Intervista a Alessandro Guidi autore di “I sette peccati capitali nella società attuale”

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1 ottobre, 2019 - 12:17
Autore: Alessandro Guidi
Editore: Edizioni ETS
Anno: 2017
Pagine: 160
Costo: €11.90
Gianluca Garrapa: Il libro si apre con una dedica : “a coloro che non hanno paura di desiderare”: che rapporto esiste tra il peccato e il desiderio?
 
Alessandro Guidi: Ho dedicato questo libro a tutti quelli che non hanno paura di desiderare e quindi non rientrano in nessuna categoria dei peccati capitali. Vedremo che sono dei peccatori, non possono non esserlo, ma non capitali: che differenza c’è? La differenza consiste nella risposta del soggetto dell’inconscio al desiderio e al godimento.
Per un analista il terreno da dove trarre delle indicazioni preziose sul desiderio e sul godimento del soggetto contemporaneo è l’analisi personale.
Il paziente nell’analisi non fa altro che parlare d’Amore anche quando parla d’altro, per esempio della sua salute o del suo lavoro. All’esigenza d’amore, di avere cioè una relazione d’amore soddisfacente e duratura, non riesce a rinunciare facilmente nonostante che le esperienze d’amore passate siano risultate tutte fallimentari perché non coincidenti mai con le aspettative del soggetto stesso. Questo insistere immaginario fa da schermo all’apertura sul vuoto che apre al desiderio di cambiamento ma che il soggetto avverte invece come ferita da chiudersi e che comunemente viene riparata con l’Amore. Questa confusione serve al soggetto dell’inconscio a resistere al cambiamento delle abitudini, al cambiamento del modo di pensare e di comportarsi verso l’altro della relazione e soprattutto serve al soggetto a resistere, a non scindere il desiderio dall’Amore, è dunque il trionfo illusorio dell’Io e del suo Ideale. Quindi l’apertura è un varco sul vuoto dell’esistenza che il soggetto vive pericolosamente con angoscia. Ed è per questo pericolo che generalmente il paziente rinuncia al cambiamento lasciandosi così fagocitare dalla paura che spesso si traduce in crisi di panico, il che significa che il soggetto rimane impantanato sul bordo della soglia della porta immaginaria del cambiamento senza volerla varcare. Solo il sogno ha questo compito, oppure con il sogno, altre volte, l’inconscio manifesta proprio l’orrore dell’al di là della soglia attraverso un simbolo. A questo punto rispondo alla tua domanda e lo faccio introducendo questa equazione: il peccato : desiderio = il peccato capitale : godimento.
La relazione della prima coppia consiste nell’avere in comune qualcosa di strutturale che definisce il soggetto nel suo rapporto con l’Altro ovvero con il proprio inconscio e direi contemporaneamente con l’Amore inteso come passione dell’essere: la mancanza d’oggetto è ciò che accomuna il peccato e il desiderio. Entrambi sono presenti nel soggetto come indici di un’inconsistenza strutturale che si riflette in tutte le relazioni con l’altro delle quali la relazione d’amore è quella in cui il genere umano investe immaginariamente di più per cercare di sanare la ferita che il soggetto dell’inconscio porta con sé fin dalla sua origine.
La coppia peccato-desiderio dunque indica come per il genere umano non esiste oggetto che possa colmare l’insoddisfazione esistenziale della quale il soggetto fa esperienza terrena a due livelli, il primo a un livello teologico con l’esperienza intrinseca del peccato in relazione trascendente-immanente con l’Altro (Dio). Infatti l’essere umano proviene dallo stesso terreno fecondo (paradiso terrestre) che Dio aveva creato per l’uomo: il peccato in aramaico, amartia (buco), indica come l’essere umano dopo la sua disubbidienza a Dio porta con sé il buco, la mancanza (sensazione nostalgica di un vago immaginario ricordo di completezza) del suo stato simbiotico con il Paradiso Terrestre; peccato che l’intervento riparatore di Cristo non è servito a eliminare, infatti il passaggio di Cristo ha solo azzerato tutti i peccati commessi dall’uomo sulla terra come essere imperfetto irrequieto e insoddisfatto, ma non ha eliminato ciò che l’uomo è: un essere inconsistente e imperfetto, strutturalmente sottoposto, per natura, all’azione fisica del vortice causato dall’inclinazione del soggetto a risucchiare nel vuoto interno tutto ciò che si presenta in eccesso, in più. A questa tendenza l’uomo oppone un’azione che serve a tappare questo buco vorticoso erigendo dei punti magnetici d’attrazione esterna (Ideali) o interna (fantasma) che servono a mantenere, in tutte le manifestazioni umane, un’immaginaria e ingannevole stabilità.
L’uomo non può e non deve ignorare questa sua condizione bucata, il che vuol dire che deve fare i conti permanentemente con ciò che è, ma questa condizione, diciamo naturale, l’uomo non lo avverte così com’è, ma generalmente è condizionato ad avvertirla come se fosse legata all’Assoluto (Dio) ovvero a ciò che la teologia chiama male trascendente e che la psicoanalisi definisce contaminazione tra il naturale e ciò che è inscritto nelle rappresentazioni immaginarie e nelle reti simboliche della cultura che mettono in moto nell’essere umano l’azione tentatrice e l’inclinazione a colmare il peccato, cioè il proprio buco strutturale soggettivo.
Il secondo livello è terreno e si può definire come esperienza laica dell’uomo che è quella sottolineata da Lacan a partire dalla sua Etica: è il livello esperienziale del desiderio ovvero il livello esperienziale fondato sulla mancanza, ma questa volta senza uno sguardo al trascendente, infatti desiderio deriva dal latino de-siderum e significa ‘fuori dalle stelle’. Ciò vuol dire che il confronto tra l’uomo e la sua mancanza d’oggetto non riguarda la sua esistenza progettata prima della nascita dell’uomo stesso inteso come genere umano, non riguarda cioè un destino già scritto dagli Dei o inscritto nelle stelle, un destino che lo anticipa, ma riguarda la sua condizione essenziale che comincia esattamente da dove il soggetto è nato (nell’Edipo familiare) e da dove il soggetto ha avuto origine come soggetto dell’inconscio ovvero dal linguaggio e nel linguaggio. L’entrata nel linguaggio è la frontiera tra un prima, corrispondente all’oscurità della Cosa (i primi anni di vita con la Madre) e l’acquisizione della parola, entrata che corrisponde per il soggetto alla perdita di soddisfazione rispetto all’oggetto del godimento primario che Freud designa come oggetto perduto per sempre, tanto che da questo punto di vista laico della psicoanalisi, confermato dai pazienti nelle sedute, si può parlare di esperienza strutturale della perdita di godimento nella vita del soggetto e il desiderio, causato da questa perdita e vissuto dal soggetto nelle relazioni umane, si situa, come mancanza, al centro di queste relazioni nelle quali l’uomo colloca l’oggetto d’amor perduto da recuperare, l’oggetto primario della condizione soggettiva senza coscienza e senza ricordo.
Se la coppia peccato : desiderio ha dunque nella mancanza d’oggetto l’elemento comune che caratterizza le relazioni oggettuali del soggetto, la coppia peccato capitale : godimento, al contrario, è caratterizzata dalla presenza dell’oggetto da godere nelle relazioni e nei comportamenti dell’Io. E se la mancanza è strutturale al soggetto, la presenza dell’oggetto, invece, è una sua risposta a questa mancanza d’oggetto e la presenza d’oggetto è dunque una forzatura caratterizzata dall’eccesso di godimento con lo scopo di mantenere in modo immaginario e nella realtà quotidiana e a tutti i costi, (costi quello che costi) l’oggetto di cui godere e l’Io che lo rappresenta nell’immaginario. L’eccesso indica sul piano teologico il debordare del Male ovvero indica il trionfo del male nell’inclinazione del soggetto umano verso il suo destino apocalittico scritto dall’Altro stesso (Satana). Mentre sul piano laico la psicoanalisi considera il peccato capitale come la risposta perversa del soggetto al peccato, una risposta che implica la negazione dell’inconscio nella cultura dell’Altro familiare e sociale: questa risposta umana è tesa a mantenere presente a tutti costi e in tutti i modi possibili nelle relazioni umane l’oggetto del godimento perduto anche contro ogni logica ed evidenza.
Il peccato capitale, con tutte le varianti comportamentali che la società contemporanea presenta, mostra dunque la risposta eccessiva dell’uomo alla mancanza, ovvero alla sua condizione strutturale bucata con la quale il soggetto ha paura a confrontarsi per timore d’incontrare il vuoto che avverte dentro di sé e che gli procura angoscia.
 
