I Peter Pan della globalizzazione
Dall'adolescenza all'età adulta oggi, nell'epoca del precariato e della globalizzazione
di Leonardo (Dino) Angelini

Corinaldo: pastorale italiana

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14 dicembre, 2018 - 18:43
di Leonardo (Dino) Angelini
Quando nel 1995 Luca Carboni cantava “Sempre estate non è” (vedi video qui sotto) per un attimo squarciava il fondale di cartapesta che ornava quel palcoscenico sul quale già da tempo anche in Italia Narciso muoveva i suoi passi.
L’inattesa scoperta delle altre stagioni, delle altre dimensioni della vita che - pur nascoste dietro quell’enfatico fondale, continuavano ad esistere – lo lasciavano attonito.
 
La stessa cosa è ciò che sta accadendo in noi di fronte alla tragedia di Corinaldo, che ci atterrisce e ci costringe ad aguzzare lo sguardo e a non ridurre all’impressione di un attimo ciò che s’intravede al di là di quel fondale squarciato.
Ciò che Corinaldo quasi ci obbliga a vedere è il contesto situazionale in cui si è generato, e poi si è imposto nel tempo quel fondale che fa da cornice al palcoscenico sul quale in Italia ormai da due generazioni le trame che fanno da canovaccio alle canicolari e fantasmagoriche storie di Narciso vanno sostituendo, come in una lunga sequenza incrociata, quelle più grigie e luttuose di Edipo.
L’emergere di questo nuovo contesto, a mio avviso può essere ricondotto al passaggio  da società che escludevano la maggior parte della popolazione dal mercato dei beni voluttuari a società che invece tendevano ad includerle, aprendo in questo modo la più ampia sfera dei consumi alle classi subalterne.
Ma perché questo nuovo contesto emergesse era necessario favorire, attraverso vari canali - la famiglia, la scuola, i media, soprattutto – la nascita a) di una nuova cultura centrata su quella che Adorno e Horkheimer chiameranno la  fabbrica del consenso; b) di una nuova società centrata sul consumo, più che sulla produzione (sull’uomo-mannequin, più che sull’uomo-robot, dirà Baudrillard); c) di un nuovo tipo di personalità: anaclitica, e non più anancastica, avrebbe detto Bergeret. 
Per ironia della sorte in Italia questa svolta avvenne in ritardo, e proprio nel momento in cui la mia generazione – quella del ’68 – si avviava verso l’età adulta. Si trattava di una generazione che oggi è rimasta l’unica ad avere vissuto la prima parte della propria vita all’interno di una società pre-consumista.
Una generazione inconseguente – come ho cercato di dimostrare proprio su queste pagine – che, pur essendosi formata sui testi più critici nei confronti della società dei consumi, poi è stata la prima che si è lasciata avvincere dalle sirene consumiste non distinguendo più fra bisogni reali e bisogni indotti (A. Heller), anzi! È stata la prima a costruire quel fondale e quel palcoscenico sul quale, come dicevamo all’inizio, Narciso recita ormai da due generazioni.
Tante sono le azioni che inanellandosi compongono le ‘storie’ che quotidianamente questo nuovo soggetto mette in scena sull’odierno palcoscenico consumista: si tratta per lo più di storie che hanno la funzione di confermare i presupposti culturali, sociali e psicologici sui quali si fonda questo tipo di società, in modo tale che la loro concrezione faccia apparire come naturale, e dato per sempre nel tempo, ciò che invece è il frutto dell’odierno lavoro di scavo della riproduzione sociale.
 
In questo contesto la tragedia di Corinaldo appare come un candelotto di dinamite che con la sua esplosione sfascia questo palcoscenico e mette a nudo la pretesa naturalità di quel fondale.
La tragedia di Corinaldo: e soprattutto la morte di una madre che, – sia chiaro! - indipendentemente dalle più che fondate ragioni immediate che l’hanno condotta lì, ha rappresentato agli occhi della stampa e della pubblica opinione l’inattesa comparsa di un atteggiamento critico nei confronti di un elemento che fino ad ora era stato esaltato: la negazione della distanza generazionale, e tutto ciò che ne deriva sul piano degli attuali rapporti intergenerazionali.
L’immagine che mi torna in mente, e che mi viene da Kern,  ora è quella archetipica del labirinto, visto come luogo in cui i soggetti neo-puberi entrano in gruppo come bambini, rimangono per un certo periodo in uno stato di margine in cui alcuni membri adulti della loro comunità, nominati sacerdoti del passaggio, li rendono edotti per conto della comunità dei segreti della vita, per poi uscirne adulti.
In questa cerimonia, che poi ogni cultura, ogni classe sociale, ogni arte ed ogni mestiere riproporrà in forme sempre nuove, ma sempre in fondo sovrapponibili (Calame Griaule), sono sempre distinguibili tre fasi: nella prima delle quali ci sono dei bambini che simbolicamente muoiono per rinascere nella terza ed ultima fase come adulti; mentre nel mezzo c’è la cosiddetta fase di margine (che nella storia di Edipo è rappresentata dalla sua educazione ad opera dei genitori adottivi Polibo e Peribea) durante la quale rappresentanti della generazione che declina istruiscono i neofiti sui segreti della vita (e del lavoro): svolgono cioè le funzioni proprie di ciò che gli odierni sociologi chiamano ‘riproduzione sociale’.
I riti di passaggio cioè rappresentano, come l’immagine archetipica del labirinto, un “utero sociale” (Kern) che nel momento stesso in cui istituisce la ritualizzazione del passaggio implicitamente sancisce agli occhi di tutta la comunità l’esistenza della distanza generazionale, che nelle società dinamiche è destinata ad incubare il conflitto; e nel contempo la mortalità della generazione che declina e la necessità di definire un percorso di crescita di quella che emerge. In una parola l’esistenza del tempo.
 
