosa avesse detto di preciso il signor K. Dora ricordava solo questa spiegazione: “Lei sa che mia moglie non mi dà niente” (Freud, 1905a).
   Il risentimento di Dora davanti a tali parole viene spiegato accampando che la ragazza conosceva quegli argomenti, utilizzati anche con la giovane governante sedotta e abbandonata con cui era entrata in confidenza. Ne aveva dunque ricavato la sensazione spiacevole che la si trattasse come, in fondo, si tratta un’umile serva.
   Ciò che l’uomo le dice lo sottrarrebbe, invece, dal circuito collocato sullo schema L, costruzione topologica utilizzata per mostrare come il simbolico e l’immaginario ordinano la soggettività[iii] (Figura 4).


 
   Dora è disposta a tollerare l’amore di suo padre per la signora K. a patto che il signor K. “occupi la funzione esattamente inversa ed equilibrante” (Lacan, 1956-57, p. 141). Se il signor K. si interessa solo a lei - dal momento che dal lato di sua moglie non ne ricava niente - vuol dire che suo padre si interessa solo alla signora K.
   “Il signor K. ha dunque ammesso di non far parte di un circuito nel quale Dora può o identificarlo con se stessa o pensare di essere […] il suo oggetto al di là della donna attraverso cui Dora stessa si ricollega a lui” (ibid.). Dice ancora Lacan: “Dora si vede scaduta nel ruolo di puro e semplice oggetto e comincia allora a entrare nella rivendicazione. Rivendica ciò che fino ad allora era ben disposta a considerare di ricevere, anche se tramite un’altra, vale a dire l’amore del padre. A partire da questo momento, visto che le viene totalmente rifiutato, lo rivendica in modo esclusivo” (ivi, p. 142).
   Nel Seminario V. Le formazioni dell’inconscio (1957-58), aggiunge che le parole del signor K. riconducono la giovane al livello primitivo della domanda, con la conseguente pretesa dell’amore esclusivo del babbo. A scatenare il furore aggressivo di Dora, tanto da colpire il signor K. con uno schiaffo, è il disintegrarsi della sua bella costruzione isterica di identificazione con la maschera, con le insegne dell’Altro (Lacan, 1957-58, pp. 379-380), con quelle insegne maschili che il padre non può offrirle. Dora cade dalle nuvole (ivi, p. 380) riconoscendosi lucidamente per quello che è: un oggetto di scambio.
   Nel Seminario X. L’angoscia (1962-63), Lacan considera lo schiaffo un passaggio all’atto, laddove tutto il suo comportamento paradossale con i coniugi K. sarebbe da intendersi invece come un acting out. “Ma un simile ceffone - chiosa - è uno di quei segni, uno di quei momenti cruciali nell’esistenza che possiamo veder rimbalzare di generazione in generazione con il suo valore di svolta in un destino” (Lacan, 1962-63, p. 125).[iv]
   Nel Seminario XVII. Il rovescio della psicoanalisi (1969-70), aggiunge che quando il signor K. pronuncia le fatidiche parole, ciò che a Dora si offre è il godimento dell’Altro, “che tuttavia lei non vuole, poiché quel che vuole è il sapere come mezzo di godimento, ma solo per metterlo al servizio della verità - la verità del padrone che lei, in quanto Dora, incarna” (Lacan, 1969-70, p. 116).
   E la verità è quanto si fa bastare del trattamento con Freud, mentre se ne allontana col sorriso della Gioconda (Lacan, 1951, p. 218), guadagnandone una certa remissione dei sintomi - “le crisi si erano fatte più rare, l’umore più sollevato” (Freud, 1905a).
   Il Seminario XVII è, peraltro, l’unica occasione in cui Lacan commenta brevemente il secondo dei due sogni, cogliendone il significato di ricerca del sapere, di un sapere sulla verità (Lacan, 1969-70, p.117), quella che Dora, in una casa resa vuota dalla morte del padre, può finalmente attingere indisturbata da un grosso libro appoggiato sullo scrittoio (Freud, 1905a)