 
G.G.: I sette peccati capitali sono descritti nella loro mutazione filosofica e antropologica: che differenza c’è tra l’accezione teologica del peccato e quella clinica?
 
A.G.: Nella prima domanda mi hai chiesto del rapporto tra peccato e desiderio, ora della differenza tra teologia del peccato e clinica del peccato. Ebbene, con l’equazione tra peccato e desiderio e peccato capitale e godimento ho gettato la base per comprendere la differenza tra teologia e clinica del peccato. Infatti, questa differenza per Lacan si può comprendere se la riportiamo dentro la dimensione Etica della psicoanalisi e in cui è compresa la laicizzazione della teologia nell’operazione di Lacan che riduce la clinica a etica. In questo modo, la laicizzazione del peccato permette di sottrarre la dimensione del peccato al dominio della teologia. Questa sottrazione ha permesso a Lacan di sottolineare come nella clinica sia centrale la funzione simbolica del Nome del Padre (Dio) nella struttura e nell’origine del soggetto dell’inconscio, mentre nella teologia il Nome del Padre rimane esterno o in posizione trascendente o immanente rispetto all’essere umano e alla sua esistenza. La posizione e la funzione del Nome del padre porta a conseguenze cliniche differenti per il soggetto dell’inconscio e i suoi relativi comportamenti umani e sociali: infatti il Nome del Padre può essere il promotore della rimozione dell’oggetto perduto e della sua sostituzione con la mancanza e con la perdita con le quali il soggetto nevrotico gioca la sua partita amorosa e sociale con l’altro; il Nome del Padre può essere il segno del meccanismo della forclusione psicotica che indica come il soggetto sia rimasto preso lui stesso dall’essere l’oggetto del godimento dell’Altro senza così poter fare nella vita l’esperienza necessaria della perdita e della mancanza (desiderio) con la conseguenza radicale di non aver mai incontrato il Nome del Padre e la sua funzione simbolica che serve a collocare il soggetto all’interno degli scambi dialettici con l’altro e all’insegna delle strategie del compromesso o della trasgressione della Legge. Infine il Nome del padre, attraverso la funzione del padre immaginario, può essere ridotto dal soggetto a complice della Legge della Madre nel meccanismo della denegazione ovvero della cancellazione della castrazione simbolica. Cancellare non significa che la castrazione non esista, significa invece che la castrazione nell’esperienza primaria del soggetto è stata resa inoperosa e messa nella condizione d’essere inefficace. La castrazione, in questo caso, esiste ma per il soggetto ha perso il suo valore e potere, potere che serve simbolicamente a limitare nel soggetto il godimento e il suo eccesso nei comportamenti sociali e nelle relazioni con gli altri. Se portiamo la teologia del peccato all’interno della clinica del peccato, si può notare quale sia il rapporto che esiste tra peccato e peccato capitale all’interno della clinica. Ebbene il peccato capitale come risposta del soggetto al peccato, si colloca all’interno della clinica delle perversioni.
La risposta del soggetto perverso, infatti, corrisponde al comportamento dell’uomo contemporaneo nel quale si concretizza la tendenza e l’inclinazione verso l’eccesso al godimento dell’oggetto elevato a feticcio stabile, vero e proprio punto di riferimento sociale per il corpo che vi si specchia e vi si identifica. Il peccato capitale è la dimostrazione della tendenza al male ovvero all’inclinazione del soggetto alla soppressione dell’altro con qualsiasi mezzo, in nome del Feticcio che ha preso il posto del Nome del Padre che è evaporato sotto il falso sole del feticcio. Se nella nevrosi il male nell’uomo è ancora contenuto all’interno del conflitto interiore con il bene, attraverso il senso del peccato legato al senso di colpa, al pudore e alla vergogna, nella perversione il legame con l’altro fondato sulla barriera della Legge è saltato perché il simbolo, rappresentativo dell’esistenza dell’Altro e dell’inconscio, è stato sostituito dal potere assoluto dell’oggetto elevato a Feticcio (merce, denaro, potere) in nome del quale l’uomo si comporta peccando capitalmente. Ed è la clinica del soggetto, quella che si costruisce con il paziente in analisi, a testimoniare e a parlare di questi comportamenti sociali, così come la clinica dei legami sociali, senza la parola del soggetto, ci dice del movimento del godimento dilagante in espansione e dell’attrazione magnetica dell’oggetto feticcio sempre più sofisticato e supportato dalla tecnologia come strumento per le protesi per il corpo dell’uomo.
La teologia del Male diventa per la psicoanalisi il trionfo della clinica delle perversioni, ovvero il trionfo del comportamento che normalizza e omologa l’uomo al Male; il Male non è dunque un derivazione corrosa del Bene nel suo interno che investe l’uomo lottando contro il bene stesso, ma un’azione e soprattutto una scelta del soggetto stesso tra rimanere dentro il principio di piacere o andare al di là del principio di piacere ignorando e facendo finta che non esista nessun principio di realtà che per la psicoanalisi corrisponde al limite decretato dal fare i conti con il proprio fantasma inconscio. In quest’ultima formazione inconscia (il fantasma), il paziente in analisi colloca il proprio peccato ancora in una dimensione che non risulta essere del tutto capitale ovvero esente da qualsiasi forma di conflitto. Il peccato è, dunque, una dimensione aperta e salvifica per il soggetto in quanto il soggetto non l’agisce semplicemente nella realtà ma ancora riesce a parlarne e riesce ad arrivare a concepirlo come il vuoto che coincide con il buco necessario all’esistenza del soggetto stesso, vuoto che invece la cultura dominante colloca in una posizione di scarto. Il peccato capitale, invece, designa il trionfo dell’abolizione della parola legata a questo scarto, trionfo a vantaggio del comportamento e quindi della negazione dell’esistenza dell’inconscio medesimo.
 