Tutto questo nella società odierna - e ormai da due generazioni! - sfuma e, sotto molti punti di vista, tende ad essere denegato.
- La comunità adulta, e soprattutto la scuola e i suoi docenti, che oggi, insieme alla famiglia, svolgono oggettivamente le funzioni sacerdotali legate al passaggio, non sono soggettivamente coscienti di questa loro importante e delicata funzione.
- La precarizzazione del lavoro e i sempre più incerti confini della sua stabilizzazione, come dice Laffi, non aiutano il neo-adulto a comprendere se e quando egli abbia veramente raggiunto l’età adulta.
- In assenza di cerimonie pubbliche di passaggio l’adolescente e il neo-adulto ricorrono a quelle che Le Breton chiama ‘cerimonie intime parallele’ (tatuaggio, piercing, forme individuali più o meno pericolose di messa alla prova), che da una parte rappresentano la necessità e  l’urgenza della cerimonializzazione del passaggio e dall’altro testimoniano la sordità al problema da parte di coloro che sarebbero i suoi potenziali sacerdoti.
- Infine – ed è la cosa che la tragedia di Corinaldo rappresenta più vividamente - il fatto che gli stessi genitori di oggi siano cresciuti in una atmosfera sostanzialmente simile a quella qui sopra descritta li spinge a negare la distanza generazionale e il conflitto, e per questo continuare in eterno a sentirsi adolescenti. A osannare acriticamente la propria propensione al consumo e quella dei propri figli, e a rispecchiarsi narcisisticamente in essi, che ai loro occhi risultano pieni di tutte qualità e che per questo possono, anzi ‘devono’ sottrarsi a qualsiasi verifica che certifichi i loro limiti: vedi il conflitto perenne con la scuola, che (ancora) è obbligata a svolgere un lavoro di selezione e di individuazione.
Il labirinto odierno cioè è un utero sociale dentro al quale si rimane insieme: adolescenti e adultescenti (Ammaniti, Pietropolli Charmet), a tempo indeterminato, non più proiettati sul futuro, ma pigiati nel presente, senza sacerdoti del passaggio, ma in compagnia di perversi sacerdoti imposti dai media, che furbescamente incitano ad abbandonare ogni propensione alla sublimazione e ad esaltare ogni tipo di regressione e di stagnazione.
È questo velo che la tragedia di Corinaldo ha squarciato. Almeno per qualche giorno.

 
Bibliografia
 
Adorno, W. Th.; Horkheimer, M. 1966. Dialettica dell'Illuminismo, Einaudi, Torino
Ammaniti M., 2018, Adolescenti senza tempo, Cortina, Milano
Baudrillard D . J., 1976, La società  dei consumi, Il Mulino, Bologna
Bergeret J, 1984, Personalità normale e patologica, Cortina, Milano
Calame Griaule G., cit. in: Jeammet Ph., 1992, Psicopatologia dell’adolescenza, Roma, Borla
Heller A., 1978, La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano
Kern H., 1981, Labirinti. Forme ed interpretazioni, Feltrinelli, Miilano
Laffi S., 1999, Il furto: mercificazione dell’età giovanile, L’ancora del mediterraneo Ed., Napoli
Le Breton D., 1999, Signes d’identité. Tatouages, piercings et autres marques corporelles, Paris, Métailié
Pietropolli Charmet G., I nuovi adolescenti, R. Cortina, Mi, 2000

 
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Commenti

Segnalo questo articolo, in certo qual modo legato al mio post: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/12/15/trap-forse-le-femministe-non...

Oltre l'indignazione verso i testi penso che sia interessante chiedersi come mai ragazzini di 9,10,11... anni rimangano così estasiati da tali contenuti.

Quasi subito dopo la tragedia di Corinaldo, è nato su Facebook un gruppo "Giustizia per le vittime della Lanterna Azzurra" con lo scopo di raccogliere testimonianze, pensieri e riflessioni.
Sono interessanti alcuni commenti delle mamme che sembrano esplicare e rendere vivi i concetti ben espressi nell'articolo.
" .....Ho bisogno di parlare di sfogarmi ...Anche Alisia mia figlia era lì in quella discoteca con le sue amiche....Era anche lei rimasta incastrata non sa come è uscita ..Ora sta benino anche se deve fare altri controlli...È a terra non parla e non ha più voglia di studiare......Questi giorni sono passati come un incubo.....È difficile andare avanti....perdonatemi ma .....Mi sento in colpa ...di abitare qui a Corinaldo. ...Spero che i ragazzi tutti possano trovare la tranquillità e la serenità che spetta loro....Un abbraccio a tutti"

"Voi genitori e i tanti ragazzi siete tutti nel mio cuore da quella maledetta sera, mia figlia per puro caso non era là, ha cambiato idea all'utimo momento ed era la prima volta che le davo il permesso di andare alla Lanterna, solo fortuna nient'altro. Coraggio, nessun senso di colpa, avete tutta la mia comprensione e solidarietà, vi abbraccio fortissimo."

" Anche mia figlia c era e è lesionata ha la schiena nera piange sempre e non vuol andare a scuola ....ma noi genitori non dobbiamo sentirci in colpa non sapevamo cio che poteva accadere ma dobbiamo far rinchiudere i responsabili per dare pace in primis alle vittime e loro genitori e a tutti i feriti e tutti quelli che c erano quella maledetta sera"

"La colpa non e di voi genitori ma di quegli elementi che pur di guadagnare hanno riempito...... Vi abbraccio ogni giorno....

grazie Giuseppe!!


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