BIBLIOGRAFIA

J. Breuer, S. Freud (1892-95), Studi sull’isteria, OSF, vol. 1.
R. Chemama, B. Vandermersch (1998), Dizionario di Psicanalisi, Roma, Gremese, 2004.
S. Freud (1900), L’interpretazione dei sogni, OSF, vol. 3.
S. Freud (1905a), Frammento di un’analisi d’isteria, OSF, vol. 4.
S. Freud (1905b), Tre saggi sulla teoria sessuale, OSF, Vol. 4.
J. Lacan (1951), Intervento sul transfert (in Scritti), Torino, Einaudi, 2010.
J. Lacan (1953-54), Il Seminario I. Gli scritti tecnici di Freud, Torino, Einaudi, 2014.
J. Lacan (1954-55), Il Seminario II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Torino, Einaudi, 2006.
J. Lacan (1955-56), Il Seminario III. Le psicosi, Torino, Einaudi, 2010.
J. Lacan (1956-57), Il Seminario IV. La relazione oggettuale, Torino, Einaudi, 2007.
J. Lacan (1957-58), Il Seminario V. Le formazioni dell’inconscio, Torino, Einaudi, 2004.
J. Lacan (1958), La direzione della cura e i principi del suo potere, Torino, Einaudi, 2010.
J. Lacan (1962-63), Il Seminario X. L’angoscia, Torino, Einaudi, 2007.
J. Lacan (1969-70), Il Seminario XVII. Il rovescio della psicoanalisi, Torino, Einaudi, 2001.
F. Palombi (2009), Jacques Lacan, Roma, Carocci.



[i] A partire dal Seminario XI (1964) e in particolare nel Seminario XVII (1969-70) con la teoria dei quattro discorsi, Lacan sosterrà invece che la psicoanalisi è la sovversione della tradizione dialettica.
[ii] Tale schema è una variante dello schema ottico, che Lacan introduce per spiegare le condizioni di possibilità della genesi dell’io, assimilate a quelle che consentono il prodursi dell’illusione ottica del vaso di fiori capovolto.
L’osservatore, attraverso un gioco di specchi può vedere illusoriamente un mazzo di fiori dentro un vaso solo se si trova all’interno del cono visivo. Allo stesso modo, il bambino deve occupare una particolare posizione affinché possa costituire un mondo in cui l’immaginario riesca ad articolarsi con il reale. Se si trova all’esterno del cono, vedrà le cose nel loro stato reale, completamente nude. E’ ciò che accade, per esempio, a Dick, il piccolo paziente di Melanie Klein.
La variante O-O’ permette a Lacan di descrivere il percorso dell’analisi come una spirale che si dipana lungo una serie di punti che il paziente percorre da C fino ad arrivare a O, reintegrando gli aspetti misconosciuti della propria immagine strutturante (cfr. F. Palombi, 2009, pp. 128-130).
[iii] Cfr. Chemama, Vandermersch, 1998.
[iv] La differenza tra passaggio all’atto e acting-out è proposta da Lacan nel Seminario X. L’angoscia (1962-63). Il passaggio all’atto è un agire impulsivo inconscio, non si indirizza ad alcuno e non attende alcuna interpretazione. “Il passaggio all’atto è domanda d’amore, di riconoscimento simbolico su un fondo di disperazione, domanda fatta da un soggetto che non può viversi come uno scarto da evacuare. […] E’ sempre superamento della scena, incontro col reale, azione impulsiva di cui la più tipica consiste nella defenestrazione. E’ un gioco cieco e una negazione di sé; costituisce la sola possibilità, puntuale, per un soggetto d’inscriversi simbolicamente in un reale disumanizzante” (Chemama, Vandermersch, 1998).
L’acting-out, invece, sarebbe una condotta indirizzata all’altro, che è chiamato a decifrarla. “L’acting-out si offre all’interpretazione a un altro divenuto sordo” (Chemama, Vandermersch, 1998).

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Commenti

Esaustiva rilettura del caso Dora, con tutta una serie di passaggi nei quali Lacan lo tratta. Sembra, a volte, inattuale tornare Freud ma credo, invece, sia imprescindibile. Imprescindibile, anzichè nella prospettiva di ascoltare i pazienti come fossero Dora, l'Uomo dei topi o l'Uomo dei lupi, in quanto i suoi "pregiudizi" affiorati nel transfert e nel controtransfert ci insegnano a posizionarci in modo più prudente e saggio. Ottimo lavoro.

CREDO POSSA INTERESSARE I LETTORI LA RILETTURA DEL CASO A FIRMA DI ROMOLO ROSSI
Seguendo il link potrete leggere il contributo: http://www.psychiatryonline.it/node/3765


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