Riflessioni (in)attuali
Uno sguardo psicoanalitico sulla vita comune
Peter Handke, politica e letteratura
Giorgio Callea: “Peter Handke ha vinto il premio Nobel, un premio al senso dell’amicizia. Mitteleuropeo, con due gambe ben allenate a passeggiare senza badare ai confini. I suoi amici sono austriaci, ungheresi, jugoslavi, senza distinzione tra serbi, croati, sloveni, bosniaci, kossovari. Partì per la Jugoslavia all’epoca della sua disintegrazione e al ritorno ne uscirono due libri, ‘Un viaggio d’inverno’ e ‘Appendice estiva a un viaggio d’inverno’. Raccontano di amicizie spezzate dalla guerra lungo le sponde della Drina, della solitudine del popolo serbo diventato agli occhi del mondo “cattivo” e condannato a rimanere senza amici. La stessa sorte che subirono i figli degli amici serbi di Handke, a scuola, a Parigi, in seguito alla propaganda dei media internazionali scatenati a costruire il mostro di turno.”
Sarantis Thanopulos: “Nella guerra civile in Jugoslavia tutti si sono sporcati le mani col sangue. Anche gli sloveni sfilatisi peraltro per primi (un gesto non esattamente solidale). Vaticano, Germania, Stati Uniti hanno soffiato sul fuoco. I leader serbi hanno avuto il grande torto di aver voluto imporre il diritto del più forte. Sulle macerie è rimasto il cadavere dell’amicizia, di una convivialità multietnica, davvero preziosa. Un milione di matrimoni “misti”, in una popolazione di diciotto milioni (la forza del desiderio che mette insieme le contrade del mondo), messi da parte, una civiltà erotica spazzata via. I due ragazzi uccisi sul ponte di Sarajevo dai cecchini (sogno di un amore esogamico che attraversa ogni confine) non annunciarono la catastrofe che oggi si annuvola su tutti noi? È terribile l’Eros se lo combatti. Ma difendere i presunti “cattivi” contro i presunti “buoni” è sufficiente?”
Giorgio Callea: “Essere fiancheggiatore degli assassini: è questa l’accusa che la propaganda dei media, condita di insulti, ha fatto abbattere su Handke, ma lui non si è arreso, ha resistito. Quando poi la Nato attaccò l’ex Jugoslavia, egli ripartì per i luoghi di guerra, non fidandosi dei reporter che si ostentano senza frontiere e per combinazione sono sempre da una parte contro un’altra. Il suo resoconto,‘Un disinvolto mondo di criminali’ tolse ogni giustificazione alla congiura internazionale, ai signori della guerra e ai media di supporto. I suoi romanzi scomparirono dalle librerie, la sua opera teatrale fu cancellata dal cartellone della Comédie Française: Peter Handke venne condannato a morte dall’Europa dei diritti umani, perché uno scrittore vive e sopravvive solo nella sua opera.
Ora arriva il premio Nobel, a premiarne la resistenza, l’amicizia per la lingua e per la sua funzione di unione tra i popoli, lo strumento necessario per la costruzione di un legame tra di loro che nemmeno le bombe della Nato hanno potuto distruggere.”
Sarantis Thanopulos: “Handke dichiarò che lui non era un politico, ma un letterato. Amico della Jugoslavia, non della Serbia, vedeva in Milosevic un personaggio tragico. Forse all’inizio in Milosevic si avvertiva qualcosa di tragico. L’eccesso che ti porta dalla buona alla cattiva sorte: in ciò non c’è nulla di nobile, ma una caduta dolorosa che fa parte della condizione umana. Tuttavia Milosevic volle l’impunità, andò oltre Eteocle e Polinice, che avviandosi consapevolmente alla morte accettarono il destino infausto da loro stessi costruito. Il gesto di Handke di andare al suo funerale fu un eccesso di convinzione di sé che si poteva evitare. Dandogli il Nobel l’establishment culturale ha posto fine a un ostracismo che sapeva di ipocrisia. Dato che il letterato ha sempre un impatto politico, la fine di una caccia alle streghe può portare più chiarezza sul fatto che l’eccesso di autoreferenzialità può condurre lo scrittore in un terreno lunare, per nulla tragico, com’è successo con Celine e Pound.