LA VOCE DELL'INDICIBILE
I suggerimenti della rêverie degli Artisti
Il tormento e l’estasi dell’adolescente malato d’amore. Shakespeare e Proust
25 settembre, 2020 - 10:00
Come possiamo comprendere il tormento e l’estasi di un adolescente malato d'amore? Come possiamo interessarcene? Come comprtarsi con lui? Come pendercene cura? Fedele allo spirito di questa rubrica, cerco di dare una risposta con l'aiuto, oltre che dell'esperienza clinica, del suggerimento dei grandi Artisti.
Per Proust, una storia d’amore è avvincente (l’amore è fecondo) solo nel periodo dell’attesa e in quello del rimpianto. In effetti, un innamorato felicemente contraccambiato difficilmente riesce a comunicare ad altri i suoi sentimenti: la persona che ama per lui/lei è “divina”, mentre per chi l’ascolta è un uomo o una donna qualsiasi. Si tratta di due punti di vista apparentemente inconciliabili. Se poi l’innamorato insiste nel voler far capire fino in fondo quel che prova, finisce per diventare noioso.
Se prendessimo alla lettera l’affermazione di Proust, dovremmo concludere che l’amore è interessante solo quando non c’è ancora o quando non c’è più. Shakespeare, nei suoi “Sonetti”, ci fa capire che non è così: ci dipinge, in tutti i suoi aspetti, un amore in corso e contraccambiato, e quel che ci comunica non è affatto incomprensibile e noioso. Si tratta, però, di un amore intenso, quale solo può provare un adolescente, o qualcuno ritornato adolescente, oppure, in epoca remota, un bambino. E qui capiamo che sia Proust, sia Shakespeare dicono il vero: l’amore descritto nei Sonetti è tutto un alternarsi di attese e delusioni, di dolorose separazioni e di rimpianti. (D’altra parte, Proust stesso descrisse un sentimento di questo genere nel suo personaggio Swann).
Quasi tutti (tutti?) noi abbiamo attraversato un’esperienza d’amore di questo genere; un sentimento tormentoso che finiamo per respingere e seppellire nella memoria. I grandi Artisti ce lo risvegliano quanto basta per poterlo capire in chi ci parla.
Una prima considerazione: lo psichiatra che si occupa di adolescenti o di bambini non può ignorare l’opera di Artisti come Proust e/o Shakespeare.
Una seconda considerazione: l’amore intenso è, a livello profondo, una dolorosa carenza; è l’anelito al recupero di una “metà perduta;” di noi stessi; recupero che non riesce mai ad essere acquisito del tutto. Anni fa, un illustre psichiatra prese il premio “Ignobel” (assegnato al tipo di ricerca più sciocco e infame) per aver affermato che l’amore “non è altro che” una carenza di serotonina. L’aspetto “ignobel” era, ovviamente, l’aver considerato solo il substrato neurobiologico e considerato un “nulla” l’esperienza vissuta. Tuttavia non aveva tutti i torti: ciò che è vissuto come “carenza” deve avere una sua base neurofisiologica e biochimica; conoscenza, questa, preziosa nei casi in cui il sentimento diviene patologico, porta a comportamenti pericolosi, e richiede interventi energici e immediati.
D’altra parte, lo psichiatra dotato di sensibilità e cultura umanistica sa che non ci si può fermare qui: la mente ha esigenze diverse da quelle del cervello, e l’individuo affetto da carenza ha bisogno di colmarla attraverso l’ascolto partecipe ed empatico di un curante che si prende a cuore il suo caso, e non solo attraverso un apporto di serotonina.