G.G.: In che modo i sette peccati capitali sono collegati al Discorso del Capitalista di Lacan?
 
A.G.: I sette peccati capitali rappresentano l’insieme dei comportamenti, sia dell’anima che del corpo, dell’uomo contemporaneo.
L’uomo contemporaneo ha sostituito la conflittualità interiore tra principio di piacere e principio di realtà, che è segno della presenza del disagio, con il comportamento che non implica invece alcun tipo di conflitto interiore. Il comportamento implica direttamente un fare, un’azione standard, lineare, fondata sull’adattamento a schemi e cliché prestabiliti dalla cultura dominante che come sappiamo è una cultura che spinge l’uomo verso l’eccesso di godimento. L’assenza di conflitto tra principio di piacere e principio di realtà, fa collocare l’azione dell’uomo nell’al di là del principio di piacere ovvero nell’eccesso del godimento, azione che si colloca nell’al di là del principio di realtà e incontra la pulsione di morte che è regolata dall’eccesso e dalla distruzione della realtà stessa, realtà come ci ricorda Lacan è fondata sulle regole imposte dal sapere all’interno del Discorso del capitalista: quelle della menzogna come se fosse Verità e del mercato come luogo di diffusione della menzogna. Come ci ricorda Freud la civiltà non estingue la pulsione di morte, la può rimuovere e dirottare altrove, la può elaborare simbolicamente facendola coincidere proprio con il peccato, ovvero con l’imperfezione che costituisce l’uomo; su questa consapevolezza ciò che il soggetto può tentare di fare è dare un’altra risposta al peccato che non sia quello capitale nel quale la pulsione di morte non solo trionfa indisturbata ma si nasconde dietro le pratiche innumerevoli delle illusioni e delle menzogne del ben-essere che l’oggetto feticcio promette.
Proprio per dimostrare l’efficacia distruttiva del feticcio, Lacan nel 1972 a Milano ha disegnato lo schema del suo 5° discorso, il Discorso del Capitalista. Intuizione geniale e direi veritiera che rappresenta in un sol colpo la logica del movimento in cui il soggetto moderno si muove all’insegna dell’eccesso di godimento e quindi all’interno dei sette peccati capitali.
La logica e il movimento di questo discorso girano intorno a due elementi fondamentali e a un terzo come loro conseguenza:1) il primo elemento è la natura dell’oggetto, che è quella d’essere al centro della sua valorizzazione legata al denaro che è appunto l’unità di misura del  valore di un oggetto. 2) il secondo elemento ha a che fare con l’operazione psichica detta feticizzazione dell’oggetto che occupa uno statuto speciale all’interno della mercificazione dell’oggetto. Il soggetto nella sua storia psichica personale è spinto a investire su un sostituto oggettuale speciale detto feticcio che per Freud rappresenta l’immagine o il sostituto del fallo femminile che è un mezzo per negare che la donna (madre) sia priva del pene simbolo della forza del maschio e dunque del padre. Quest’operazione ci indica che ciò che accade all’interno dell’Edipo familiare si estende per proiezione al livello sociale mantenendo così gli stessi presupposti anche su larga scala, presupposti che appunto caratterizzano il Discorso del Capitalista al livello della massa.
Nella negazione che la madre sia priva di fallo-pene consiste il meccanismo clinico della perversione ovvero della negazione della castrazione materna da parte del figlio maschio. L’oggetto feticcio è ciò che viene sostituito sul piano sociale al fallo materno e questa sostituzione comporta un Discorso che la sostenga: il Discorso del Capitalista ha questa funzione attraverso la feticizzazione di un oggetto speciale che s’inserisce nell’economia generica del feticismo delle merci.
3) Il terzo elemento che caratterizza il Discorso del Capitalista è la conseguenza degli altri due elementi: questa conseguenza lega i sette peccati capitali al Discorso del capitalista e così rispondo alla tua domanda. Infatti, questo legame si presenta come omologo tra il peccato dei peccati, la Superbia (presente per le sue caratteristiche in tutti i peccati capitali) e il feticismo dell’oggetto che caratterizza il Discorso del Capitalista. L’omologia sta tra la Superbia, come atto soggettivo (peccato capitale) e la caratteristica oggettuale del feticcio che all’uomo sembra avere una vita autonoma per l’incantesimo e la forza che egli emana.
Dunque la Superbia riguarda l’inclinazione del soggetto a eccedere ciò che è e ciò che ha ed è per questo motivo la Superbia è il peccato dei peccati in quanto è l’eccedenza di ogni atto sia del modo di essere o attitudine, che del possedere, peccato sia dell’anima che del corpo: e come eccedenza di un atto soggettivo l’atto non può che essere un atto perverso.
All’assoluto della Superbia del soggetto si affianca l’assoluto dell’oggetto feticcio universalmente distribuito negli oggetti mercantili del consumo delle merci. Ma c’è un oggetto feticcio che più d’ogni altro si eleva a oggetto dominante: è l’oggetto tecnologico che fa da protesi al corpo del soggetto e contemporaneamente il meccanismo eccessivo della Superbia e dell’oggetto feticcio corrispondono alla tendenza del soggetto a divorare l’oggetto per sentirsi continuamente onnipotente… con l’iphone in mano.
E in questo divorare l’oggetto è condensata la patologia narcisistica dell’uomo moderno che contiene sia il peccato capitale della Superbia sia il dominio dell’oggetto feticcio che fa da specchio riflettente all’immagine dell’Io dell’uomo contemporaneo.
 
G.G.: Il godimento che circola nel Discorso del Capitalista segue un movimento particolare: l’oggetto (a) viene imbustato senza essere imbucato: cosa significa?
 
