L'INNOCENZA DEL DIAVOLO
Psicopatologia, crimine e istanze di controllo sociale
di Rita Corsa e Pierpaolo Martucci

COMMENTO IRRIVERENTE ALLA DIVULGAZIONE PSICOANALITICA IN TIVVÚ (E NON SOLO)

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31 marzo, 2019 - 16:26
di Rita Corsa e Pierpaolo Martucci
Ho avuto fortuna.
Quando l’amico Bollorino mi ha chiesto di scrivere cosa pensassi della divulgazione psicoanalitica e mi ha invitato a guardare Recalcati in “tivvù”, ho avuto fortuna.
Una botta di… “guru” – permettendomi di saccheggiare il pezzo di Aldo Grasso sul Corriere della Sera del 19 febbraio c.a.
Prima di dirvi della mia fortuna, però, apro una brevissima parentesi sulla TIVVÙ, strabiliante epiteto che sulle pagine di psychiatry on-line Annalisa Piergallini riserva all’ormai obsoleto strumento televisivo, che da tempo pare aver spento ogni promessa di verità, ma anche di sogno e di mistero. Ma forse mi sbaglio… forse la TIVVÙ abita ancora la stanza di giochi bellissimi e antichi, caldo conforto di eccitazioni e di solitudini infantili. TIVVÙ, datato neologismo dal sapore operaio che risucchia l’osservatore nello schermo fantozziano di “frittatona di cipolle, Peroni familiare gelata, tifo indiavolato e rutto libero”! TIVVÙ, più mi gira in testa, più questo termine mi cattura e mi accarezza come un refolo tiepido di nostalgie lontane. E proletarie.

Insomma, tornando alla greve questione in esame, ho avuto fortuna, perché ho beccato una puntata appassionante e generosa, con un Benigni schioppettante. Un fuoco d’artificio di mirabolanti citazioni. Mi sono poi lasciata fasciare dai versi de La Cura di Battiato, che mi garantiva protezione “dalle paure delle ipocondrie”, dai turbamenti che avrei incontrato per la mia via e, specialmente, “dalle ingiustizie e dagli inganni” del mio tempo.
Già, gli inganni. TIVVÙ cattiva maestra, stigmatizzava Karl Popper un quarto di secolo fa. Quando si spingeva, provocatoriamente, a chiedere di imporre “una patente, una licenza, un brevetto” a chi fa televisione, revocabile a vita, “qualora agisca in contrasto con certi principi”.
«“Chi dici che mente?” domandò Tiresia, ancora immerso nei suoi pensieri.
“Le ombre,” fu la risposta della Pizia “non c’è nessuno che dica tutta la verità, nessuno tranne Meneceo, il quale è troppo stupido per dire bugie. Laio mente, così come mente quella puttana di Giocasta. E perfino Edipo non è del tutto sincero» (Friedrich Dürrenmatt, La morte della Pizia, 1985, p. 45).
Mentono tutti, ma non Battiato, che mi solleverà dai dolori e da ogni malinconia, che supererà le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farmi invecchiare e che tesserà i miei capelli come trame di un canto. Lui dice parole di verità, ne sono certa. Più di Laio, di Giocasta e di Edipo. Più di Freud, di Jung, di Lacan e di Winnicott. E più di Recalcati, almeno credo.
Se la parola vera non sta da nessuna parte, perché “Lontano è il reale ed estremamente profondo. Nessuno ne verrà a capo” (Qohèlet, 7,24), potevamo allora pretendere di vedercela porgere in TIVVÙ? Dalla psicoanalisi in TIVVÙ?
Nel mio intimo – e qui mi disvelo – la lusinga della parola esibita non mi seduce, né placa i miei tormenti. Forse perché ho fatto mio l’ammonimento di Deridda nel suo omaggio a Jean-Luc Nancy, «Ogni tocco è di troppo, ogni volta irreparabile, esposto alla singolarità irripetibile della sua confessione» (2007, p. 400). Non ne so il motivo, ma tradisco questo imperativo solo di fronte a Battiato, quando assicura che mi verrà a cercare e percorrerà insieme a me le vie che conducono all’essenza. E che mi porterà soprattutto il silenzio e la pazienza. Il silenzio e la pazienza.
 
Trovare l’alba dentro l’imbrunire
 
     Che altro dire della psicoanalisi in TIVVÙ? Cos’altro aggiungere ai molteplici commenti apparsi su questa stessa rivista (psychiatry on-line) e sui fogli e vari siti dei quotidiani e dei magazine? Abbiamo letto tante osservazioni benevole e altrettante malevole; critiche ben argomentate e altre povere e infruttuose.
    Mi chiedo: si può paragonare il Recalcati di oggi al Winnicott delle celeberrime trasmissioni radiofoniche per la BBC dei primi anni ‘60? Le radio broadcasts di Winnicott per la BBC sono veri e propri momenti di culto per gli psicoanalisti.  The ordinary devoted mother and her children, in cui “the idea of the good enough-mother” viene enunciata dalla voce ferma e avvolgente dell’anziano maestro, suona come un inno alla capacità di cogliere, comprendere, tradurre e bonificare l’esistente da parte della disciplina psicoanalitica e un vaticinio propizio per il suo futuro.
    Scrive Thanopulos: “Winnicott ha fatto un uso della BBC radio esemplare. Coniugando divulgazione e informazione di alto livello, con uno stile che metteva accuratamente se stesso come persona sullo sfondo. (…) Penso che lo psicoanalista che è presente nel campo dei mezzi di informazione/comunicazione deve essere particolarmente attento a non cadere nella seduzione, nella predicazione e nella retorica”.
  Ma quella vissuta da Winnicott era un’altra epoca. Un’età di entusiastica rinascita, di turbolenta creatività, di cura del presente e del dopo. Di fiducia nel pensiero umano e nella sua pulsione prometeica. Nella sua irrefrenabile tensione a sfidare gli dei per trasformare il mondo. “Com’era azzurro, il cielo”, rammenta, commosso, un Roland Barthes innamorato (Frammenti di un discorso amoroso, 1977, p. 109). 
Un altro tempo.
“Video killed the radio star” cantavano i Buggles solo pochi anni dopo.


   Nel nostro tempo divulgatori e influencer si moltiplicano nel caleidoscopio globale, dove la TIVVÙ non è più “il” ma “un” media, e agli indici di audience si affiancano – a migliaia, a milioni – i like.  Se, in un prossimo futuro, gli “androidi sogneranno pecore elettriche” – per dirla con Philiph K. Dick – chi parlerà loro di psicoanalisi? E forse arriverà un’ora in cui ci si emozionerà a rivedere un antico Recalcati, fatto ancora di carne, che tratta di famiglia e d'amore di fronte a un giovane pubblico curioso e attento. 
  Ritengo che le parole della psicoanalisi possiedano il fatale potere di concorrere, insieme ad altre forze umane, a contrastare coraggiosamente la desertificazione del consesso socioculturale contemporaneo. Sempre, comunque e dovunque pronunciate.
  Alla fine mi sovviene ancora Battiato, quello di Prospettiva Nevsky, che canta quanto sia “difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Dentro l’imbrunire dei nostri giorni.
 
di  Rita Corsa

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