A.G.: Il Capitalismo è caratterizzato dalla libera circolazione delle merci, è caratterizzato da scambi commerciali, è caratterizzato dalla continua produzione di merci e dalla continua domanda del soggetto per soddisfare il suo bisogno d’oggetto. Queste caratteristiche dell’economia capitalista non corrispondono esattamente a quelle del Discorso del capitalista; perché il Discorso del Capitalista ha a che fare con un altro tipo di economia: quella che Freud fece corrispondere al terzo punto di vista che serve a capire come si muove l’inconscio ovvero il punto di vista economico che riguarda la circolazione delle pulsioni delle quali quella fondamentale per il soggetto dell’inconscio è la pulsione di morte, che Lacan fa corrispondere al godimento. Il Discorso del Capitalista, dunque, include nel proprio discorso le caratteristiche del Capitalismo che prima ho enunciato. Da quest’inclusione ne consegue una circolazione dell’oggetto merce che trasforma l’oggetto in feticcio e ciò a causa della posizione perversa che il soggetto assume all’interno del Discorso del capitalista. Ciò che circola muove un effetto di godimento eccessivo che il soggetto dell’inconscio trae dal rapporto con l’oggetto feticcio.
Da questo punto di vista pulsionale il movimento circolatorio dell’oggetto-merce, è solo apparente perché l’eccesso di godimento in realtà è caratterizzato dal suo accumularsi sul corpo del soggetto (pensiamo ai peccati capitali della gola della lussuria e dell’avarizia) Quindi l’oggetto feticcio tende a essere imbustato e tende così a non uscire dal suo circolo vizioso che lo rende mortifero (pulsione di morte).
L’imbustamento è giustificato anche dalla forma a busta se si seguono i quattro movimenti che compongono il Discorso del Capitalista come ho presentato nello schema alla fine del libro “I sette peccati Capitali”. D’altronde, come ho già detto, l’oggetto della circolazione delle merci nel capitalismo si feticizza nel Discorso del Capitalista e questo feticcio rende l’oggetto immobile, accumulato e trattenuto come se fosse uno specchio collocato dovunque, uno specchio che riflette in modo lucente dappertutto l’immagine narcisistica dominante dell’Io dell’uomo contemporaneo.
L’economia del godimento eccessivo non può che essere imbustata, cioè trattenuta e raccolta per fare in modo che il feticcio sia sempre alimentato nella sua falsa dimensione di oggetto benefico da consumare, nella sua falsa immagine di oggetto salvifico: la busta stessa diviene luogo di culto dove poter adorare il feticcio come reliquia del narcisismo dell’Io dell’uomo contemporaneo.
A differenza dell’oggetto feticcio, l’oggetto piccolo a non è riciclabile, né si può trattenere in una busta, non è accumulabile, né riflettente in qualche immagine e questo perché l’oggetto piccolo a ha la necessità di un’altra economia rispetto a quella che circola nel Discorso del capitalista.
L’oggetto piccolo a non s’incarna in un oggetto specifico a disposizione di tutti, (omologazione feticistica dell’oggetto merce), ma è a disposizione di chi come soggetto lavora sul proprio inconscio senza negarne l’esistenza, rompendo quindi la dimensione riflettente dello specchio che conduce al narcisismo mortifero che invece nega la struttura dell’inconscio.
L’oggetto piccolo a necessita dunque di un’altra economia, quella del desiderio che necessità lui stesso di una economia più artigianale e al dettaglio, un’economia che nasce nello studio dell’analista per poi imbucarla da qualche parte e portare il raccolto della busta tra i legami sociali affinché questo cambiamento soggettivo possa essere trasmesso e diffuso. In definitiva l’imbucamento è il tentativo di costruire un’altra economia per un soggetto consapevole di cosa può fare con il proprio desiderio all’interno di una cultura fondata invece sull’eccesso di godimento. G.G.: Lei scrive che peccare deriva da “pecus”, difettoso nel piede, e Edipo significa piede gonfio: esiste un legame tra peccato e complesso d’Edipo?
 
A.G.: La storia di Edipo re di Sofocle, così come Freud l’utilizza e Lacan la rilegge, ha un legame profondo e strutturale con il peccato (da pecus, difettoso nel piede). Infatti, Edipo è quel soggetto che si fa portatore del buco, difetto che sta al centro della vita di un essere umano fin dalla sua nascita; Edipo è stato bucato nel piede da suo padre Laio che lo voleva sopprimere appena dopo la sua nascita. Questo difetto nel camminare, Edipo se lo porterà dietro per sempre, è dunque un buco che lo contraddistinguerà come soggetto al livello anche del suo nome, infatti Edipo significa piede gonfio che rimanda al suo buco ovvero al suo peccato che deriva da pecus. La storia dell’uomo è dunque la storia dell’Edipo che è in ciascun soggetto umano fin dalla nascita. Ma la storia di Edipo porta con sé ciò che contraddistingue il genere umano ovvero il destino che nella storia di ogni singolo soggetto è decretato dall’Altro familiare, destino che contiene degli elementi comuni a tutti i soggetti ma anche delle differenze che distinguono ogni soggetto dall’altro. Nella storia di Edipo abbiamo già visto come ciò che è comune a tutti i soggetti riguarda un difetto, un peccato che è l’effetto dell’azione dell’Altro familiare; ciò vuol dire che esiste nel soggetto umano al livello del corpo un buco strutturale che fa sì che il soggetto sia da subito un prodotto della dialettica con l’Altro genitoriale e ciò lo distingue dall’organismo animale che risponde in modo standard alle sollecitazioni dell’altro, suo simile. La laicizzazione del peccato porta, attraverso la storia di Edipo, a questo risultato: il peccato nell’uomo è una dimensione che attraverso il buco nel corpo sottolinea come l’essere umano ha strutturalmente bisogno dell’Altro per vivere, dipende dall’Altro nelle sue scelte, scelte che riguardano il corpo e il benessere del soggetto. È necessario considerare che anche l’Altro, da cui dipende il soggetto, è anch’esso un soggetto complesso (famiglia) che ha una sua storia specifica. Ma Edipo ci dice anche che la storia di ciascun soggetto non è solo la conseguenza del determinismo dell’Altro, infatti intorno al buco strutturale che riguarda il suo piede bucato si costituisce simbolicamente il difetto che ogni soggetto nel proprio essere porta con sé: il difetto inscrive il soggetto umano nel bisogno materiale e affettivo che lo lega alle dipendenze dell’Altro familiare. Questo è il peccato del soggetto umano sul piano laico, mentre sul piano teologico il difetto indica che il genere umano porta con sé strutturalmente una disubbidienza all’Altro (Dio) che lo costringe a fare i conti con un cammino nella vita faticoso, all’insegna dello sbaglio. Il peccato che Edipo si porta con sé inscritto sul corpo (piede gonfio) come segno della violenza e del primato dell’Altro familiare (Laio), non può essere cancellato o eliminato, ma può essere messo nelle condizioni di non essere vissuto come elemento di un destino ineluttabile dell’uomo. Edipo ha mostrato nella sua storia due cose fondamentali: la prima riguarda la dimensione del sapere inscritto nella storia di Edipo e la seconda riguarda la risposta a questo sapere che lo riguarda come soggetto.
Edipo tutto ciò che fa nel suo cammino, lo fa inconsapevolmente, non sa dove sta andando e cosa sta facendo, sia quando uccide il re Laio suo padre che gli si para davanti al Crocevia della Focide, sia quando sposa sua madre e regina di Tebe, Giocasta. Queste sue azioni così peccaminose stanno ancora dalla parte del peccato non ancora capitale, fino a quando Edipo, messo da Tiresia, che lo invita a interrogare il suo passato, di fronte alla verità della propria identità, scopre che l’uomo che ha ucciso alla Focide era suo Padre e la donna regina che ha sposato è sua madre Giocasta. Ora che sa, può decidere responsabilmente di affermare o negare la verità cancellandola e rifiutandola oppure assumersi la responsabilità di essere quel re che, avendo il potere, rinuncia a tutto ciò che ha e a ciò che gode (potere regale, regina ecc.), e lo può fare solo con un atto di auto- castrazione che assume un valore simbolico: si acceca e così evita di dare una risposta perversa rifiutando così di continuare a stare al potere e a giacere ancora con sua madre in modo incestuoso. E questa sua risposta, in nome dalla verità, scongiura la sua entrata nel peccato capitale della Superbia e della lussuria. E così Edipo passa dallo stare nel Mito, come vittima di un destino decretato dagli Dei, all’essere uomo consapevole e responsabile della sua imperfezione strutturale ed esistenziale.
 
G.G.: La superbia è il peccato dei peccati, gli altri sei peccati lei li colloca in due gruppi distinti: peccati dell’anima, o della privazione, e peccati del corpo, o dell’eccesso. Con quale criterio ha distinto le due categorie e cosa ha di speciale la superbia per essere considerata il peccato dei peccati?
 
A.G.: Sul peccato della Superbia ho già risposto con la domanda tre, quando ho spiegato che la Superbia collega i Setti peccati capitali al Discorso del Capitalista in virtù di ciò che porta con sé: il godimento eccessivo a essere di più rispetto a ciò che ognuno ha ed è.
Questo eccesso soggettivo è presente su larga scala nei comportamenti estremi dell’Io contemporaneo, malato di Narcisismo. Inoltre, la Superbia, per propria struttura, è presente in ogni peccato sia dell’anima sia del corpo.
Può sembrare un non senso mettere sullo stesso piano i peccati dell’anima, fondati sulla privazione, con i peccati del corpo fondati sull’eccesso. E poi se la perversione feticistica è caratterizzata dall’eccesso di godimento cui appartengono i peccati del corpo, allora la privazione come si collega con l’eccesso, cioè come si collega l’anima perversa con il corpo perverso? Per capire bene questo apparente paradosso è necessario interrogare il termine privazione così come ne parla Lacan a proposito della relazione tra il bambino, la madre e l’oggetto immaginario fallico che il bambino attribuisce alla madre, una madre che ha nostalgia del fallo che ha perduto dopo lo svezzamento e dunque vuole trovare un modo per recuperarlo a tutti i costi ed è per questo, in virtù di questa nostalgia, che il bambino maschio viene incaricato dalla madre di sostenerla in questo recupero e così il bambino si avvale dei suoi super-eroi (padre immaginario) per difendere e promuovere questo recupero facendosi lui stesso di nuovo fallo immaginario per la madre; e poi successivamente, a questo tempo primario, il suo narcisismo si specchia nell’oggetto feticcio che si trova, come merce, collocato all’esterno nella società.
E dunque anche in questo caso abbiamo qualcosa di eccessivo che si va a inscrivere nella perversione con una sorta d’inclinazione e tendenza, di ciò che la teologia chiama, anima e che per la psicoanalisi è la sede degli affetti e l’affetto porta nel nostro caso alla complicità del bambino-maschio con la madre, la quale si fa preferire dal bambino alla Legge del padre, e così la madre favorisce la tendenza alla perversione feticista dell’oggetto. Pertanto la disposizione del soggetto adulto nei confronto dell’altro, del suo simile, sarà legata alla sensazione di essere privo di un oggetto benefico che invece l’altro possiede (Invidia e gelosia) e allora la tendenza sarà quella di impedire (ira) all’altro di godere dell’oggetto del suo bene e sappiamo che nella società capitalista  l’oggetto-bene si identifica con l’oggetto feticcio che riguarda l’ampia gamma delle proposte legate al ben-essere del corpo, proposte che favoriscono appunto l’espandersi dell’invidia, del l’ira e dell’accidia. Quest’oggetto ha il potere di far considerare la privazione un atto edipico che riguarda la madre, un atto rivolto verso un oggetto reale (il pene)che la madre vive impropriamente come mancanza, infatti nella operazione di privazione la madre eleva questo oggetto mancante per natura, a un livello simbolico e dunque vive la privazione dell’oggetto reale in modo improprio, come se un privatore immaginario l’avesse castrata simbolicamente. Una sorta di legge ingiusta che ha l’effetto soggettivo ed eccessivo di elevare l’oggetto reale (il pene) al livello della castrazione che ha a che fare con l’oggetto fallico immaginario corrispondente al pene come oggetto reale. Nel secondo tempo dell’Edipo a tendenza perversa il bambino maschio ripara questa castrazione (complicità perversa con la madre) sostenendo l’elevazione della privazione allo stesso valore della castrazione del fallo e in un secondo tempo attraverso l’azione del Padre immaginario negandola (denegazione): infatti attraverso il Padre immaginario, costruito dal bambino, egli non castra la madre per ciò che non ha, con il risultato di attribuirgli direttamente il Fallo come simbolo del potere immaginario materno che viene esteso al godimento eccessivo del corpo che diventa il luogo dove il feticcio prolifera, fermenta e lievita nei peccati capitali del corpo (avarizia, gola, lussuria). I peccati capitali, dunque, sono il trionfo dell’alleanza tra la madre e il bambino maschio che produce l’oggetto feticcio simbolo di quest’alleanza che al livello esterno-sociale sancisce il potere della forza e dell’eccesso i cui luoghi di riproduzione quantitativa di questa forza sono il corpo perennemente in ostaggio dell’economia delle pulsioni. Con i peccati dell’anima invece a essere in ostaggio è il modo di pensare che si uniforma e si omologa a un pensiero unico che circola nel sociale: tutto ciò di cui sono privo va colmato con l’oggetto feticcio; ciò che mi manca lo vedo nell’altro che voglio privare di ciò che non ho; l’altro, che ha l’oggetto della mia invidia, mi indispone e mi scatena l’ ira perché ha ciò che io non ho, così che l’altro privato del suo oggetto attraverso un azione violenta, sarà uguale a me.
II pensiero unico consiste nell’uguaglianza dei comportamenti e si fonda sull’espansione a macchia d’olio del male che si distribuisce nell’invidia e nell’ira. Nel peccato dell’anima dell’accidia il bersaglio distruttivo riguarda tutto ciò che impedisce allo stesso accidioso di poter godere eccessivamente nell’immaginario del suo oggetto feticcio ovvero il corpo-carne del quale il soggetto è contemporaneamente preda.
L’accidioso sente il suo corpo pesante nell’agire mentre trionfa nel godimento eccessivo immaginario narcisistico di sé. Ne consegue che la realtà dell’azione dell’accidioso si svolge all’insegna dell’apatia, dell’ozio avvolto e dominato dai suoi pensieri morbosi immaginari a sfondo perverso. E tutto questo trionfo del godimento immaginario, che trova oggi corrispondenza nelle caratteristiche dell’oggetto feticcio, ha lo scopo perverso di costruire un sapere che abbia come nemico da combattere l’esistenza dell’inconscio e la sua funzione di verità circa la stessa struttura imperfetta del soggetto umano.
L’accidia nella sua evoluzione dal medioevo a oggi corrisponde proprio alla moderna depressione che la psicoanalisi fa coincidere con la tristezza o apatia. Il soggetto accidioso fa della non privazione del fallo materno il presupposto del godimento immaginario ed eccessivo della carne, sostituto disperato e pertanto impossibile a realizzare nell’azione del godimento della sostanza materna: godimento che per l’accidioso porta alla consapevolezza di non poterlo regolare totalmente come egli vorrebbe. Questa consapevolezza si dispone contro il desiderio di sapere. Il soggetto accidioso preferisce dunque nutrirsi e godere immaginariamente della carne piuttosto che del sapere sulla verità del suo godimento che si manifesta in tutti i suoi comportamenti.
La privazione dell’accidioso è legata all’ elevazione forzosa a feticcio del godimento della carne che ha come conseguenza la negazione del sapere inconscio che lo riguarda come soggetto triste e che fa del godimento della carne l’oggetto elettivo su cui infliggere la sua sofferenza nella stessa cancellazione del desiderio a vantaggio del bisogno e del potere che lo fonda: potere dell’Io idealizzato costituito sul riflesso dell’ oggetto feticcio che, come nel Mito, il corpo di Narciso deve rimanere immobile, senza potersi muovere: non può toccare l’acqua su cui si riflette la sua immagine e la sua immobilità, perché in caso contrario sarebbe messa in pericolo la scomparsa della sua  stessa esistenza.
 
G.G.: Il punto di riferimento, uno tra i tanti, del suo lavoro è il Seminario VII di Lacan sull’Etica della Psicoanalisi. Cosa ci può dire della dimensione etica della psicoanalisi, appunto, nel suo rapporto con i peccati della società moderna?
 
A.G.: Con l’Etica della psicoanalisi Lacan ha aperto un nuovo fronte all’interno della sua rilettura dell’opera di Freud. Freud aveva spostato l’asse dell’Etica Aristotelica dall’Io e dal comportamento dell’uomo all’Etica dell’altrove, cioè all’Etica dell’inconscio che è il luogo dello scarto, dell’osceno e anche del peccato in quanto ha a che fare con la circolazione economica della pulsione e per circolare è necessario che ci sia un vuoto. Questa circolazione non è un comportamento anomalo o peccaminoso ma è normale e strutturale all’essere umano. Lacan riparte da questo punto freudiano e fa un passo in avanti. Qual è il passo in avanti che fa Lacan? Il passo in avanti di Lacan consiste nel laicizzare il peccato e fare di questo peccato un elemento strutturale dell’essere umano e porlo come condizione centrale nel decentramento già individuato da Freud con l’inconscio. Se il decentramento, dunque, riguarda lo spostamento dall’Io al soggetto dell’inconscio e dunque dalla  lista classificatoria dei comportamenti dell’uomo alle pulsioni e alla loro circolazione intorno al vuoto, il centro del decentramento invece riguarda ciò che si forma intorno allo stesso vuoto come risposta differenziale del soggetto rispetto alla circolazione pulsionale intorno al vuoto il quale è implicato nello stesso soggetto bucato, insieme alla risposta dello stesso soggetto. Lacan proprio dall’Etica della psicoanalisi si accorge che nel soggetto umano questo vuoto è velato cioè è ricoperto da un sembiante, da un oggetto sembiante che serve a clinicizzare il vuoto stesso e renderlo leggibile nelle parole del paziente.
La riduzione dell’Etica a clinica serve a indicare come la clinica psicoanalitica non abbia a che fare con la tecnica ma con l’etica stessa inscritta nella clinica della parola del paziente. Il colloquio con il paziente è di stampo etico, questo vuol dire che ciò che conta è come nel transfert la posizione dell’analista va a rintracciare il sembiante che Lacan chiama oggetto piccolo a. Intorno a quest’oggetto, alla sua posizione rispetto al soggetto, alla sua natura e origine, il paziente mostra l’inclinazione e la tendenza al peccato capitale ovvero il paziente mostra nella sua parola la risposta del soggetto dell’inconscio rispetto al peccato che come sappiamo lo costituisce naturalmente come essere difettoso. Difettoso perché, come ho già detto, il soggetto umano è portatore di un oggetto perduto per sempre, è portatore d’una privazione definita e indicata dall’oggetto piccolo a, intendendo per a la lettera che segna come l’oggetto del desiderio o del godimento sia marcato da qualcosa che lo rende privo di un elemento che gli impedisce di soddisfare permanentemente e completamente il soggetto e che indica anche che al posto di ciò che è perduto per sempre vi è un oggetto che lo rappresenta come fondamento dell’illusione di colmarlo. Ma contemporaneamente a quest’illusione immaginaria è collegato un surplus di godimento dislocato proprio nell’oggetto piccolo a.
La novità clinica di Lacan consiste proprio in quest’oggetto a che condensa sia la tensione del soggetto verso qualcosa d’impossibile a essere e ad avere in quanto perduto per sempre, sia l’inclinazione del soggetto a eccedere verso un eccesso di godimento che si configura come risposta al vuoto, alla perdita di godimento o perdita della Cosa. (Das Ding). Questo eccedere del soggetto e presente nell’oggetto non è un peccato capitale se l’oggetto piccolo a condensa il godimento nel fantasma inconscio e dunque in una dimensione ancora analizzabile portata dal singolo paziente.
Mentre se l’oggetto piccolo a perde le caratteristiche fantasmatiche ovvero inconsce, legate a comportamenti nevrotici e si trasforma in oggetto merce-feticcio, allora questa trasformazione, fortemente voluta dal potere inserito nel Discorso capitalista su larga scala (massa), indica che l’eccesso di godimento corrisponde a comportamenti tossici, sia nel corpo che nell’anima, e ciò si configura come la risposta capitale al peccato inteso come mancanza o vuoto. Il soggetto pecca capitalmente nel tentativo di recuperare il godimento perduto operando nel presente e nel futuro attraverso comportamenti anomali relazionali-affettivi (peccati dell’anima) e comportamenti anomali rispetto al proprio corpo (peccati del corpo) e l’insieme di questi comportamenti anomali nella clinica eticamente costruita si riferiscono alla perversione. La perversione ci dice anche che i peccati capitali tendono a negare il sapere e l’esistenza dell’inconscio e anche l’esistenza del peccato inteso come vuoto nel soggetto: il risultato clinico ed etico che coincide con esso mostra come nell’insieme dei comportamenti dell’uomo contemporaneo ci sia sostanzialmente la convinzione e la sensazione che tutto ciò che accade abbia lo stesso valore e sia tutto uguale cioè abbia lo stesso senso.
 
G.G.: Che ruolo hanno avuto il Padre e la Madre nelle vicissitudini del piccolo infans se egli diverrà un adulto peccatore?
 
A.G.: A questa questione ho già risposto implicitamente quando ho parlato del secondo tempo edipico in cui si costruisce un soggetto incline al peccato capitale. Infatti, ciò che accade nell’Edipo familiare determina la funzione genitoriale che è fondamentale per il comportamento futuro dell’infans. L’ambito edipico d’altronde è il luogo da dove la clinica della psicoanalisi ha tratto le sue considerazioni. Però, al di là della clinica, questa domanda mi permette di fare una sintesi sulla questione genitoriale o come oggi si dice sulla funzione genitoriale.
I problemi che si costituiscono intorno alla funzione genitoriale sono diversi e riguardano, sia la prospettiva epistemologica, in altre parole la differenza che esiste tra il ruolo e la funzione da un punto di vista dei registri lacaniani in cui il soggetto è inscritto, sia la prospettiva più pedagogica che riguarda l’incidenza genitoriale sull’infans all’interno del Discorso del capitalista che detta le regole comportamentali e sociali. Dalla clinica dei colloqui con i genitori, dai colloqui con i ragazzi e dai colloqui a Scuola ho tratto la convinzione che la formazione del carattere e l’inclinazione ai comportamenti perversi dei figli e dunque ai peccati capitali, siano favorite dall’attrazione e l’influenza che l’oggetto feticcio esercita sulle regole e sui comportamenti dell’ uomo contemporaneo.
L’oggetto feticcio ha a che fare con la presunta completezza e con la presunta autonoma potenza seducente del mezzo tecnologico mass-mediale dei social network, con un posto privilegiato da assegnare all’iphone o cellulare. Sembra riduttivo attribuire a quest’oggetto la responsabilità dei comportamenti perversi inscritti nei peccati capitali.
Bisogna pensare però che l’oggetto feticcio costituisce il risultato di una convergenza tra ciò che avviene al livello del soggetto nel secondo tempo dell’Edipo familiare (alleanza e complicità tra madre e figlio maschio e conseguente ridimensionamento della figura paterna) e la centralità della mercificazione economica dell’oggetto elevato a feticcio, inteso anche come denaro, fondamento del Sapere dominante capitalistico Queste caratteristiche perverse dell’oggetto costituiscono la normalità di tutti i valori sociali, normalità a partire dall’esaltazione dell’Io narcisistico e a partire dal dominio del peccato capitale della Superbia. Proprio questo peccato ci mostra come il dominio del feticcio sia il risultato dell’incrocio tra quello che si costituisce come perversione nella tendenza edipica familiare e quelle che sono le esigenze del potere del Discorso del capitalista, potere che diffonde la cultura dell’eccesso di godimento. Questo incrocio però ci dice che la funzione genitoriale oggi tende ad adeguare e a favorire i comportamenti del figlio alla cultura dell’eccesso di godimento ritenuta da loro stessi la normalità; pertanto l’inclinazione edipica verso la perversione si rafforza privatamente trovando una giustificazione nei comportamenti sociali della massa la quale è asservita al potere dell’oggetto feticcio.
La tendenza alla perversione nell’edipo familiare vede prevalere la figura materna con le caratteristiche che le competono che sono quelle, come ho già specificato, di indirizzare i comportamenti dei figli verso il pensare e il conseguente agire che non sia giusto privarsi di qualcosa ma che sia invece giusto avere tutto e a tutti i costi.
Per raggiungere questo risultato, considerato normale. È necessario che vi sia un cedimento della legge paterna e della sua funzione terza rispetto al rapporto tra il corpo famelico della madre con quello del figlio, rapporto che passa attraverso le stesse caratteristiche immaginarie del fallo attribuite e ricercate nell’oggetto feticcio. L’immaginario di quest’oggetto, fa da specchio riflettente al me narcisistico e superbioso presente sia nei comportamenti eccessivi dei figli sia, direi, anche nei comportamenti dei genitori che costituiscono per loro un esempio da seguire. Nelle loro azioni, infatti, i genitori si comportano senza interrogarsi su quello che dicono di fare. L’esempio che danno ai figli non è contradditorio, come in altri tempi accadeva, ma è uniformato al potere dell’oggetto feticcio e alla conseguente cultura contemporanea dominata dall’eccesso di godimento del corpo. E anche nel caso in cui per motivi economici familiari, l’atteggiamento dei genitori è incline alla rinuncia a godere di un bene da loro desiderato, anche questa rinuncia dunque avviene per favorire il figlio a godere di un suo oggetto desiderato; questa operazione di rinuncia e contemporanea soddisfazione accade perché c’è un altro che possiede un bene invidiato dal figlio e quest’operazione fondata sull’invidia avviene contemporaneamente alla negazione dell’esistenza dell’inconscio e del suo sapere ovvero i genitori negano le cause che li spingono a comportarsi e a pensare in tal modo (accidia) ed è questo negare che i genitori trasmettono al figlio come comportamento e atteggiamento di fondo nei confronti di ciò che accade nella vita.
Il ruolo dei genitori, oltre alla complicità con la cultura dominante, è oggi un ruolo svolto all’insegna del segno che indica il cedimento della funzione simbolica del Nome del padre e della conseguente caduta della funzione simbolica del terzo nella cultura familiare e sociale. Questo cedimento ha come conseguenza il trionfo della sostanza materna che è dilagante come un fiume senza argini: questo dilagare uniforma il ruolo dei genitori a quello dei figli con la conseguenza di togliere a questi ultimi punti di riferimento simbolici cui aggrapparsi. L’unico valore cui i figli si aggrappa, rimane l’illusione narcisistica che appartiene all’oggetto feticcio che ha la stessa potenza seducente delle sirene che incontrò Ulisse nel suo viaggio.
 Il ruolo genitoriale in quanto inscritto nell’immaginario uniforma i comportamenti della madre e del padre – per esempio come l’occuparsi del bambino neonato cambiandogli  i pannolini o svezzarlo dandogli il biberon –, e questa uniformarsi di comportamenti viene ritenuto dall’opinione pubblica come se fosse esattamente la stessa cosa, senza cioè tenere conto come unica giustificazione plausibile, quella che attiene alla necessità di doverlo fare da parte del padre per motivi familiari inerenti al lavoro della madre e senza sottolineare la differenza che esiste tra la funzione materna e quella paterna: tali funzioni non riguardano il piano immaginario dei comportamenti ma gli effetti invisibili (segni) che le due funzioni lasciano sul bambino. Infatti, la funzione materna introduce nell’essere del bambino il segno della mancanza e del limite al livello del bisogno e della domanda, mentre la funzione paterna introduce nel soggetto il segno del desiderio senza oggetto. L’effetto principale di queste funzioni genitoriali potrà essere verificato nello sviluppo dell’individuo solo successivamente rispetto all’infanzia: se sarà limitata la sua necessità morbosa di possedere un oggetto che gli manca e se crescerà a partire dall’età post-adolescenziale il desiderio di confrontarsi con la stessa mancanza sentita come inconsistenza del proprio essere in trasformazione piuttosto che come mancanza legata a uno oggetto specifico del bisogno o della domanda, allora saremo in presenza di funzioni genitoriali non omologate al ruolo genitoriale.
 
G.G.: Come si può tornare a desiderare?
 
A.G.: La psicoanalisi non ha una ricetta e non ha un libretto d’istruzioni per dare una risposta a questa domanda perché sarebbe una risposta che non appartiene al suo stile e alla sua storia di scienza dell’inconscio. Dunque non esiste per la psicoanalisi una via facile e lineare per arrivare effettivamente a mettere il desiderio al centro dell’azione dell’uomo.
 La tua domanda riguarda il Discorso sull’uomo contemporaneo costruito a partire dal Discorso del Capitalista e su questo Discorso è stato impostato il mio libro sui sette peccati capitali che riguarda appunto l’abolizione generalizzata del desiderio, la sua messa in crisi dato che il desiderio non ha un oggetto preciso e permanente che lo possa soddisfare e la sua fragilità, che lo caratterizza, è messa sotto attacco dall’eccesso di godimento che ha la funzione negativa di tappare quel vuoto con cui il desiderio ha a che fare come mancanza e di cui il soggetto che desidera si nutre: per arrivare a cambiare il rapporto del soggetto con il proprio vuoto in modo tale che lo stesso soggetto arrivi a pensarlo come positivo, in quanto associabile alla capacità dell’uomo di creare il nuovo, è necessario intraprendere quella via che la psicoanalisi può consigliare perché sperimentata dall’analista personalmente, nella doppia veste di analizzante e di analista, questa via è l’analisi personale e contemporaneamente la frequentazione permanente della cultura psicoanalitica che si produce a vari livelli all’interno del Campo psicoanalitico.
Il fatto che l’analisi sia personale, per prima cosa, non è affatto banale perché rimarca con forza che vi sono tante analisi quanto sono gli analizzanti che si mettono in gioco credendoci anche se le caratteristiche e la forza del desiderio di aprire il soggetto al nuovo è la medesima e la seconda cosa, non per importanza, è che l’analisi personale non costituisce una ricetta sicura perché, come è noto dall’arte culinaria, la stessa ricetta messa in mano a cuochi diversi, ma anche a degustatori diversi, ottiene differenti risultati finali. In effetti, la ricetta in psicoanalisi è una costruzione a posteriori, quando il pasto è finito e gli effetti derivati da quel pasto sono da quel momento accertabili. 
E da questi effetti si apre lo spazio per il nuovo, per un gusto e un sapore nuovo prima del pasto inedito. La psicoanalisi con questo in edito intende la costruzione di un inconscio neo-nato, uno spazio bianco su cui riscrivere la propria storia all’insegna del rispetto del desiderio connesso al soggetto piuttosto che al comportamento dell’Io che si fa segno del peccato capitale e dell’eccesso che lo contraddistingue.
Il recupero del desiderio, dunque può essere individuale a patto, come ho già affermato precedentemente, che ci sia un percorso d’analisi che è senza dubbio lungo e può risultare faticoso, ma che sappia, cioè, attraversare le acque tempestose della moderna vita quotidiana che si contraddistingue per il trionfo illusorio delle qualità dell’oggetto feticcio e inoltre si contraddistingue per il trionfo della menzogna, scambiata per verità, intorno a tutto ciò che riguarda il benessere del corpo del soggetto.
Ora, che cosa si può fare affinché nel discorso del Capitalista la psicoanalisi possa incidere con un cambiamento tale da aprire il varco al desiderio e al suo vuoto all’interno dei legami sociali regolati dai peccati capitali? Quello che la psicoanalisi può fare è tentare di costruire una politica dei legami sociali che abbia come punto di riferimento il discorso dell’analista e la sua funzione principale che riguarda appunto la funzione del desiderio. Partendo da quest’ultimo punto è necessario tracciare, nel quadrato immaginario detto Campo analitico – che è il Campo in cui operano tutte le forze che seguono a vario titolo la cultura psicoanalitica e la sua pratica – strategie comuni d’intervento senza mai abbandonare il punto di vista etico che àncora ciascun operatore, che opera in relazione alla psicoanalisi, alla storia e alle origini sulle quali la psicoanalisi da Freud in poi è stata fondata. E per far ciò è necessario che come psicoanalisti, e dunque la stessa psicoanalisi, all’interno del suo Campo, non ci si lasci corrompere dalla forza persuasiva del potere culturale ed economico su cui si fonda il Discorso del Capitalista accettando compromessi solo per mantenere lontano lo spettro della crisi. E questo è il rischio che si può correre attualmente.

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